O forse aveva tirato a indovinare e fatto centro.
— Non voglio essere un eroe — dichiarai in tono piatto. — Ho già visto cosa accade agli eroi, quando inviarono la mia brigata contro i ribelli nel continente meridionale.
— Ah, Ursa — borbottò lui. — L’orso del polo sud. La più inutile massa di ghiaccio e di fango che ci sia su Hyperion. Ricordo alcune voci di disordini da quelle parti.
La guerra laggiù era durata otto anni di Hyperion e aveva ucciso migliaia di ragazzi come me tanto stupidi da arruolarsi nella Guardia Nazionale. Forse il vecchio poeta non era poi così sagace come cominciavo a ritenerlo.
— Non intendo eroe come gli idioti che si buttano sulle granate al plasma per fare scudo ad altri — continuò Sileno, umettandosi le labbra, con un guizzo della lingua, come una lucertola. — Intendo eroe come quelli il cui valore e la cui bravura sono tanto leggendari da fare in modo che siano onorati come divinità. Intendo eroe nel senso letterale, come protagonista centrale predestinato a gesta importanti. Intendo eroe come colui i cui tragici difetti saranno la sua rovina. — Il poeta esitò e mi guardò: pareva aspettare una reazione. Ma io lo fissai in silenzio.
— Niente tragici difetti? — disse lui infine. — Né predisposizione a gesta importanti?
— Non voglio essere un eroe — ripetei.
Il vecchio poeta s’ingobbì sulla tazza di caffè. Quando rialzò il viso, aveva negli occhi una luce maliziosa. — Dove ti fai tagliare i capelli, ragazzo?
— Prego?
Si umettò di nuovo le labbra. — Mi hai sentito. Hai i capelli lunghi, ma non incolti. Dove te li fai tagliare?
Sospirai. — A volte, quando stavo nelle paludi per lungo tempo, me li tagliavo da solo; ma quando sono a Port Romance, vado in un negozietto di via Datoo.
— Ahhh — disse Sileno, appoggiandosi alla spalliera. — Conosco via Datoo. Si trova nel Distretto Notte. Un vicolo, più che una via. C’era un mercato all’aperto che vendeva furetti in gabbie dorate. C’erano barbieri ambulanti, ma il miglior salone apparteneva a un vecchio, Palani Woo. Aveva sei figli e, man mano che crescevano, aggiungeva una poltrona nel negozio. — Alzò gli occhi e ancora una volta fui colpito dall’energia della sua personalità. — Parlo di un secolo fa — disse.
— Mi faccio tagliare i capelli nel salone di Woo — dissi. — Il pronipote di Palani Woo, Kalakaua, è l’attuale proprietario. Ci sono ancora sei poltrone.
— Sì — disse il poeta, annuendo a se stesso. — Ben poco cambia nel nostro amato Hyperion, vero, Raul Endymion?
— Era questo, il suo punto?
— Punto? — Aprì le mani, come per mostrare che non nascondeva niente di così sinistro come un punto. — Niente punti. Conversazione, ragazzo mio. Mi diverte pensare che le Figure Storiche del Mondo, addirittura eroi dei miti futuri, pagano per farsi tagliare i capelli. M’è venuto in mente secoli fa, a proposito… la bizzarra sconnessione fra la sostanza del mito e la sostanza della vita. Sai cosa significa "Datoo"?
Fui sorpreso dall’improvviso cambio d’argomento. — No.
— Un vento che soffiava da Gibilterra. Portava una magnifica fragranza. Alcuni degli artisti e dei poeti che fondarono Port Romance devono avere pensato che le foreste di chalma e di weir, che ricoprivano le montagne sopra la palude, avevano un buon profumo. Sai cos’era Gibilterra, ragazzo?
— No.
— Una grande rocca sulla Terra — gracchiò il vecchio. Mostrò di nuovo i denti. — Bada bene, non ho detto Vecchia Terra.
L’avevo notato.
— La Terra è la Terra, ragazzo. Vissi lì, prima che scomparisse, quindi dovrei saperlo.
Quel pensiero mi dava ancora le vertigini.
— Voglio che tu la trovi — disse con occhi scintillanti il poeta.
— Che trovi… la Vecchia Terra? Pensavo volesse mandarmi in giro con la bambina… Aenea.
Con un movimento delle mani ossute scacciò l’obiezione. — Vai con lei e troverai la Terra, Raul Endymion.
