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— E così sei stato impiegato nella Periferia — dissi. — Su mondi remoti, come Hyperion.

— Esattamente, signor Endymion.

— Per questo volevi fare il viaggio? Per trovare uno dei tuoi fratelli… o tua sorella?

A. Bettik sorrise. — Le probabilità d’incontrare per caso un mio fratello clone sono davvero astronomicamente basse, signor Endymion. Non solo la coincidenza sarebbe poco probabile, ma la possibilità che uno di loro sia sopravvissuto alla distruzione totale degli androidi a seguito della Caduta è molto remota. Però… — S’interruppe e allargò le braccia, quasi a chiedere scusa per una speranza così campata in aria.

Quell’ultima sera, che precedette il ritorno dei Chitchatuk, sentii per la prima volta Aenea esprimere la propria teoria sull’amore. Fu una conseguenza di alcune sue domande sui Canti di Martin Sileno.

— D’accordo — disse — appena subentrò la Pax, il poema fu incluso nell’Indice dei Libri Proibiti. Ma quei mondi non ancora inghiottiti dalla Pax al momento della pubblicazione del libro? Zio Martin ebbe la tanto desiderata acclamazione della critica?

— Ricordo che in seminario c’erano discussioni sui Canti - ridacchiò padre Glauco. — Sapevamo che il libro era all’indice, ma questo lo rendeva solo più affascinante. Rinunciammo a leggere Virgilio, ma facemmo a turno per leggere la malconcia copia di quei versi zoppicanti, i Canti.

— Erano versi zoppicanti? — domandò Aenea. — Ho sempre pensato che zio Martin fosse un grande poeta, ma solo perché era lui a dirmelo. Mia mamma diceva sempre che zio Martin era una spina nel piede.

— I poeti possono essere l’uno e l’altra — disse padre Glauco. Ridacchiò di nuovo. — A dire il vero, pare che lo siano spesso. Per quanto ricordo, nei pochi circoli letterari esistenti prima che la Chiesa li assorbisse, quasi tutti i critici bocciarono i Canti. Alcuni presero sul serio Martin Sileno… come poeta, non come cronista di ciò che avvenne realmente su Hyperion poco prima della Caduta. Ma molti misero in ridicolo la sua apoteosi dell’amore, verso la fine del secondo volume…

— Questo lo ricordo — dissi. — Sol, il vecchio studioso la cui figlia ringiovanisce col passare del tempo, scopre che l’amore è la risposta a quello che lui aveva definito il Dilemma di Abramo.

— E io ricordo un critico dalla penna al cianuro, che recensì il poema nella nostra capitale — ridacchiò padre Glauco. — Citò una scritta trovata in un muro di una città della Vecchia Terra riportata alla luce prima dell’Egira: "Se amore è la risposta, qual era la domanda?"

Aenea mi lanciò un’occhiata che era una richiesta di spiegazioni.

— Nei Canti - dissi — lo studioso scopre a quanto pare che ciò che le IA del Nucleo hanno chiamato Vuoto Legante è l’amore. L’amore è una forza basilare dell’universo, come la gravità e l’elettromagnetismo, come i legami nucleari deboli e forti. Nel poema, Sol scopre che l’Intelligenza Finale del Nucleo non sarà mai in grado di capire che l’empatia è inseparabile da quella fonte… dall’amore. Martin Sileno descrive l’amore come "l’impossibilità subquantica che trasportò dati / da fotone a fotone…".

— Teilhard sarebbe stato d’accordo — notò padre Glauco — ma avrebbe espresso con parole diverse il concetto.

— Comunque — continuai — la reazione quasi universale al poema… secondo Nonna… fu di ritenerlo indebolito dal sentimentalismo.

Aenea scuoteva la testa. — Zio Martin aveva ragione — disse. — L’amore è davvero una delle forze basilari dell’universo. Sol Weintraub pensava davvero d’averlo scoperto. Lo disse a mia mamma, prima di scomparire con la figlia nella Sfinge verso il futuro della piccina.

Padre Glauco smise di dondolarsi e si sporse in avanti, gomiti puntati sulle ginocchia ossute: la sua tonaca rattoppata sarebbe parsa buffa, in una persona dotata di minore dignità. — È tanto più complicato dire che Dio è amore?

