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Il capitano Wu guarda i suoi colleghi della commissione. — Altre domande? — Poiché nessuno interviene, il capitano dice: — Questo è tutto, Padre Capitano de Soya. Nella mattinata di domani la commissione la informerà delle proprie conclusioni.

De Soya annuisce ed esce.

Quella sera, camminando lungo il fiume, de Soya cerca d’immaginare che cosa farà, se sarà sottoposto alla corte marziale e privato della condizione ecclesiastica, ma non condannato alla detenzione. Il pensiero della libertà, dopo un simile fallimento, è più doloroso di quello della prigionia. La commissione non ha parlato di scomunica (non ha fatto alcun cenno a eventuali punizioni) ma de Soya vede con chiarezza la propria detenzione, il ritorno su Pacem per l’indagine di una corte superiore e infine l’allontanamento dalla Chiesa. Solo un terribile fallimento o l’eresia potrebbero comportare una simile punizione, ma de Soya si rende conto, senza battere ciglio, di quale terribile fallimento siano stati i suoi sforzi.

Al mattino viene convocato nel basso edificio dove la commissione è rimasta riunita per tutta la notte. De Soya resta sull’attenti di fronte alla decina di uomini e di donne intorno al lungo tavolo.

— Padre Capitano de Soya — comincia il capitano Wu, parlando anche a nome degli altri — questa Commissione d’Inchiesta è stata riunita per rispondere a interrogazioni del Comando della Pax e del Vaticano, relative agli ordini e ai risultati di recenti eventi… nel caso specifico, la mancata cattura della bambina nota come Aenea. Dopo cinque giorni d’indagine e dopo varie centinaia di ore di testimonianze e di deposizioni, questa commissione ha concluso che sono stati fatti tutti gli sforzi e i preparativi possibili per portare a termine la missione. Il fatto che la bambina nota come Aenea… o un suo compagno di viaggio, essere umano o IA… sia riuscita a sfuggire alla cattura varcando un teleporter inattivo da circa tre secoli standard non poteva essere previsto né da lei né da qualsiasi altro ufficiale suo collaboratore o ai suoi ordini. Il fatto che il teleporter abbia potuto riattivarsi è, ovviamente, fonte di grave preoccupazione per il Comando della Pax e per la Chiesa. Le relative implicazioni saranno esaminate dai più alti gradi del Comando della Pax e della gerarchia vaticana.

"In quanto al suo ruolo in questa storia, Padre Capitano de Soya, con l’eccezione della nostra possibile preoccupazione per il fatto che lei abbia messo a repentaglio la vita della bambina da prendere in custodia, riteniamo che la sua azione sia stata assennata, corretta, rispettosa delle priorità della missione stessa e legale. Questa commissione, per quanto ufficiale soltanto nel campo d’indagine preliminare, raccomanda che lei continui la missione mediante la nave classe Arcangelo detta Raffaele, che lei mantenga l’autorità derivantele dal diskey papale e che lei possa ancora requisire i materiali e il personale ritenuti necessari per il proseguimento della missione."

De Soya, sempre irrigidito sull’attenti, batte varie volte le palpebre, incredulo. Poi dice: — Capitano?

— Sì, Padre Capitano? — risponde Wu.

— Significa che posso tenere come guardie del corpo il sergente Gregorius e i suoi due uomini?

Il capitano Wu (la cui autorità, stranamente, sovrasta quella di ammiragli e di comandanti delle forze planetarie intorno al tavolo) sorride. — Padre Capitano, se volesse, potrebbe ordinare ai componenti di questa commissione di seguirla come guardie del corpo. L’autorità conferitale dal diskey papale rimane assoluta.

De Soya non sorride. — Grazie, capitano… signori. Il sergente Gregorius e i suoi due uomini basteranno. Partirò questa mattina.

— Per dove, Federico? — domanda padre Brown. — Come sa, esaurienti ricerche negli archivi non hanno dato indicazioni sul luogo dove il teleporter potrebbe avere trasferito quella nave. Il fiume Teti aveva connessioni interscambiabili e ogni dato sul mondo seguente nella fila per noi è evidentemente perduto.

— Sì, Padre — risponde de Soya. — Ma i mondi che un tempo erano toccati da quel fiume via teleporter sono solo poco più di duecento. La nave della bambina si trova su uno di essi. La mia Arcangelo può raggiungerli tutti in meno di due anni, calcolando anche il tempo per la risurrezione dopo ogni balzo. Comincerò immediatamente.

