— È ora di abbatterlo — dice Barnes-Avne sul canale comando limitato a lei e a de Soya. — Raccomandazioni?
De Soya alza gli occhi. In quel momento lo skimmer vira verso sud. Fuori delle torrette a occhio di mantide, l’orizzonte s’inclina e le bizzarre Tombe del Tempo passano a mille metri sotto di loro. A sud il cielo è una banda opaca giallomarrone. — Colpirlo dall’orbita? — propone de Soya.
Barnes-Avne annuisce, ma sceglie un’altra soluzione. — Lei è abituato al lavoro delle navi torcia. Facciamo intervenire una squadra. — Col guanto di comando tocca alcuni puntini rossi nella punta meridionale del perimetro difensivo. «Sergente Gregorius?» È passata sulla banda a raggio compatto del canale tattico.
«Comandante?» La voce del sergente è profonda e imbarazzata.
«Sta seguendo sui monitor il velivolo non identificato?»
«Affermativo, comandante.»
«Lo intercetti, lo identifichi e lo distrugga.»
«Affermativo, comandante.»
De Soya rimane a guardare, mentre le telecamere della Tre-C zumano il deserto. A un tratto cinque sagome umane paiono alzarsi dalle dune; il loro polimero camaleonte si affievolisce, mentre si alzano sopra la nube di polvere. In un pianeta normale volerebbero con repulsori EM; su Hyperion portano i più ingombranti zaini a reazione. I cinque si aprono a ventaglio, a distanza di varie centinaia di metri l’uno dall’altro, e si lanciano verso sud nella nube di polvere.
— Infra — dice Barnes-Avne. Il visore passa ai raggi infrarossi per seguire la squadra nella nube sempre più fitta. — Illuminare bersaglio — ordina Barnes-Avne. L’immagine si sposta verso sud, ma il bersaglio è solo una confusa macchia di calore.
— Piccolo — commenta Barnes-Avne.
— Aereo? — domanda de Soya. È abituato a display tattici spaziali.
— Troppo piccolo, a meno che non sia una sorta di paracadute frenante motorizzato — risponde Barnes-Avne. Nella sua voce non c’è neppure una traccia di tensione.
De Soya guarda in basso, mentre lo skimmer passa sopra l’estremità meridionale della Valle delle Tombe del Tempo e accelera. La tempesta di polvere è un’ampia striscia marrone dorato, lungo l’orizzonte, davanti a loro.
«Distanza d’intercettazione 180 chilometri» comunica, laconico, il sergente Gregorius. Il visore di de Soya è collegato a quello di Barnes-Avne; i due vedono ciò che vede il sergente delle Guardie Svizzere: ossia, niente. La squadra di soldati procede a volo strumentale in turbini di sabbia così fitti che intorno a loro l’aria è nera come di notte.
«Gli zaini a reazione si riscaldano» dice con calma un’altra voce. De Soya controlla la legenda. Si tratta del caporale Kee. «La sabbia intasa le prese d’aria» continua il caporale.
Attraverso il visore de Soya guarda Barnes-Avne. Sa che la donna deve fare una scelta difficile: un altro minuto in quella nube di sabbia potrebbe far precipitare e morire uno o più componenti della squadra; l’insuccesso nell’identificazione del velivolo sconosciuto potrebbe procurarle guai più tardi.
«Sergente Gregorius» dice Barnes-Avne, con voce sempre ferma come roccia «elimini subito l’intruso.»
Sulla banda di trasmissione c’è la più breve delle esitazioni. «Comandante, non possiamo trattenerci qui neanche un…» comincia il sergente. De Soya riesce a udire, sopra la voce dell’uomo, l’ululato della tempesta.
«Lo elimini subito» ordina Barnes-Avne.
«Affermativo.»
De Soya passa al visore tattico a largo raggio e alza gli occhi in tempo per accorgersi che Barnes-Avne lo osserva. — Pensa che si tratti di una manovra diversiva? — dice la donna. — Per attirarci lontano, in modo che il vero intruso possa infiltrarsi da un’altra zona?
— Può darsi — dice de Soya. Vede dal display che il comandante ha dato l’allarme Livello 5 a tutto il perimetro. L’allarme Livello 6 significa combattimento.
— Ora vediamo — dice Barnes-Avne, proprio mentre la squadra di Gregorius apre il fuoco.