— Sì! — rispose con foga Aenea, alzandosi davanti al fuoco. In quel momento mi parve più adulta, come se fosse cresciuta e maturata nei mesi trascorsi insieme. — I greci videro l’azione della forza di gravità, ma la spiegarono come uno dei quattro elementi… terra… "che torna di corsa alla propria famiglia". Ciò che Sol Weintraub scorse fuggevolmente era un frammento della fisica dell’amore: dove quest’ultimo risiede, come funziona, come sia possibile capirlo e imbrigliarlo. La differenza fra "Dio è amore" e ciò che Sol Weintraub vide… e zio Martin cercò di spiegare… è la differenza fra la spiegazione della forza di gravità data dai greci e le equazioni di Isaac Newton. La prima è una frase ingegnosa. Le seconde vedono la sostanza stessa!

Padre Glauco scosse la testa. — Tu lo fai sembrare quantificabile e meccanico, mia cara.

— No — disse Aenea, con voce quasi forte come mai l’avevo udita. — Proprio come lei ha spiegato in quale modo Teilhard sapeva che l’universo in evoluzione verso una maggiore consapevolezza non potrebbe mai essere puramente meccanico… che le forze non sono spassionate, come la scienza ha sempre presunto, ma derivano dall’assoluta passione della divinità… bene, così la comprensione della parte amore del Vuoto Legante non può mai essere meccanica. In un certo modo, è l’essenza dell’umanità.

Tenni a freno l’impulso di ridere. — Allora secondo te è necessario un altro Isaac Newton per spiegare la fisica dell’amore? — ribattei. — Per darci le sue leggi della termodinamica, le sue regole dell’entropia? Per mostrarci la matematica dell’amore?

— Sì! — replicò Aenea. Gli occhi le brillavano.

Padre Glauco era ancora proteso, ma ora si stringeva le ginocchia. — Sei tu quella persona, giovane Aenea giunta da Hyperion?

Aenea scostò in fretta il viso e si mosse fuori del cerchio di luce, verso il buio e il ghiaccio al di là del vetro; poi si girò e tornò lentamente nel cerchio di tepore. Aveva l’aria triste, le ciglia bagnate di lacrime. Parlò a voce bassa, quasi tremula. — Sì — disse. — Purtroppo sono io. Non voglio esserlo. Ma lo sono. O potrò esserlo… se sopravvivo.

L’ultima frase mi provocò un brivido gelido lungo la schiena. Rimpiansi che quella conversazione fosse iniziata.

— Ora ce ne parlerai? — disse padre Glauco. Nella sua voce c’era la schietta supplica di un fanciullo.

Aenea sollevò il viso e scosse lentamente la testa. — Non posso. Non sono pronta. Mi spiace, Padre.

Il prete tornò ad appoggiarsi alla spalliera della sedia e a un tratto parve vecchissimo. — Non importa, bambina. Ti ho conosciuta. È già qualcosa.

Aenea si accostò al vecchio nella sedia a dondolo, lo abbracciò e lo tenne stretto a lungo.

Cuchiat e la sua banda tornarono il mattino seguente, prima che ci svegliassimo e uscissimo dal letto e da sotto le coperte. Nei nostri giorni in compagnia dei Chitchatuk ci eravamo quasi abituati a dormire poche ore per volta e poi riprendere la marcia nell’eterna oscurità dei tunnel di ghiaccio; ma lì, con padre Glauco, seguivamo il suo sistema e abbassavamo un poco le luci nelle stanze più interne, per otto ore buone di "notte". Avevo osservato che a 1,7 g ci si sente sempre stanchi.

Ai Chitchatuk non piaceva addentrarsi troppo nell’edifìcio, perciò Cuchiat e i suoi si fermarono nel vano della finestra, che era più tunnel che interno, ed eseguirono una variazione dei loro ululati, finché non ci sbrigammo a vestirci e accorremmo.

La banda aveva raggiunto di nuovo il prospero numero primo di ventitré componenti, ma padre Glauco non domandò dove avessero trovato il nuovo membro, una donna, e noi non venimmo mai a saperlo. Quando entrai nella stanza, fui colpito da una scena che non avrei mai dimenticato: i robusti Chitchatuk, intabarrati nelle pellicce di spettro artico, accoccolati nella loro tipica posizione; padre Glauco, accosciato a chiacchierare con Cuchiat, con la vecchia tonaca rattoppata che si allargava sul ghiaccio come un fiore nero; il bagliore delle lanterne e la sua diffrazione sui cristalli di ghiaccio all’ingresso della caverna; e, al di là del vetro, quella terribile sensazione di gelo e di peso e di tenebre pressanti, pressanti…

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