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L’arcivescovo di Tau Ceti Centro divenne una delle più importanti e, sì, più potenti, personalità del riemergente dominio umano ora noto come Pax, rivaleggiando in influenza con Sua Santità su Pacem. Questo potere crebbe, trovò confini che non potevano essere superati senza incorrere nella collera papale (la scomunica di Sua Eccellenza il cardinale Klaus Kronenberg nell’Anno di Nostro Signore 2978, ossia nel 126 Dopo la Caduta, contribuì a stabilire questi confini) e continuò a crescere in quell’ambito.

Così, al primo balzo dal sistema di Vettore Rinascimento, il Padre Capitano de Soya scopre d’essersi sbagliato. Due anni, ha previsto, circa seicento giorni e duecento morti autoimposte per esaminare tutti i pianeti toccati un tempo dal fiume Teti.

Con le sue Guardie Svizzere, si trattiene otto giorni su Tau Ceti Centro. La Raffaele entra nel sistema e invia con il radarfaro automatico pulsazioni in codice; le navi della Pax rispondono e nel giro di quattordici ore si presentano all’appuntamento. Sono necessarie altre otto ore per decelerare nel traffico orbitale di TC2 e altre quattro per trasferire i corpi nella culla di risurrezione della capitale planetaria, San Paolo. In questo modo si perde un giorno intero.

Dopo tre giorni di risurrezione formale e dopo un altro giorno di riposo forzato, de Soya incontra l’arcivescovo di TC2, Sua Eccellenza Achilia Silvaski, e deve sopportare un giorno intero di formalità. De Soya ha con sé il diskey papale, una delega di potere quasi inaudita, e la corte dell’arcivescovo, simile a una muta di cani da caccia dietro l’usta, deve annusare le motivazioni e i prevedibili risultati di quel potere. Nel giro di qualche ora de Soya comincia a intuire i vari strati d’intrigo e di complessità all’interno di quella lotta di potere: l’arcivescovo Silvaski non può aspirare alla porpora cardinalizia perché, dopo la scomunica di Kronenberg, nessun capo spirituale di TC2 raggiunge un grado superiore a quello di arcivescovo senza trasferirsi su Pacem e nel Vaticano, ma l’attuale potere di Silvaski in quel settore della Pax supera di gran lunga quello di molti cardinali e la parte temporale di questo potere tiene a freno anche ammiragli della Flotta della Pax. Silvaski deve capire la portata della delega d’autorità papale che de Soya ha con sé e renderla inoffensiva per i propri scopi.

Il Padre Capitano de Soya se ne frega della paranoia dell’arcivescovo Silvaski e della politica della Chiesa su TC2. A lui interessano solo le vie d’uscita dei teleporter locali. Nel quinto giorno dalla traslazione nel sistema di Tau Ceti, de Soya percorre i cinquecento metri che separano dal fiume la cattedrale di San Paolo e l’arcivescovado: il fiume è un affluente secondario deviato in un canale che scorre nella città, ma un tempo faceva parte del Teti.

I giganteschi portali, ancora esistenti perché secondo gli ingegneri il tentativo di smantellarli causerebbe un’esplosione nucleare, sono da tempo pavesati di stendardi della Chiesa, ma non distano molto l’uno dall’altro: lì il Teti percorreva solo due chilometri da portale a portale e scorreva davanti all’affaccendato Palazzo del Governo e ai giardini del Parco dei Cervi. Ora il Padre Capitano de Soya, le sue tre Guardie Svizzere e la scorta di decine di attenti soldati della Pax fedeli all’arcivescovo Silvaski, si fermano davanti al primo portale e ammirano sulla riva erbosa l’arazzo lungo trenta metri (una raffigurazione del martirio di S. Paolo) appeso al secondo portale, chiaramente visibile al di là dei peschi in fiore dei giardini dell’arcivescovado.

Poiché quella sezione del Teti si trova adesso nei giardini privati di Sua Eccellenza, ci sono guardie lungo il canale e ai ponti. Le guardie non prestano particolare attenzione agli antichi manufatti che un tempo erano ingressi di teleporter, ma gli ufficiali della guardia patatina assicurano a de Soya che nessun veicolo, né individui non autorizzati, sono passati da quei portali né sono stati visti lungo le rive del canale.

