Il Padre Capitano de Soya si limita a un cenno d’assenso.
— E se avesse voluto dire che poteva essere una minaccia per i milioni di persone su Vettore Rinascimento? — bisbiglia Wu. — Il motore a fusione, da solo, è un’arma terribile. Un’esplosione termonucleare sopra la città…
De Soya sente un gelido nodo alle viscere, ma ha già riflettuto su questa possibilità. — No — risponde in un bisbiglio. — Se la bambina gira la coda di fusione verso qualcosa, stordiamo la nave, disattiviamo i motori e la lasciamo cadere.
— La bambina… — comincia il capitano Wu.
— Possiamo solo augurarci che sopravviva all’urto. Non lasceremo morire migliaia, o milioni, di cittadini della Pax. — Si appoggia allo schienale della cuccetta anti-accelerazione e si collega con lo spazioporto, sapendo che il raggio compatto deve farsi strada nello strato ionizzato intorno alla navetta. Lancia un’occhiata al video dell’esterno e vede che in quel momento attraversano il terminatore: nello spazioporto sarà notte.
«Controllo spazioporto» comunica il direttore del traffico della Pax. «La nave bersaglio decelera nel corridoio di volo da noi consigliato. Il delta-v è alto… illegale… ma accettabile. Tutto il traffico aereo in un raggio di mille chilometri è stato deviato. Tempo all’atterraggio, quattro minuti e trentacinque secondi.»
«Spazioporto sotto controllo» interviene il comandante Barnes-Avne, sulla stessa rete.
De Soya sa che nello spazioporto e tutt’intorno ci sono parecchie migliaia di soldati della Pax. Una volta a terra, la nave della bambina non potrà più decollare. De Soya guarda il video: le luci di Da Vinci brillano da orizzonte a orizzonte. La nave della bambina ha acceso le luci di navigazione, fari rosso e verde che lampeggiano. I potenti riflettori d’atterraggio si accendono e trapassano le nuvole.
«In corridoio» dice la calma voce del controllore del traffico. «Decelerazione nominale.»
«Visuale diretta!» esclama sulla rete il comandante della pattuglia aerea, Klaus.
«Mantenetevi a distanza» ordina de Soya. Gli Scorpioni possono pungere da parecchie centinaia di chilometri. De Soya non vuole che intralcino la nave in discesa.
«Affermativo.»
«In corridoio, sistema strumentale conferma discesa nominale, tre minuti all’atterraggio» trasmette il controllore di volo alla nave della bambina. «Nave non identificata, avete il permesso di atterrare.»
Silenzio da Aenea.
De Soya passa in ambiente tattico. Ora la nave della bambina è una brace rossastra, quasi librata diecimila metri sopra lo spazioporto della Pax. La navetta di de Soya e i caccia si trovano un chilometro più in alto, girano in tondo come insetti rabbiosi. O come avvoltoi, pensa il Padre Capitano. Nel Llano Estacado c’erano avvoltoi, anche se nessuno ha mai saputo perché le navi coloniali li avessero importati: le praterie picchettate (i picchetti erano i generatori d’atmosfera disposti a intervalli di trenta chilometri in modo da formare una griglia) erano sufficientemente secche e ventose da ridurre in mummia qualsiasi cadavere nel giro di poche ore.
De Soya scuote la testa per schiarirsela.
«Un minuto all’atterraggio» riferisce il controllore. «Nave non identificata, vi avvicinate a velocità di discesa zero. Per favore, modificate il delta-v per continuare la discesa secondo il corridoio di volo predisposto. Nave non identificata, confermare, prego…»
— Maledizione — mormora il capitano Wu.
— Signori — dice il pilota Karyn Cook — La nave ha interrotto la discesa. Rimane librata duemila metri sopra lo spazioporto.
— Lo vediamo, tenente — sbotta de Soya. Le luci, rossa e verde, della nave lampeggiano. I fari d’atterraggio nelle pinne caudali sono tanto vividi da illuminare il tarmac dello spazioporto, due chilometri più in basso. Gli altri velivoli nello spazioporto sono al buio; molti sono stati ritirati negli hangar o in piste di sosta secondarie. I velivoli che girano intorno alla nave, navetta compresa, non hanno luci. De Soya parla sul canale multiplo. «A tutte le navi, mantenere la distanza e non aprire il fuoco.»
