Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

— Significa che in massima parte l’atmosfera di Sol Draconis Septem è solida — spiegò l’androide. — Ghiacciata.

Aenea si guardò intorno. — Mi pare che mia madre abbia parlato di questo pianeta. Una volta, nel corso di un’indagine, vi aveva inseguito un tizio. Lei era lusiana, quindi abituata a una gravità una volta e mezzo quella standard, eppure vi si era trovata a disagio. Mi sorprende che il Teti scorresse anche qui.

A. Bettik si alzò per proiettare ancora all’intorno il raggio della torcia, poi si accucciò accanto al termocubo. Perfino la sua robusta schiena s’ingobbiva per la gravità.

— Cosa dice la guida? — domandai.

A. Bettik prese il volumetto. — Annotazioni molto stringate, signore. Il Teti era stato esteso a Sol Draconis Septem solo da poco, alla data di pubblicazione della guida. Si trova nell’emisfero nord, appena fuori della zona dove l’Egemonia tentò il terraforming. Pare che la principale attrazione di questo tratto del fiume fosse la possibilità di vedere uno spettro artico.

— Ossia le prede dei tuoi amici cacciatori? — disse Aenea.

Annuii. — Bianchi. Vivono in superficie. Molto veloci. Micidiali. Ai tempi della Rete erano quasi estinti, ma dopo la Caduta sono cresciuti di numero, a sentire quei cacciatori. Evidentemente la loro dieta si basa sui residenti di Sol Draconis Septem… i superstiti. Solo gli indigeni, i coloni dell’Egira che si adattarono al pianeta secoli fa, sono sopravvissuti alla Caduta. Si ritiene che siano primitivi. Secondo i cacciatori, gli unici animali che gli indigeni possono cacciare sono gli spettri artici. E gli indigeni odiano la Pax. Corre voce che uccidano i missionari e che usino i loro tendini per farne corde d’arco, come se quei poveracci fossero spettri artici.

— Questo pianeta non è mai stato disponibile ad avere qui le autorità dell’Egemonia — disse l’androide. — Secondo la leggenda, i locali furono molto compiaciuti per la Caduta dei teleporter. Fino alla pestilenza, è ovvio.

— Pestilenza? — disse Aenea.

— Un retrovirus — spiegai. — Ridusse la popolazione dell’Egemonia da parecchie centinaia di milioni a meno di un milione. Gran parte di quel milione fu uccisa dalle poche migliaia d’indigeni. I superstiti furono fatti evacuare nei primi tempi della Pax. — Esitai e guardai la bambina: pareva il bozzetto di una giovane madonna, con la termocoperta drappeggiata in quel modo e con la pelle che riluceva nella luce della lanterna e del termocubo. — Erano tempi duri, nella Rete, dopo la Caduta.

— Così ho sentito — replicò lei, ironica. — Non erano poi così brutti, quando crescevo su Hyperion. — Guardò l’acqua nera lambire la zattera, le stalattiti di ghiaccio. — Chissà perché si sono dati tanto da fare, solo per includere nel giro turistico qualche chilometro di caverna di ghiaccio.

— Questa è la parte più curiosa — dissi, indicando con un cenno la guida. — Dice che la principale attrazione era la possibilità di avvistare uno spettro artico. Ma gli spettri, almeno da quanto ho sentito dire dai cacciatori forestieri, non scavano gallerie nel ghiaccio. Vivono in superficie.

Aenea mi fissò, riflettendo sul significato delle mie parole. — Perciò a quel tempo questa non era una caverna…

— Penso di no — disse A. Bettik. Indicò il soffitto ghiacciato. — Il tentativo di terraformare il pianeta si concentrò nel creare, in certe zone poco elevate, temperatura e pressione sufficienti a consentire la sublimazione, ossia il passaggio diretto dallo stato solido a quello gassoso, dell’atmosfera composta in gran parte di anidride carbonica e di ossigeno.

— Funzionò? — domandò la bambina.

— In zone limitate — rispose l’androide. Indicò le tenebre intorno a noi. — Immagino che questa zona fosse completamente aperta, al tempo in cui i turisti transitavano per questo breve segmento del Teti. O meglio, aperta grazie ai campi di contenimento che trattenevano l’aria e proteggevano dall’inclemenza del tempo. Quei campi, oserei dire, sono ora scomparsi.

