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— Chi ha detto che questa è una democrazia? — protestai. Mi vidi a sculacciare la bambina, lo ammetto.

— Chi ha detto che è un’altra cosa? — replicò Aenea.

Intanto A. Bettik se ne stava sul bordo del pontile e giocherellava con una corda; aveva l’espressione imbarazzata di chi assiste al litigio dei componenti di un’altra famiglia. Indossava un’ampia giubba militare e larghi calzoncini di lino giallo. In testa aveva un cappello giallo a tesa larga.

Aenea salì sulla zattera e sciolse la gomena di prua. — Se vuoi un motoscafo o un VEM, o magari un divano volante, prendilo pure, Raul. A. Bettik e io proseguiamo su questa zattera.

Sempre zoppicando, mi diressi verso un grazioso dinghy legato al pontile. — Ehi — dissi, facendo perno sulla gamba buona per girarmi e guardare in viso la bambina. — Il teleporter non funziona, se cerco di varcarlo da solo.

— Giusto — disse Aenea. A. Bettik era già salito sulla zattera e la bambina lasciò cadere la fune d’ormeggio. In quel punto il canale era più largo di quanto non lo fosse in quella sorta di trogolo dell’acquedotto: misurava circa trenta metri di larghezza, nel tratto attraverso Nuova Gerusalemme.

A. Bettik si mise al timone e mi guardò, mentre Aenea prendeva una pertica e scostava dal pontile la zattera.

— Aspetta! — dissi. — Maledizione, aspetta! — Percorsi zoppicando il pontile, superai con un balzo il metro che mi separava dalla zattera, atterrai sulla gamba menomata e fui costretto a sorreggermi sul braccio buono, prima di rotolare contro la tenda.

Aenea mi porse la mano, ma io finsi di non vederla e mi tirai in piedi. — Dio, se sei una mocciosa testarda! — dissi.

— Senti chi parla — replicò lei e andò a sedersi sulla prua della zattera, mentre ci spostavamo al centro della corrente.

Fuori dell’ombra degli edifici, il sole di Hebron era ancora più ardente. Tolsi di tasca il vecchio tricorno, mi coprii la testa e raggiunsi A. Bettik accanto al timone.

— Immagino che tu stia dalla sua parte — dissi alla fine, mentre ci spostavamo in pieno deserto e il canale tornava a restringersi.

— Sono del tutto neutrale, signor Endymion.

— Bah! Hai votato per tenere la zattera.

— Finora ci è stata utile, signore — replicò l’androide, tirandosi da parte mentre prendevo il timone.

Guardai le nuove scatole di provviste impilate per bene all’ombra della tenda, il focolare di pietra, il termocubo e le pentole e le padelle, la doppietta e la carabina al plasma (oliati di fresco e protetti da stracci) e i nostri zaini, i sacchi a pelo, i medipac e altra roba. In mia assenza era stato alzato un "albero maestro" e ora una delle camicie di ricambio di A. Bettik svolazzava come bandiera al vento.

— Be’, al diavolo — dissi.

— Proprio così, signore.

Il portale successivo si trovava a soli cinque chilometri dalla città. Mentre passavamo sotto la tenue ombra dell’arcata, guardai a occhi socchiusi l’ardente sole di Hebron e poi la linea del portale stesso. Nel caso degli altri portali c’era stato un momento in cui l’aria all’interno luccicava e variava, fornendo un breve accenno di ciò che si trovava più avanti.

In questo caso c’era solo tenebra assoluta. E la tenebra non cambiò, quando varcammo il portale. In compenso la temperatura scese di almeno settanta gradi. Nello stesso istante, la gravità cambiò: all’improvviso avevo l’impressione di reggere sulla schiena una persona pesante quanto me.

— Le lanterne! — gridai, reggendo sempre il timone per lottare contro la corrente a un tratto impetuosa. Lottavo per reggermi in piedi, sotto la terribile forza di gravità di quel mondo. La combinazione di gelo, di buio assoluto e di peso oppressivo era terrificante.