«Nave non identificata» dice il controllore della Pax «state uscendo dal corridoio. Riprendete subito la velocità di discesa nominale, prego. Nave non identificata, state lasciando lo spazio aereo controllato. Riprendete subito la discesa prevista…»
— Merda — mormora Barnes-Avne. I suoi soldati aspettano, schierati in cerchi concentrici intorno allo spazioporto, ma la nave della bambina non è più sopra lo spazioporto: va alla deriva sopra il centro di Da Vinci. Ora ha spento i fari d’atterraggio.
— La nave non dà segno di voler accendere il motore a fusione — dice de Soya al capitano Wu. — Sfrutta solo i repulsori.
Wu annuisce, ma chiaramente non è soddisfatta. Una nave con motore a fusione librata sopra un centro urbano è come una lama di ghigliottina sopra un collo indifeso.
«PAC» chiama de Soya «mi sposto nel raggio di cinquecento metri. State vicino a me, prego.» Rivolge un gesto al pilota, che muove la navetta verso il basso in una planata intorno alla nave; pare un uccello da preda. Gregorius e gli altri due soldati, in armatura da combattimento, siedono rigidamente sui sedili posteriori.
— Cosa diavolo combina? — mormora il comandante Barnes-Avne. Sulla banda tattica de Soya vede che la donna ha ordinato a un centinaio di soldati di seguire, con i monopropulsori a reazione, la nave. I soldati sono invisibili alle telecamere esterne.
De Soya ricorda il piccolo velivolo, o zaino di volo, che ha prelevato la bambina nella Valle delle Tombe del Tempo. Si collega con il controllo a terra e con le vedette orbitali. «Sensori? State controllando che piccoli oggetti non lascino la nave bersaglio?»
La risposta proviene dalla vedetta primaria. «Sissignore. Non si preoccupi, signore. Neppure un microbo potrebbe uscire da quella nave senza lasciare traccia, signore.»
«Molto bene» dice de Soya. "Che cosa ho dimenticato?" si domanda. La nave di Aenea continua a librarsi lentamente sopra Da Vinci, direzione nord-nordovest, a circa venticinque chilometri all’ora: un lento dirigibile verticale portato dal vento. Al di sopra della nave turbinano i caccia penetrati nell’atmosfera insieme con la navetta di de Soya. Intorno alla nave, simili alle pareti di un ciclone in rotazione intorno all’occhio, turbinano gli Scorpioni della Pattuglia Aerea. Sotto la nave, sfiorando gli edifici e i ponti della città, i marines dello spazioporto e i soldati seguono il bersaglio basandosi sui sensori a infrarossi del visore della tuta e sui dati di rilevamento.
La nave della bambina si libra su silenziosi repulsori EM sopra i grattacieli e le zone industriali di Da Vinci. La città risplende di luci: autostrade, edifici, verdi distese di campi da gioco, rettangoli vividamente illuminati delle aree di parcheggio. Decine di migliaia di veicoli terrestri strisciano sui nastri d’autostrade sopraelevate e i loro fari incrementano lo spettacolo luminoso della città.
— La nave si gira, signore — riferisce il pilota. — Sempre sui repulsori.
Tanto sui video quanto sulla banda tattica de Soya vede la nave di Aenea assumere lentamente la posizione orizzontale. Non compaiono ali. Quella posizione sarebbe insolita per i passeggeri, ma in pratica non fa differenza: i campi interni controllano ancora "alto" e "basso". La nave, più che mai simile a un argenteo dirigibile sospinto dal vento, si muove sopra il fiume e i depositi ferroviari della parte nordovest di Da Vinci. Il controllo del traffico chiede con insistenza una risposta, ma i canali di trasmissione rimangono muti.
"Che cosa ho dimenticato?" si domanda il Padre Capitano de Soya.
Quando Aenea chiese alla nave di girarsi in posizione orizzontale, confesso che per un istante perdetti quasi la calma.
Fui quasi sopraffatto dalla sensazione di cadere. In quel momento eravamo tutt’e tre vicino al bordo della stanza circolare e grazie allo scafo trasparente guardavamo in basso, come dall’orlo di un precipizio. Ora ci rovesciavamo verso quelle luci mille metri più in basso. A. Bettik e io arretrammo istintivamente di alcuni passi verso il centro della stanza (io agitai davvero le braccia, come per mantenere l’equilibrio), ma Aenea rimase sul bordo della stanza e osservò il terreno inclinarsi verso di lei e diventare una muraglia di edifici e di luci.