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— E trovare il tuo architetto.

— Sì — disse Aenea.

Guardai la giungla e il fiume. — Non pare un luogo promettente per trovare un architetto. Immagino che tu abbia ragione… dovremo solo scendere il fiume fino al prossimo mondo. — Mi cadde l’occhio sul portale coperto di rampicanti da poco varcato. In quel momento capii perché ci eravamo arenati: in quel punto il fiume curvava a destra, a circa mezzo chilometro dal portale. La nave aveva mantenuto la direzione ed era finita nell’acqua bassa e poi sulla spiaggia.

— Un momento — dissi. — Non potremmo riprogrammare quel portale e usarlo per andare da un’altra parte? Perché dobbiamo cercarne un altro?

A. Bettik si scostò dalla nave per guardare meglio l’arco del teleporter. — I portali del Teti non funzionavano come i milioni di teleporter personali — disse con calma. — E non erano neppure progettati per funzionare come i portali del Grand Concourse né come i grandi teleporter spaziali. — Prese di tasca un librettino. Vidi il titolo: Guida per la Rete dei Mondi. — A quanto pare — continuò A. Bettik — il Teti fu progettato principalmente per lo svago e il vagabondaggio. La distanza fra i portali variava da qualche chilometro a parecchie centinaia…

— Centinaia di chilometri! — esclamai. M’ero aspettato di trovare il secondo portale al di là della prima curva del fiume.

— Sì — riprese A. Bettik. — L’idea, da quanto ho capito, era di offrire al viaggiatore un’ampia varietà di mondi, panorami, esperienze. A questo scopo si attivavano solo i portali a valle, che si autoprogrammavano secondo uno schema casuale: ossia i tratti di fiume sui diversi mondi erano di continuo mischiati come le carte di un mazzo.

Scossi la testa. — Nei Canti del vecchio poeta si dice che dopo la Caduta i fiumi furono tagliati, che si prosciugarono come buche d’acqua nel deserto.

Aenea sbuffò. — A volte zio Martin dice un mucchio di stronzate, Raul. Lui non ha mai visto che fine ha fatto il Teti dopo la Caduta. Zio Martin era su Hyperion, ricordi? Non è mai tornato nella Rete. Se l’è inventato.

Non fu il suo modo di parlare del massimo capolavoro letterario degli ultimi trecento anni e del leggendario poeta che l’aveva composto… ma a quel punto scoppiai a ridere e faticai a fermarmi. Tornato serio, vidi che Aenea mi fissava in modo bizzarro. — Stai bene, Raul? — mi domandò.

— Certo — risposi. — Sono solo felice. — Mi girai e con un gesto indicai insieme la giungla, il fiume, il portale… perfino quella balena arenata della nostra nave. — Per qualche ragione, sono solo felice.

Aenea annuì, come se capisse alla perfezione.

Mi rivolsi all’androide. — Il libro dice qual è questo mondo? Giungla, cielo azzurro, simile alla Vecchia Terra… nella scala Solmev, dovrebbe essere intorno al 9,5. Una valutazione ben poco frequente. Il libro lo elenca?

A. Bettik sfogliò le pagine. — Non ricordo che si parli di un mondo coperto di giungla, nelle parti che ho letto, signor Endymion. Più tardi lo leggerò tutto con maggior attenzione.

— Be’, penso proprio che bisognerà dare un’occhiata intorno — disse Aenea. Non vedeva l’ora d’esplorare il pianeta, era chiaro.

— Ma prima dobbiamo recuperare dalla nave alcune cose importanti — dissi. — Ho fatto un elenco…

— Perderemo delle ore — obiettò Aenea. — Il sole tramonterà, prima che finiamo.

— Tuttavia qui dobbiamo organizzarci — replicai, pronto a discutere.

— Se posso dare un suggerimento… — intervenne con calma A. Bettik. — Lei e la signorina Aenea potreste… ah… fare il sopralluogo, mentre comincio a recuperare gli oggetti indispensabili di cui si parlava. A meno che lei non ritenga più assennato dormire nella nave stanotte.

Guardammo la povera nave. Il fiume turbinava intorno allo scafo e proprio sopra il livello dell’acqua si scorgevano i resti anneriti e contorti delle superbe pinne caudali. All’idea di dormire in quella confusione illuminata dal rosso delle luci d’emergenza o nel buio totale dei livelli centrali, dissi: — Be’, nella nave saremmo più al sicuro, ma portiamo fuori la roba che ci serve per spostarci a valle del fiume e poi decidiamo.