De Soya esige che ci sia una guardia permanente ai portali. Vuole che siano piazzate telecamere per una sorveglianza di ventinove ore su ventinove. Vuole sensori, allarmi, trappole. I militari della Pax conferiscono con l’arcivescovo; poi, di malavoglia, eseguono l’ordine che ritengono uno sminuimento della propria sovranità. De Soya quasi dispera, notando quelle inutili manovre politiche.

Il sesto giorno, il caporale Kee si ammala di una febbre misteriosa ed è ricoverato in ospedale. De Soya la ritiene una conseguenza della risurrezione: ciascuno di loro ha patito in privato tremiti convulsi, sbalzi emotivi e altre indisposizioni meno gravi. Il settimo giorno Kee è in grado di camminare e implora de Soya di toglierlo dall’infermeria e da quel pianeta. Ma ora l’arcivescovo chiede con insistenza che quella sera de Soya lo assista nella celebrazione di una Messa solenne in onore di Sua Santità Giulio XIV. De Soya non può rifiutare, perciò quella sera… fra scettri e monsignori dai bottoni rosa, sotto il gigantesco stemma con la Triplice Corona e le Chiavi Incrociate di Sua Santità (stemma che compare anche sul diskey papale che de Soya porta al collo) tra i fumi d’incenso, le mitre bianche e il tintinnio di campanelle, nel solenne canto di un coro di seicento voci bianche, il semplice prete-guerriero nato su MadredeDios e l’elegante arcivescovo celebrano il mistero della crocifissione di Cristo e della risurrezione. Quella sera il sergente Gregorius riceve la comunione dalla mano di de Soya (come fa ogni giorno, dall’inizio della ricerca) in compagnia di alcune decine di persone scelte come lui per ricevere l’Ostia, segreto del successo dell’immortalità crucimorfica in questa vita, mentre tremila fedeli pregano e assistono alla cerimonia nella fioca luce della cattedrale.

L’ottavo giorno i quattro lasciano il sistema e per la prima volta il Padre Capitano de Soya accoglie come gradito mezzo di fuga la prossima morte.

La loro risurrezione avviene in una culla su Porta del Paradiso, pianeta un tempo miserrimo, ai tempi della Rete terraformato con alberi ombrosi e con tutte le comodità, ora in gran parte tornato al fango ribollente, alle paludi pestilenziali, all’atmosfera irrespirabile e all’ardente cascata di radiazioni del suo sole, Vega Primo. Il computer di bordo della Raffaele, calcolatore privo d’intelligenza, ha scelto il percorso da seguire lungo i mondi del Teti sulla base dell’efficienza del viaggio per visitarli, perché su Vettore Rinascimento non si sono trovati indizi della possibile destinazione della bambina. De Soya nota con interesse che si avvicinano sempre di più al sistema della Vecchia Terra… meno di dodici anni luce, da TC2; ora solo poco più di otto anni luce, da Porta del Paradiso. Si rende conto che visiterebbe con piacere il sistema solare della Vecchia Terra… anche senza la Vecchia Terra… nonostante il fatto che Marte e gli altri corpi celesti abitati, pianeti e lune e asteroidi, siano provinciali e arretrati e non rivestano per la Pax maggior interesse del suo stesso MadredeDios.

Ma il Teti non scorreva nel sistema della Vecchia Terra, perciò de Soya deve dominare la propria curiosità e accontentarsi del fatto che i mondi seguenti saranno ancora più vicini a quel sistema solare.

Anche Porta del Paradiso comporta la perdita di otto giorni, ma non per ragioni di politica interna della Chiesa. In orbita intorno al pianeta c’è una piccola guarnigione della Pax, che di rado scende su quel mondo disastrato. Nei 274 anni standard dalla Caduta, la popolazione di Porta del Paradiso si è ridotta da quattrocento milioni di residenti a una decina di scombicchierati cercatori minerari che vagano sui pianori di fango: ancora prima che Meina Gladstone ordinasse la distruzione dei teleporter, gli Sciami Ouster avevano assalito il sistema vegano, avevano distrutto la sfera di contenimento orbitale, sbriciolato la capitale Città Piana Fangosa e i suoi amabili giardini, annientato con bombe al plasma le stazioni generatrici d’atmosfera per la cui costruzione erano occorsi secoli e praticamente avevano sterilizzato il pianeta ancora prima che la perdita del collegamento teleporter facesse in modo che niente vi sarebbe più cresciuto.

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