Mossi il capo in un cenno d’assenso e intanto considerai se era saggio spiegare a quel vecchio che la Vecchia Terra era stata inghiottita dal buco nero provocato nelle sue viscere durante il Grande Errore del ’38. D’altra parte il vecchio era fuggito da quel mondo ridotto in frantumi. Non aveva senso contraddire le sue illusioni. Nei Canti aveva accennato a un complotto delle IA del TecnoNucleo, in guerra fra loro, per rubare la Vecchia Terra… per trafugarla e nasconderla nell’Ammasso Ercole o nella Nube di Magellano, i Canti discordavano a questo proposito… ma era una fantasia. La Nube di Magellano era una galassia a parte, distante più di 160 mila anni luce dalla Via Lattea, se ricordavo giusto, e nessuna nave, della Pax o dell’Egemonia, era mai stata inviata più lontano della nostra piccola sfera in un braccio della spirale della nostra galassia… e anche con il motore Hawking e il passaggio a realtà non einsteiniane, un viaggio fino alla Grande Nube di Magellano avrebbe richiesto molti secoli di tempo/nave e decine di migliaia d’anni di debito temporale. Perfino gli Ouster, che avevano la passione per gli spazi bui fra le stelle, non avrebbero intrapreso un simile viaggio.
Inoltre, non si rapiscono i pianeti.
— Voglio che trovi la Terra e la riporti indietro — proseguì il vecchio poeta. — Voglio rivederla, prima di morire. Mi farai questo favore, Raul Endymion?
Lo guardai negli occhi. — Certo — dissi. — Salvare dalle Guardie Svizzere e dalla Pax la bambina, proteggerla finché non sarà Colei Che Insegna, trovare la Vecchia Terra e riportarla indietro in modo che lei la riveda. Facile. Altro?
— Sì — disse Martin Sileno, col tono d’assoluta solennità che accompagna la demenza. — Devi scoprire che cazzo combina il Tecno-Nucleo e impedirgli di attuarlo.
Annuii di nuovo. — Trovare il TecnoNucleo scomparso e impedire che il potere congiunto di migliaia di IA simili a dèi attui qualsiasi cosa abbia in ballo — dissi, stillando sarcasmo. — Ho preso nota. Sarà fatto. Altro?
— Sì. Devi parlare agli Ouster e vedere se possono offrirmi l’immortalità… la vera immortalità, non quella merda di risurrezione cristiana.
Finsi di prendere appunti su di un invisibile blocchetto. — Ouster… immortalità… non merda cristiana. Fattibile. Segnato. Altro?
— Sì, Raul Endymion. Voglio che la Pax sia distrutta e che il potere della Chiesa sia abbattuto.
Annuii. Due o trecento pianeti si erano uniti spontaneamente alla Pax. Trilioni d’esseri umani avevano ricevuto spontaneamente il battesimo della Chiesa. L’esercito della Pax era più potente di quanto la FORCE dell’Egemonia non si fosse mai sognata al massimo del suo splendore. — D’accordo — dissi. — Me ne occuperò io. Altro?
— Sì. Devi impedire allo Shrike di nuocere a Aenea o di spazzare via la razza umana.
Qui esitai. Secondo il poema epico del vecchio, lo Shrike era stato distrutto dal soldato Fedmahn Kassad in un’imprecisata epoca futura. Pur conoscendo la futilità di far entrare la logica nella conversazione con un pazzo, misi in evidenza questo particolare.
— Sì! — sbottò il vecchio poeta. — Ma è una questione di tempo! Devi fermare lo Shrike adesso, non fra vari millenni!
— D’accordo — risposi. A che scopo discutere?
Martin Sileno si lasciò ricadere contro la spalliera, come se tutta la sua energia si fosse dissipata. Vidi di nuovo in lui la mummia animata: nelle pieghe della pelle, negli occhi infossati, nelle dita ossute. Ma nei suoi occhi brillava ancora una luce intensa. Provai a immaginare la forza della personalità di quell’uomo nel pieno del suo vigore: non ci riuscii.
Sileno rivolse un cenno agli androidi. A. Bettik portò due calici e versò lo champagne.
— Allora accetti, Raul Endymion? — domandò il poeta, con voce forte e formale. — Accetti l’incarico di salvare Aenea, di viaggiare con lei e di portare a termine le altre imprese?
— A una sola condizione — dissi.
Sileno corrugò la fronte e aspettò che continuassi.