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— Il fiume sarà stato al massimo cinque o sei volte più ampio di adesso — disse A. Bettik — se l’arcata del portale andava da riva a riva.

— Già — commentai, esausto e demoralizzato. — Torniamo dall’altra parte. — Alzammo le pertiche e in breve percorremmo la galleria di ghiaccio, coprendo in due minuti il tratto che avevamo faticato a coprire in trenta. Fummo costretti a usare le pertiche per rallentare la zattera ed evitare che urtasse contro la parete di ghiaccio finale.

— Bene, siamo di nuovo qui — disse Aenea. Ispezionò con il raggio della torcia i dirupi di ghiaccio ai lati. — Potremmo scendere a terra, se ci fosse una riva. Ma non c’è.

— Possiamo procurarcela usando il plastico — proposi. — Fare una sorta di grotta di ghiaccio.

— Sarebbe più calda? — domandò Aenea. Senza la termocoperta, tremava di nuovo. Aveva talmente poco grasso subcutaneo che il calore le scorreva via di dosso.

— No — risposi in tutta sincerità. Per la ventesima volta andai alla tenda e ai bagagli per cercare qualcosa che si rivelasse la nostra salvezza. Razzi di segnalazione. Plastico. Le armi… i cui astucci erano adesso coperti della brina che si formava su ogni cosa. Una sola termocoperta. Cibo. Il termocubo ardeva ancora e la bambina e l’androide si erano rannicchiati di nuovo lì accanto. Regolato sul massimo, sarebbe durato un centinaio d’ore, prima di esaurire la carica. Se avessimo avuto del buon materiale isolante, avremmo potuto fare una capanna di ghiaccio abbastanza riparata da tenerci in vita tre o quattro volte più a lungo, regolando sul minimo il termocubo…

Non avevamo materiali isolanti. Il microtessuto della tenda era roba buona, ma poco isolante. E il pensiero di stare rannicchiati in una tomba di ghiaccio, mentre le torce e le lanterne si consumavano (si sarebbero consumate più in fretta, in quel gelo) a guardare il termocubo che si raffreddava e ad aspettare la morte… be’, mi dava fitte allo stomaco.

Andai a prua, esaminai alla luce della torcia per l’ultima volta il ghiaccio color latte e l’acqua nera e dissi: — E va bene, ecco cosa faremo.

Dal piccolo cerchio di luce intorno al termocubo Aenea e A. Bettik mi fissarono. Tremavamo tutti.

— Ora prendo un po’ di plastico, i detonatori, tutta la miccia che abbiamo, la fune, una ricetrasmittente, la mia torcia laser e… — trassi un profondo respiro — e mi tuffo sotto quella maledetta parete, mi lascio portare dalla corrente e mi auguro proprio che questo sia solo un tratto sotterraneo e che più avanti il fiume si apra. Se si apre, emergo e metto le cariche dove otterranno i migliori risultati. Forse riusciamo a praticare un’apertura per la zattera. In caso contrario, abbandoniamo la zattera e andiamo a nuoto fino…

— Morirai — disse Aenea, in tono piatto. — In dieci secondi sarai bloccato dall’ipotermia. E come faresti, dopo, a risalire la corrente?

— Per questo porto la fune. Se c’è un posto dove stare lontano dall’esplosione, mi fermo dall’altra parte e pratico l’apertura; in caso contrario, vi faccio un segnale con un certo numero di strattoni e voi mi tirate alla zattera. Appena a bordo, mi spoglio e mi avvolgo nella termocoperta. È isolante al cento per cento. Se mi resta un briciolo di calore corporeo, sopravvivo.

— E se ci toccherà nuotare? — obiettò Aenea, dubbiosa, nello stesso tono piatto. — La coperta non è abbastanza grande per tutti.

— Portiamo il termocubo. Usiamo la coperta come tenda, finché non ci scaldiamo.

— Su cosa ci scaldiamo? — obiettò Aenea, con una vocina. — Qui non c’è riva… perché dovrebbe esserci dall’altra parte?

Scacciai con un gesto l’obiezione. — Proprio per questo cerchiamo di praticare un’apertura per la zattera — dissi pazientemente. — Se non ci riuscirò, userò il plastico per abbattere una parte della parete. Ci faremo trasportare dalla corrente sopra una lastra di ghiaccio. Qualsiasi cosa, pur di raggiungere il prossimo portale.

— E se usiamo tutto il plastico e dopo venti metri troviamo un’altra parete di ghiaccio? — disse Aenea. — E se il portale si trova a cinquanta chilometri?

