Sospirai e tornai a guardare le mappe. — Dovrebbe esserci in orbita una nave per il trasporto truppe, ma non credo che lei sappia quale sia il tipo della scorta.
A sorpresa, intervenne la nave. «È una spin-nave da trecentomila tonnellate, classe Akira. Scortata da due navi torcia di classe standard, la Sant’Antonio e la San Bonaventura. In orbita, più lontano, c’è anche una nave Tre-C.»
— Che cazzo è una nave Tre-C? — brontolò l’ologramma del poeta.
Lo guardai. Com’era possibile che una persona vivesse mille anni e non imparasse una cosa così banale? I poeti sono tipi bizzarri. — Comando, Comunicazione, Controllo — spiegai.
— Allora quel f.d.p. della Pax che comanda è lassù in orbita?
Mi grattai la guancia e fissai la mappa. — Non necessariamente — risposi. — Il comandante della task force spaziale sarà lassù, ma il responsabile dell’operazione può trovarsi sul pianeta. La Pax addestra i comandanti anche per operazioni combinate. Con tante Guardie Svizzere quaggiù, un alto ufficiale comanda sul pianeta.
— Bene — disse il poeta. — Come farai a passare in mezzo a loro e a portare fuori la mia piccola amica?
«Chiedo scusa» intervenne la nave «ma in orbita c’è ancora un altro veicolo spaziale. È giunto circa tre settimane fa, tempo standard, e ha inviato una navetta nella Valle delle Tombe del Tempo.»
— Che tipo di veicolo? — domandai.
Vi fu una breve esitazione. «Non lo so» rispose la nave. «Non conosco la sua configurazione. Piccola, forse delle dimensioni d’un corriere, ma il profilo di propulsione è… insolito.»
— Probabilmente è un corriere — spiegai a Sileno. — Qualche povero disgraziato che è rimasto in crio-fuga per mesi, accumulando anni di debito temporale, solo per consegnare chissà quale messaggio che la Pax Centrale si è dimenticata di trasmettere al comandante prima della partenza.
L’immagine olografica del poeta sfiorò di nuovo la mappa. — Non scantonare. Come strapperai Aenea a quegli sbattimamma?
Mi staccai dal pianoforte e lasciai trasparire la collera. — Come diavolo faccio a saperlo? È lei, quello che ha avuto due secoli e mezzo per progettare questa stupida evasione. — Indicai la nave. — Presumo che quest’affare sia il nostro biglietto per battere in velocità le navi torcia. — Esitai. — Nave? Puoi raggiungere il punto di traslazione C-più battendo in velocità una nave torcia della Pax? — Naturalmente tutti i motori Hawking fornivano l’identica pseudovelocità ultra-luce, perciò la nostra fuga e sopravvivenza, o la cattura e morte, dipendevano dalla corsa per raggiungere il punto quantico di traslazione.
«Oh, sì» rispose subito la nave. «Una parte della mia memoria è stata annullata, ma so che il Console mi ha fatto modificare durante una visita a una colonia Ouster.»
— Una colonia Ouster? — ripetei come un idiota. Contro ogni logica, mi sentii formicolare la pelle. Ero cresciuto con il terrore di un’altra invasione Ouster. Gli Ouster erano lo spauracchio per eccellenza.
«Sì» disse la nave, con qualcosa di simile all’orgoglio nel tono. «Potremo raggiungere le velocità C-più in un tempo inferiore di quasi il 23 percento rispetto a una normale nave torcia della Pax.»
— Loro possono colpirti da una distanza di mezza unità astronomica — obiettai, poco convinto.
«Certo» convenne la nave. «Niente di preoccupante… se abbiamo un vantaggio di quindici minuti.»
Mi rivolsi all’accigliato ologramma e al silenzioso androide. — Oh, magnifico — dissi — se è vero. Ma non m’aiuta a escogitare il modo di portare alla nave la bambina o la nave via da Hyperion, con quei quindici minuti di vantaggio. Le navi torcia saranno in quella che chiamano FCO, formazione da combattimento in orbita. Almeno una, forse più d’una, sarà sopra Equus ogni secondo, per coprire ogni metro cubo di spazio da cento minuti luce agli strati superiori dell’atmosfera. A circa trenta chilometri dal pianeta interverrà la squadriglia da guerra, probabilmente caccia pulsoreattori classe Scorpione in grado di volare anche a bassa quota. Né la squadra spaziale né quella aerea manterranno la nostra nave sugli schermi radar per quindici secondi, altro che quindici minuti. — Guardai il poeta. — A meno che lei non mi abbia taciuto qualcosa. Nave? Gli Ouster ti hanno dotata di tecnologia magica? Schermo d’invisibilità o roba del genere?
«No, che io sappia» rispose la nave. Dopo un secondo soggiunse: «Non sarebbe possibile, vero?».