Discussi con l’androide per qualche minuto. Avevo con me la carabina al plasma, nonché la .45 nella fondina alla cintura, ma volevo pure la doppietta cal. 16 che avevo messo da parte e le attrezzature da campeggio che avevo visto nel magazzino Attività Extra Veicolari. Non sapevo come saremmo scesi a valle… probabilmente il tappeto hawking poteva portare noi tre, ma non lo vedevo a trasportare anche il bagaglio; così decidemmo di disimballare tre delle quattro aerociclette conservate nelle nicchie sotto l’armadio delle tute spaziali. C’era anche una cintura di volo che ritenevo potesse venirci utile, nonché alcuni accessori da campeggio, come un termocubo, sacchi a pelo, materassi di flussoschiuma, torce laser per tutti e ricetrasmettitori a cuffia. — Oh, anche un machete, se lo trovi — dissi. — C’erano diverse scatole di coltelli e lame multiuso, nel piccolo armadio AEV. Non ricordo d’avere visto un machete, ma se ce ne fosse uno… portalo fuori.

A. Bettik e io andammo al limitare della giungla, trovammo un albero caduto sul bordo dell’acqua e lo trascinammo (con sudore e imprecazioni da parte mia) accanto alla nave, perché fungesse da scaletta per risalire lo scafo. — Ah, sì, guarda anche se in quella confusione c’è una scala di corda — dissi. — E un battello gonfiabile di qualche tipo.

— Nient’altro? — domandò ironicamente A. Bettik.

— No… be’, una sauna, se ne trovi. E un bar ben fornito. E una banda di dodici strumenti per ascoltare un po’ di musica mentre disimballiamo.

— Farò del mio meglio, signore — disse A. Bettik. Iniziò la scalata dell’albero-scaletta per giungere in cima allo scafo.

Provai un senso di colpa, nel lasciare ad A. Bettik tutto il lavoro pesante; ma scoprire quanto distava il prossimo teleporter pareva un’idea assennata e non avevo intenzione di lasciare che Aenea andasse da sola in ricognizione. La bambina si accomodò dietro di me e io toccai i disegni attivatori del tappeto, che divenne rigido e si alzò di alcuni centimetri sopra la sabbia bagnata.

— Fico — disse Aenea.

— Cosa?

— Fico, magnifico — spiegò Aenea. — Zio Martin diceva che era gergo giovanile, quando lui era un moccioso sulla Vecchia Terra.

Sospirai e toccai i fili di volo. Salimmo a spirale e ben presto ci trovammo al di sopra degli alberi. Ora il sole era decisamente basso, nella direzione che immaginai fosse l’ovest. — Nave? — chiamai nel braccialetto comlog.

«Sì?» Il tono della nave dava sempre l’impressione che l’avessi interrotta mentre era impegnata in qualche lavoro importante.

— Parlo con te o con la banca dati che hai scaricato nel comlog?

«Finché sarà a portata di trasmissione, signor Endymion, parlerà con me.»

— Qual è, questa portata? — Ci abbassammo a trenta metri dal fiume. Accanto al portello stagno spalancato, A. Bettik ci salutò agitando il braccio.

«Ventimila chilometri, oppure la curvatura del pianeta, se si presenta per prima» rispose la nave. «Come ho già detto, non ho localizzato alcun satellite relè intorno a questo pianeta.»

Toccai il disegno di partenza e cominciammo a volare a monte del fiume, verso l’arcata coperta di rampicanti. — Puoi parlarmi attraverso un portale di teleporter? — domandai alla nave.

«Un portale attivo? Come potrei, signor Endymion? Lei sarebbe ad anni luce di distanza.»

La nave aveva un modo tutto suo di farmi sentire stupido e provinciale. In genere ne apprezzavo la compagnia, ma confesso che non me la sarei presa troppo, quando ce ne saremmo andati.

Aenea si appoggiò alla mia schiena e mi parlò nell’orecchio, per superare il rumore del vento dovuto all’accelerazione. — Gli antichi portali erano attraversati da cavi a fibre ottiche — disse. — Funzionava. Ma non bene come l’astrotel.

— Perciò, se volessimo continuare a parlare con la nave una volta a valle del fiume, potremmo tendere cavi telefonici? — replicai, girando solo la testa.

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