A queste parole i componenti la commissione possono solo fissare de Soya. Quell’uomo affronterà per centinaia di volte la morte e una difficile risurrezione. Nessuno, da quando è stato introdotto il Sacramento della Risurrezione, è mai stato sottoposto a un simile ciclo di sofferenza e di rinascita.

Padre Brown si alza e muove la mano nel gesto della benedizione. — In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti — intona. — Vada con Dio, Padre Capitano de Soya. Le nostre preghiere l’accompagneranno.

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Quando ci colpirono, a varie centinaia di metri dal teleporter, fui sicuro che stavolta saremmo morti. Il campo di contenimento interno svanì nell’istante in cui i generatori furono colpiti, la muraglia di pianeta che guardavamo in alto si trovò improvvisamente e innegabilmente in basso e la nave cadde come un ascensore al quale avessero tagliato i cavi.

Mi riesce difficile descrivere le sensazioni che seguirono. Ora so che al posto dei campi interni entrò in funzione quello che è conosciuto come "campo d’urto" (nome davvero azzeccato, vi assicuro) e per i primi minuti mi sentii come se m’avessero infilato in un’enorme vasca di gelatina. In un certo senso, era proprio così. Il campo d’urto si dilatò in un nanosecondo e riempì ogni millimetro quadrato della nave, proteggendoci e mantenendoci assolutamente immobili mentre la nave spaziale si tuffava nel fiume, rimbalzava sul fondo fangoso, accendeva il motore a fusione creando un gigantesco pennacchio di vapore, proseguiva la corsa tra fango, vapore, acqua e detriti delle rive in implosione e infine eseguiva l’ultimo ordine: varcava l’arcata del teleporter. Il fatto che ci trovassimo sotto tre metri d’acqua ribollente non impedì al portale di funzionare. Più tardi la nave ci disse che, mentre la prua attraversava il portale, l’acqua più avanti e più indietro divenne all’improvviso vapore surriscaldato, come se una nave o un velivolo della Pax l’avessero colpita con un raggio al plasma. Ironicamente, fu il vapore stesso a deviare il raggio per i millisecondi necessari alla nave per completare l’attraversamento.

Nel frattempo, all’oscuro di questi particolari, rimasi a guardare. Avevo gli occhi aperti (non potevo chiuderli a causa della forza appiccicosa del campo d’urto) e guardavo dai monitor video posti lungo i piedi del letto e dalla punta dello scafo ancora trasparente, mentre il teleporter baluginava entrando in funzione e la luce del sole si riversava sul fiume, finché all’improvviso non fummo al di là della nube di vapore e sbattemmo di nuovo contro il fondo roccioso del fiume, urtando infine una spiaggia sotto un cielo azzurro e sotto il sole.

Allora i monitor si spensero e lo scafo divenne opaco. Per parecchi minuti restammo intrappolati in quell’oscurità da caverna, dove galleggiavo a mezz’aria, o avrei galleggiato, se non fossi stato bloccato dal gelatinoso campo d’urto. Ero a braccia larghe, la gamba destra piegata all’indietro nella posizione di chi corre, la bocca spalancata in un urlo muto e non potevo battere le palpebre. Sulle prime la paura di soffocare fu fortissima (il campo d’urto mi riempiva la bocca spalancata) ma presto mi resi conto che naso e gola ricevevano ossigeno. Il campo d’urto funzionava come le costose maschere osmotiche adoperate all’epoca dell’Egemonia per le immersioni marine a grande profondità: l’aria filtrava attraverso la massa del campo che premeva contro il viso e la gola. Non fu un’esperienza piacevole (ho sempre odiato l’idea di soffocare) ma sopportabile. Più sconvolgente fu l’oscurità e il senso di claustrofobia: avevo l’impressione d’essere invischiato in una gigantesca ragnatela. Durante quei minuti nel buio, pensai che la nave sarebbe rimasta lì per sempre, inutilizzabile, impossibilitata a spegnere il campo d’urto, e che noi tre saremmo morti di fame in quelle così poco dignitose posizioni, finché un giorno l’energia della nave si sarebbe esaurita, il campo d’urto sarebbe svanito e i nostri scheletri imbiancati sarebbero caduti con un acciottolio, rimbalzando nello scafo come ossicini lanciati da un’invisibile indovina.

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