Non mi curai di rispondere alla nave. — Senta — dissi a Martin Sileno — mi piacerebbe aiutarla a salvare la bambina…
— Aenea — disse lui.
— Mi piacerebbe strappare Aenea a quei tipi, ma se riveste per la Pax l’importanza a cui lei accennava prima… insomma, tremila Guardie Svizzere, Dio buono… non abbiamo modo d’entrare in un raggio di cinquecento chilometri dalla Valle delle Tombe, neppure con questa nave eccezionalmente perspicace.
Nonostante la distorsione olografica, lessi il dubbio negli occhi di Sileno, perciò continuai: — Parlo sul serio. Anche se non ci fossero la copertura spaziale e aerea, le navi torcia, i caccia e gli avioradar, ci sarebbero sempre le Guardie Svizzere. Voglio dire… — mi accorsi di stringere i pugni — che quelle sono micidiali! Addestrate a operare in squadre di cinque… e ogni squadra può abbattere una nave spaziale come questa.
Sileno inarcò le sopracciglia da satiro, per la sorpresa o per il dubbio.
— Stia a sentire — dissi. — Nave?
«Sì signor Endymion?»
— Hai schermi difensivi?
«No, signor Endymion. Ho campi di contenimento migliorati dagli Ouster, ma solo per uso civile.»
Non sapevo che cosa fossero i "campi di contenimento migliorati dagli Ouster", ma continuai: — Possono fermare un raggio compatto standard di nave torcia o una lancia al plasma?
«No» disse la nave.
— Puoi respingere torpedini C-più o cinetiche convenzionali?
«No.»
— Puoi batterle in velocità?
«No.»
— Puoi impedire l’ingresso a una squadra d’abbordaggio?
«No.»
— Hai capacità offensive o difensive in grado di vedersela con navi da guerra della Pax?
«A meno di considerare la capacità di correre come un’indemoniata, signor Endymion, la risposta è no.»
Guardai Martin Sileno. — Siamo fottuti — mormorai. — Anche se riuscissi ad avvicinarmi alla bambina, quelli catturerebbero anche me, oltre lei.
Martin Sileno sorrise. — Forse no — disse. Rivolse un cenno ad A. Bettik; l’androide andò alla scala a chiocciola, salì al piano superiore e tornò in meno di un minuto. Portava un rotolo di chissà quale materiale.
— Se quella è l’arma segreta — dissi — è meglio che sia buona.
— È buona — confermò l’ologramma, con un sorrisetto compiaciuto. Rivolse un cenno all’androide. A. Bettik srotolò il cilindro.
Era un tappeto, lungo un po’ meno di due metri e largo poco più d’un metro. Il tessuto era logoro e sbiadito, ma si scorgeva l’intricato disegno. Una complessa trama di filo d’oro manteneva ancora la lucentezza di quando…
— Oddio — dissi. Avevo riconosciuto quell’affare e l’effetto era stato come un pugno alla bocca dello stomaco. — Un tappeto volante.
L’ologramma di Martin Sileno si schiarì la gola come per sputare. — Non un tappeto volante — brontolò. — Il tappeto volante!
Arretrai di un passo. Quel tappeto era pura leggenda e io ci stavo quasi sopra.
Erano esistite solo alcune centinaia di tappeti volanti e quello era il primo, creato da Vladimir Sholokov, studioso di lepidotteri e ingegnere di sistemi EM, poco dopo la distruzione della Vecchia Terra, quando lo scienziato, già settantenne, si era follemente invaghito della nipote Alotila ancora ragazzina e aveva inventato quel marchingegno per conquistarne il cuore. Dopo un interludio appassionato, la ragazzina aveva respinto il vecchio Sholokov, che si era suicidato sulla Nuova Terra solo qualche settimana dopo il perfezionamento dell’attuale motore Hawking. Il tappeto era andato perduto per secoli, finché Mike Osho non l’aveva comprato al Mercato Carvnel e l’aveva portato su Patto-Maui, usandolo col suo commilitone Merin Aspic in quella che sarebbe stata un’altra leggendaria storia d’amore, la relazione tra Merin e Siri. Naturalmente questa seconda leggenda era entrata nei Canti di Martin Sileno, perché, se vi si prestava fede, Siri era la nonna del Console. Nei Canti, il Console dell’Egenomia aveva usato proprio quel tappeto hawking (con l’h minuscola perché prendeva nome dal falco terrestre e non da Hawking, lo scienziato pre-Egira il cui lavoro aveva portato al superamento del muro della luce, grazie al motore interstellare migliorato) per attraversare Hyperion in un’ultima leggenda, l’epico volo dalla Valle delle Tombe del Tempo alla città di Keats per liberare proprio la nave in cui ci trovavamo e riportarla nella valle.