— E noi siamo imprigionati sotto una massa di ciò che i turisti respiravano — commentai. Guardai il soffitto, poi la carabina al plasma, ancora nel suo astuccio. — Chissà quanto sarà spessa…

— Con ogni probabilità, alcune centinaia di metri almeno — disse A. Bettik. — Forse un chilometro. Era questo, lo spessore dell’aria ghiacciata a nord delle zone terraformate.

— Conosci un mucchio di cose su questo pianeta — dissi.

— Al contrario, signore. Ormai abbiamo esaurito le mie conoscenze su ecologia, geologia e storia di Sol Draconis Septem.

— Potremmo domandare al comlog — dissi, con un cenno al mio zaino, dove adesso tenevo il braccialetto.

Ci scambiammo un’occhiata. — Ah, lascia perdere — sbuffò Aenea.

— Concordo — disse A. Bettik.

— Più avanti, forse — dissi; ma in quel momento rimpiangevo di non essermi impuntato per prelevare dall’armadio AEV della nave alcune cose: tute riscaldate per ambienti ostili, attrezzatura per immersioni, perfino una tuta spaziale… sarebbero state preferibili agli inadeguati abiti invernali nei quali ora rabbrividivamo.

— Pensavo di sparare al soffitto, praticarvi un foro e far entrare la luce del giorno — ripresi. — Ma il rischio che ci crolli in testa mi sembra maggiore delle probabilità di uscire da quella parte.

A. Bettik annuì. Si era messo un bizzarro copricapo di lana con lunghi paraorecchie. Solitamente alto e magro, ora l’androide pareva tondo e grosso, sotto tutti quegli strati d’indumenti. Disse: — Nella borsa dei razzi è rimasto un po’ di plastico, signor Endymion.

— Sì, pensavo proprio a quello. Basta per cinque o sei cariche di moderata potenza… ma restano solo quattro detonatori. Possiamo cercare di aprirci la strada, verso l’alto o di lato o nella parete di ghiaccio che ci blocca. Ma solo se quattro esplosioni saranno sufficienti.

La madonnina tremante mi guardò. — Dove hai imparato a usare gli esplosivi, Raul? Nella Guardia Nazionale di Hyperion?

— Inizialmente — risposi. — Ma in realtà ho imparato davvero a usare l’antiquato plastico quando eliminavo per Avrol Hume i ceppi e i sassi, mentre costruivamo il paesaggio nelle tenute del Becco… — Mi alzai perché faceva troppo freddo per stare fermi a lungo. Il segnale era l’intirizzimento delle dita delle mani e dei piedi. — Proviamo a tornare a monte — proposi, battendo i piedi e flettendo le dita.

Aenea corrugò la fronte. — Il teleporter attivo seguente è sempre a valle…

— Vero, ma forse qui c’è una via d’uscita a monte. Troviamo un po’ di calore, un modo per uscire da questa grotta, un luogo dove resistere per un poco… e poi pensiamo a come arrivare al portale seguente.

Aenea annuì.

— Ottima idea, signore — disse A. Bettik, spostandosi verso la pertica di destra.

Prima di avviarci, raddrizzai l’albero maestro (ne tagliai via un metro, in modo che non urtasse le stalattiti più basse) vi appesi una lanterna e ne sistemai altre quattro agli angoli della zattera; poi spingemmo l’imbarcazione a risalire la corrente. Le luci formavano piccoli aloni giallastri nella nebbia che si congelava.

Il fiume era poco profondo (non arrivava a tre metri) e le pertiche ci davano una buona spinta, ma la corrente era impetuosa: l’androide e io fummo obbligati a usare tutta la nostra forza per smuovere la pesante zattera. Aenea prese da poppa un’altra pertica e si mise al mio fianco per aiutarci. Alle nostre spalle l’acqua turbinava e si riversava sulle tavole di poppa.

Per qualche minuto l’esercizio fisico ci scaldò (sudavo perfino e il sudore si gelava contro gli indumenti) ma dopo trenta minuti di sforzi e di riposi, di riposi e di sforzi, cominciammo a gelare di nuovo e avevamo percorso solo un centinaio di metri.

— Guardate — disse Aenea. Posò la pertica e prese la torcia più potente.

A. Bettik e io ci appoggiammo alle pertiche, tenendo ferma la zattera. L’estremità di un massiccio portale sporgeva dai grandi blocchi di ghiaccio come un piccolo arco di ruota di un’antico veicolo terrestre intrappolato in un ghiacciaio. Al di là del minuscolo pezzo di portale ancora libero, il fiume si restringeva fino a passare in una fenditura larga solo un metro e poi scomparire sotto un’altra parete di ghiaccio.

104
{"b":"121395","o":1}