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— Sarebbe un maledetto servizio rompiculo per niente, signore — dice Gregorius. — Scusi l’espressione, Padre.

De Soya annuisce, turbato. Hanno lasciato lì gli ultimi rilevatori di movimento: hanno esplorato cinque mondi su duecento e sono già a corto di materiale. Anche lui è depresso al pensiero d’inviare soldati su quel pianeta, ma non vede alternativa. Oltre al dolore sordo della risurrezione e agli sbalzi d’umore che ora lo tormentano di continuo, è in preda all’avvilimento e ai dubbi. Si sente un vecchissimo gatto cieco mandato ad acchiappare un topo, ma impossibilitato a sorvegliare duecento tane nello stesso tempo. Non per la prima volta, rimpiange di non essere nella Periferia a combattere contro gli Ouster.

Come se gli leggesse nel pensiero, il sergente Gregorius dice: — Signore, ha esaminato davvero l’itinerario stabilito dalla Raffaele?

— Sì, sergente, perché?

— Toccheremo alcuni pianeti che non sono più nostri, Capitano. Non solo nell’ultima parte del giro… quei mondi sperduti nella Periferia. La Raffaele vuole portarci su pianeti occupati dagli Ouster già da molto tempo.

De Soya annuisce, stanco. — Lo so, sergente. Nel chiedere al computer della nave di elaborare questo viaggio, non ho posto condizioni relative alle aree di guerra né alle zone difensive della Grande Muraglia.

— Ci sono diciotto pianeti che sarebbe un po’ azzardato visitare — dice Gregorius, con la traccia di un sogghigno. — Visto che al momento appartengono agli Ouster.

De Soya annuisce di nuovo, ma non replica.

Parla invece il caporale Kee, con calma. — Se vorrà dare un’occhiata anche a quelli, signore, saremo più che felici di accompagnarla.

Il prete-capitano guarda in viso i suoi tre uomini. Pensa d’avere dato troppo per scontate la loro lealtà e la loro presenza. — Grazie — dice con semplicità. — Decideremo quando arriveremo a quella parte del… del giro turistico.

— Cosa che a questo ritmo potrebbe verificarsi fra un centinaio d’anni standard — commenta Rettig.

— Certo, è possibile — dice de Soya. — Agganciamo le cinture e andiamo via in fretta da questo buco.

Traslano fuori del sistema.

Ancora nel Vecchio Vicinato, praticamente appena fuori del cortile posteriore della Vecchia Terra pre-Egira, balzano su due pianeti pesantemente terraformati che girano con la loro complicata coreografia nello spazio di mezzo anno luce fra Epsilon Eridani ed Epsilon Indi.

L’Esperimento Abitativo Eurasiano Omicron2-Epsilon3 è stato un eroico tentativo utopistico pre-Egira di ottenere contro ogni probabilità il terraforming e la perfezione politica, soprattutto neomarxista, in mondi ostili durante la fuga da forze ostili. Tentativo miseramente fallito. Al posto degli utopisti l’Egemonia aveva messo basi della FORCE:spazio e stazioni automatiche di rifornimento carburante; ma poi la pressione delle navi coloniali dirette alla Periferia e il passaggio delle spin-navi nella regione del Vecchio Vicinato durante l’Egira avevano portato a terraformare con successo quei due pianeti bui che giravano fra il fioco Epsilon Eridani e l’ancora più fioco Epsilon Indi. Infine la famosa disfatta della flotta di Glennon-Height aveva dato fama e importanza militare ai due pianeti gemelli. In seguito la Pax aveva ricostruito le basi abbandonate della FORCE e rigenerato i declinanti sistemi di terraforming.

La ricerca di de Soya in queste due sezioni del Teti è rapida ed efficiente. Ciascun tratto di fiume si trova all’interno di aree militari riservate: presto risulta evidente che la bambina, per non parlare della nave, non può avere attraversato quella zona nei due mesi precedenti senza essere scoperta e costretta ad atterrare. De Soya l’aveva già intuito, perché conosce il sistema di Epsilon (è passato da lì varie volte, nei suoi viaggi alla Grande Muraglia e oltre), ma ha ritenuto di poter esaminare di persona i portali.

Tuttavia è una fortuna che il sistema abbia una guarnigione: sia Kee sia Rettig devono essere ricoverati in ospedale. Ingegneri e specialisti della Chiesa esaminano la Raffaele e trovano che ci sono piccole ma gravi imperfezioni nelle culle automatiche di risurrezione. Le riparazioni richiedono tre giorni.