Stavo per ripetere il gesto, ma mi accorsi che le mani mi tremavano troppo… per il freddo, mi augurai. Le infilai sotto le ascelle. — Allora moriremo dall’altra parte di questa parete — conclusi. Avevo davanti agli occhi il vapore del respiro. — Meglio che morire qui.

Dopo un momento di silenzio, A. Bettik disse: — Il piano pare la nostra migliore possibilità, signor Endymion, ma… noti la logica dell’obiezione… dovrei andare io. Lei è convalescente, indebolito per le recenti ferite. Io sono stato biocostruito per resistere a temperature estreme.

— Non estreme come questa. Vedo benissimo che hai i brividi. E poi non sapresti dove sistemare le cariche.

— Può darmi le indicazioni, signor Endymion. Con la ricetrasmittente.

— Non sappiamo se funzioneranno, attraverso tutto quel ghiaccio. E poi sarà un compito difficile. Come tagliare un diamante… bisogna sistemare le cariche nei posti giusti.

— Tuttavia è solo sensato che sia io a…

— Può darsi che sia sensato — lo interruppi — ma non andrà così. Il compito è mio. Se… fallisco, prova tu. Inoltre, vinca o perda, sulla zattera dev’esserci una persona robusta per tirarmi. — Mi avvicinai all’androide e gli strinsi la spalla. — Stavolta faccio pesare il grado, A. Bettik.

Malgrado i brividi, Aenea gettò da parte la termocoperta. — Quale grado? — domandò.

Raddrizzai le spalle e assunsi una finta posa eroica. — Ho il piacere d’informarvi d’essere stato sergente di terza classe nei lancieri della Guardia Nazionale di Hyperion. — La dichiarazione fu rovinata solo un poco dal battere di denti.

— Sergente — disse Aenea.

— Di terza classe — precisai.

Aenea mi abbracciò. Rimasi sorpreso e abbassai le braccia per darle goffamente una pacca.

— Di prima classe — disse piano Aenea. Arretrò, batté i piedi, si alitò sulle mani. — E va bene… cosa facciamo?

— Prendo la roba che mi serve. Perché non cerchi quei cento metri di fune che avete usato per l’ancora galleggiante su Mare Infinitum? Dovrebbero bastare. A. Bettik, ti spiace spostare la zattera contro la parete di ghiaccio in modo che l’intera poppa non sia invasa dall’acqua? Forse, spingendola sotto quella bassa sporgenza…

Per un momento fummo affaccendati tutt’e tre. Quando ci riunimmo di nuovo a prua, sotto l’albero maestro accorciato e la lanterna sempre più fioca, dissi a Aenea: — Credi ancora che qualcuno o qualcosa ci mandi per precise ragioni in questi specifici mondi del Teti?

Aenea guardò nel buio per qualche secondo. Dietro di noi, un’altra stalattite cadde in acqua, con un tonfo sordo. — Sì — disse Aenea.

— E qual è la ragione di questo vicolo cieco?

Aenea si strinse nelle spalle, gesto che, in circostanze diverse, sarebbe parso un po’ buffo, sotto tutti quegli strati di vestiario. — Tentazione — rispose.

Non capii. — Tentazione per cosa?

— Odio il freddo e il buio. Li ho sempre odiati. Forse qualcuno m’induce in tentazione per farmi usare certe… facoltà… che ancora non ho adeguatamente esplorato. Alcuni poteri che ancora non mi sono guadagnata.

Guardai le acque nere e turbinanti dove avrei nuotato fra meno di un minuto. — Be’, ragazzina, se possiedi poteri o facoltà che possano toglierci di qui, ti suggerisco di esplorarli e di usarli anche se non te li sei ancora guadagnati.

Aenea mi toccò il braccio. Portava come guanti un paio di miei calzini di lana. — È solo una mia congettura — disse, emanando una nuvoletta di vapore che si congelò sulla tesa del cappello calato sugli occhi. — Ma niente di ciò che imparerò potrebbe toglierci di qui in questo momento. Lo so per certo. Forse la tentazione è… Non ha importanza, Raul. Vediamo se riusciamo ad attraversare questa cascata di ghiaccio.

Annuii, inspirai a fondo e mi spogliai, tenendo solo la biancheria. Lo choc per l’aria gelida fu terribile. Terminai d’annodarmi la fune intorno al petto, notai che le dita diventavano già rigide e inutili, presi da Aenea la sacca a spalla contenente il plastico e dissi: — L’acqua del fiume potrebbe essere tanto gelida da fermarmi il cuore. Se non darò un forte strattone entro i primi trenta secondi, tiratemi sulla zattera.

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