La tempesta di polvere è un ribollente calderone di sabbia e di cariche elettriche. A 175 chilometri, le armi a energia non sono affidabili. Gregorius opta per un dardo d’acciaio a pioggia e lo lancia lui stesso. Il dardo accelera a 6 mach. Il velivolo sconosciuto mantiene la rotta.
— Privo di sensori, penso — dice Barnes-Avne. — Vola alla cieca. Programmato.
Il dardo passa sopra il bersaglio-calore ed esplode a una distanza di trenta metri; la carica sagomata spinge le ventimila fléchettes dritto sulla rotta dell’intruso.
«Contatto cessato» dice il controllo dalla Tre-C; nello stesso istante il sergente Gregorius riferisce: «Colpito!».
«Trovarlo e identificarlo» ordina Barnes-Avne. Lo skimmer ha virato di nuovo verso la Valle.
De Soya lancia un’occhiata attraverso il display del visore: la donna ha ottenuto la preda, ma non richiama la squadra dalla tempesta.
«Affermativo» risponde il sergente. La tempesta è talmente violenta da provocare disturbi elettrostatici perfino nella banda a raggio compatto.
Lo skimmer vola a bassa quota sopra la valle e de Soya identifica per la millesima volta le Tombe: in ordine inverso rispetto al normale approccio dei pellegrini (anche se da più di tre secoli non ci sono pellegrinaggi) viene prima il Palazzo dello Shrike, più a sud degli altri, con contrafforti seghettati e uncinati che ricordano la creatura che lì nessuno ha mai più visto; poi le più astruse Tombe Grotta, tre in tutto, con l’ingresso intagliato nella rosea pietra della parete del canyon: quindi l’enorme Monolito di Cristallo, piazzato al centro; poi l’Obelisco; poi la Tomba di Giada; e infine la Sfinge dagli intricati bassorilievi, con la porta chiusa e le ali spalancate.
De Soya dà un’occhiata al cronometro.
— Un’ora e cinquantasei minuti — dice Barnes-Avne.
Il Padre Capitano de Soya si morde il labbro. Il cordone di Guardie Svizzere è in posizione intorno alla Sfinge… si trova lì da mesi. Più in fuori, altri soldati sono sistemati lungo un perimetro più ampio. Ogni Tomba ha il suo distaccamento di soldati in attesa, nel caso che la profezia sia stata male interpretata. Fuori della Valle, ancora altri soldati. Sopra di loro, montano la guardia le navi torcia e quella comando. All’ingresso della Valle è in attesa la navetta privata di de Soya, con i motori già accesi, pronta per l’immediato decollo, appena imbarcata la bambina. Duemila chilometri più in alto, la nave corriere classe Arcangelo, la Raffaele, tiene pronta la cuccetta d’accelerazione formato ridotto.
Prima però, de Soya lo sa, la bambina il cui nome potrebbe essere Aenea deve ricevere il sacramento del crucimorfo. Questo avrà luogo in orbita, nella cappella della nave torcia San Bonaventura, qualche attimo prima che la bambina addormentata sia trasferita sulla nave corriere. Dopo tre giorni la bambina sarà risuscitata su Pacem e consegnata alle autorità della Pax.
Il Padre Capitano de Soya si umetta le labbra secche. Si preoccupa che una bambina innocente sia maltrattata, tanto quanto si preoccupa che qualcosa vada storto durante la detenzione. Non riesce a immaginare come una bambina… anche una bambina del passato, una bambina che è entrata in comunicazione con il TecnoNucleo… possa rappresentare una minaccia per la Pax e per la Santa Chiesa.
Cerca di soffocare quei pensieri: non è compito suo, immaginare. Deve eseguire ordini, servire i superiori e, attraverso loro, la Chiesa e Gesù Cristo.
«Ecco il vostro velivolo sconosciuto» dice la voce rauca del sergente Gregorius. Il video è confuso, la tempesta di polvere infuria ancora, ma tutt’e cinque i soldati sono scesi sul luogo della caduta.
De Soya aumenta la risoluzione del display e vede il legno e la carta fatti a pezzi, il metallo contorto di quello che forse era un semplice pulsoreattore fuoribordo a batteria solare.
«Aeromobile senza pilota» dice il caporale Kee.
De Soya alza il visore e sorride a Barnes-Avne. — La sua ennesima esercitazione — dice. — Con questa, oggi fanno cinque.