Stavolta, quando traslano fuori del sistema, facendo solo un’altra fermata nel Vecchio Vicinato prima di passare nell’estesa Rete post-Egira, possono sperare a buon diritto in un miglioramento dello stato depressivo e dell’instabilità emotiva, se dovranno affrontare di nuovo la risurrezione automatizzata.

— Ora dove siete diretti? — domanda padre Dimitrius, lo specialista che li ha aiutati negli ultimi giorni.

De Soya esita solo un secondo. Non comprometterà la missione, se riferirà all’anziano prete solo quel dato.

— Mare Infinitum — risponde. — Un pianeta oceanico a circa tre parsec verso l’esterno e due anni luce sopra il piano della…

— Ah, sì — dice l’anziano prete. — Qualche decina d’anni fa avevo una missione su quel pianeta per portare nella luce di Cristo i pescatori indigeni. — Il canuto prete alza la mano e benedice. — Qualsiasi cosa lei cerchi, Padre Capitano de Soya, prego sinceramente che la trovi su quel pianeta.

De Soya sta per lasciare Mare Infinitum, quando la pura e semplice fortuna gli offre il tanto atteso indizio.

Sono già trascorsi sessantatré giorni dall’inizio delle ricerche e due dalla risurrezione nelle culle a bordo della stazione orbitale della Pax; quello è l’inizio del loro ultimo giorno sul pianeta.

Un tenente giovane e ciarliere, Baryn Alan Sproul, è l’ufficiale di collegamento fra de Soya e il comando della flotta della Pax intorno a 70 Ophiuchi A; come tutte le guide turistiche della storia, il giovanotto riferisce a de Soya e ai suoi uomini più informazioni generali di quante a loro piacerebbe ascoltare. Ma è un bravo pilota di tòtteri e su quel mondo oceanico, in una macchina volante a lui poco nota, de Soya ha piacere d’essere il passeggero, anziché il pilota; si rilassa un poco, mentre Sproul li porta verso sud, lontano dall’estesa città galleggiante di Santa Teresa, nelle deserte zone di pesca dove ancora galleggiano le arcate dei teleporter.

— Perché qui i portali sono così distanti l’uno dall’altro? — domanda Gregorius.

— Ah, be’, è una lunga storia — dice il tenente Sproul.

De Soya coglie l’occhiata del sergente. Gregorius non sorride quasi mai, tranne nell’imminenza del combattimento; ma de Soya ormai sa bene che un certo luccichio negli occhi del sergente equivale a una grassa risata.

— … perciò l’Egemonia voleva costruire i portali del Teti quaggiù, in aggiunta alla sfera orbitale e ai piccoli teleporter sistemati da tutte le parti… un’idea abbastanza sciocca, vero, signore? mettere in questo oceano un segmento di un fiume… Comunque, lo volevano nella Corrente Mediolitorale, cosa che ha un certo senso perché è lì che si trovano i leviatani e alcuni dei più notevoli gigacanti, nel caso che i turisti della Rete volessero vedere i pesci, cioè… ma il problema è, be’, molto ovvio…

De Soya lancia un’occhiata al caporale Kee che sonnecchia nel tiepido sole che entra dalla bolla del tòttero.

— È ovvio che non c’è nulla di tanto permanente da giustificare la costruzione d’impianti grossi come quei portali… li vedrà fra un minuto, signore, sono davvero enormi. Be’, voglio dire, ci sono anelli corallini, certo, ma non sono abbarbicati a scogliere, galleggiano; ci sono anche le isole d’algagialla, ma non sono… voglio dire, se vi mette piede, sprofonda, se capisce cosa voglio dire, signore… Là, a destra, signore. Quella è algagialla. Non ce n’è molta, così a sud. Comunque, gli ingegneri della vecchia Egemonia montarono quei portali un po’ come abbiamo fatto noi per le piattaforme e le città negli ultimi cinquecento anni, signore. Ossia, hanno posto le fondamenta a tre o quattrocento metri… roba grossa e pesante dev’essere, signore… e poi hanno conficcato sul fondo grosse ancore a draga frenate da cavi. Ma qui il fondo dell’oceano è piuttosto incerto… di solito si trova almeno a ventimila metri… è là che vivono i grossi nonnini dei gigacanti di superficie come Bocca a Lampada, signore… mostri a enorme profondità, signore… lunghi chilometri…

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