Sulla zattera c’erano delle lanterne trovate a Nuova Gerusalemme, ma Aenea accese per prima la vecchia lampada portatile. Il suo raggio tagliò gelidi vapori, brillò su acqua nera, si alzò a illuminare un soffitto di solido ghiaccio a una quindicina di metri dalla nostra testa. Stalattiti di ghiaccio pendevano fin quasi sull’acqua. Pugnali di ghiaccio emergevano dalla nera corrente ai lati della zattera. Un centinaio di metri più avanti, all’incirca dove il raggio della lampada cominciava ad affievolirsi, una solida parete di blocchi di ghiaccio scendeva fino all’acqua. Ci trovavamo in una grotta di ghiaccio… per giunta priva di visibili vie d’uscita. Il gelo mi bruciava le mani, le braccia, il viso. La gravità mi premeva sulle spalle come una serie di collari di ferro.

— Maledizione — dissi. Legai la barra del timone e zoppicai verso gli zaini. Era difficile stare dritti, con una gamba menomata e ottanta chili sulla schiena. A. Bettik e Aenea erano già lì e tiravano fuori i vestiti pesanti.

A un tratto ci fu un forte schianto. Alzai gli occhi, aspettandomi di vedere una stalattite che ci cadeva addosso o il soffitto che franava per il peso; invece era solo l’albero maestro che si era spezzato per l’urto contro una bassa sporgenza di ghiaccio. Cadde molto più velocemente di quanto avrebbe fatto nella gravità di Hyperion… si avventò contro la zattera, come in un filmato fatto scorrere a gran velocità. Volarono schegge di legno. La camicia di A. Bettik colpì il pianale e produsse un percettibile fragore. Era gelata, coperta di una crosta di brina.

— Maledizione! — ripetei, con i denti che battevano. Tirai fuori la biancheria di lana.

35

Il Padre Capitano de Soya usa l’autorità del diskey papale in modi mai tentati prima.

La Stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale di Mare Infinitum,.dove è stato scoperto il tappeto hawking, è proclamata luogo del delitto e posta sotto legge marziale. De Soya fa giungere truppe della Pax e navi dalla città galleggiante di Santa Teresa e pone agli arresti domiciliari tutta la precedente guarnigione e i turisti venuti a pesca. Quando il vescovo Melandriano, il prelato che governa Santa Teresa, protesta contro quella prepotenza e mette in discussione i limiti del diskey papale, de Soya si rivolge all’arcivescovo Jane Kelley, governatore di Mare Infinitum. L’arcivescovo piega la testa di fronte al diskey papale e impone il silenzio a Melandriano, sotto pena di scomunica.

De Soya nomina il giovane tenente Sproul suo aiutante e ufficiale di collegamento per l’indagine in corso; poi convoca esperti in medicina legale e investigatori di vaglia della Pax, facendoli venire da Santa Teresa e da altre grandi piattaforme-città, per espletare le indagini sul luogo del delitto. Veritina e altre droghe sono somministrate al capitano C. Dobbs Powl, tenuto in arresto nel brigantino della stazione, nonché a tutto il personale dell’ex guarnigione e a tutti i pescatori presenti.

Nel giro di qualche giorno diventa chiaro che il capitano Powl, il compianto tenente Belius e molti altri ufficiali e soldati di quella remota piattaforma sono stati in combutta con i pescatori di frodo della zona per consentire la cattura illegale di prede, per rubare attrezzature della Pax (compreso un sommergibile che risultava affondato dai ribelli) e per estorcere denaro ai turisti. Di tutto questo de Soya se ne frega. Lui vuole sapere con precisione che cos’è accaduto quella sera di due mesi prima.

Le prove legali si accumulano. Il sangue e i resti organici trovati sul tappeto hawking sono sottoposti al test del DNA e i risultati sono trasmessi alla sezione archivio della Pax a Santa Teresa e sulla base orbitale. Si scopre la presenza di due distinti emotipi: la maggior parte del sangue è attribuita con certezza al tenente Belius; il DNA del sangue rimanente non compare negli archivi della Pax di Mare Infinitum, anche se ogni cittadino del pianeta oceanico è stato classificato e registrato.

— Come mai il sangue di Belius è finito sul tappeto volante? — domanda il sergente Gregorius. — Secondo tutte le testimonianze sotto ventina, Belius finì nella broda molto prima che il prigioniero tentasse la fuga sul tappeto volante.

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