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— Per te questo avveniva più di 270 anni standard fa — disse Aenea. — Era esatto, prima della Caduta.

— Già. — Scrutai il mare, nel caso ci fosse qualcosa di diverso dalle onde viola.

— Il poema di zio Martin spiega le motivazioni di Stabili, Volatili e Finali?

— Più o meno. È un passo difficile da seguire… nel poema, Ummon e le altre IA del Nucleo parlano mediante koan Zen.

Aenea annuì. — È quasi giusto.

— Secondo i Canti, le IA del Nucleo dette Stabili volevano continuare a fare i parassiti dei cervelli umani mentre noi adoperavamo la Rete. I Volatili volevano annientarci. E i Finali, immagino, se ne fregavano di noi, fintanto che potevano continuare a lavorare sull’evoluzione del loro dio-macchina… come lo chiamavano?

— L’IF — disse Aenea, facendo rallentare il tappeto e diminuendo la quota. — L’Intelligenza Finale.

— Sì. Bella roba esoterica. Cosa c’entra, col nostro attraversamento dei portali… ammesso di trovarne un altro? — In quel momento non credevo che l’avremmo trovato: il pianeta era troppo grande, l’oceano era troppo esteso. Anche se la corrente avesse spinto nella giusta direzione la nostra piccola zattera, le probabilità di finire nei cento metri d’arcata del portale erano così basse che non valeva nemmeno la pena di prenderle in considerazione.

— Non tutti i portali furono costruiti o tenuti in funzione dagli Stabili affinchè fossero… come avevi detto?… grosse zecche nei cervelli umani.

— Va bene. Chi altri costruì i teleporter?

— Quelli del fiume Teti furono progettati dai Finali. Erano un… esperimento, potrei definirlo… col Vuoto Legante. Questo è il termine del Nucleo… zio Martin l’ha usato nei Canti?

— Sì — risposi. Ora ci eravamo abbassati, volavamo a un migliaio di metri sopra le onde, ma non si vedeva né la zattera né altro. — Torniamo indietro — suggerii.

— D’accordo. — Consultammo la bussola e puntammo verso casa… se si poteva definire casa una zattera che faceva acqua da tutte le parti.

— Non ho mai capito che diavolo sia il "Vuoto Legante" — dissi. — Una sorta d’iperspazio usato dai teleporter, dove il Nucleo si teneva nascosto mentre ci sfruttava. Questa parte l’ho capita. Credevo che fosse stato distrutto, quando Meina Gladstone ordinò di far esplodere le bombe nei teleporter.

— Non si può distruggere il Vuoto Legante — disse Aenea, con tono remoto, come se pensasse ad altro. — Zio Martin come l’ha descritto?

— Tempo di Plack e lunghezza di Planck. Non ricordo esattamente… qualcosa su come combinare le tre costanti fondamentali della fisica… gravità, costante di Planck e velocità della luce. Ricordo che dava alcune piccolissime unità di lunghezza e di tempo.

— Circa 10-35 metri per la lunghezza — disse Aenea, accelerando un poco. — E 10-43 secondi per il tempo.

— Non mi dicono niente. Solo fottutamente piccolo e breve… scusa il linguaggio.

— Sei scusato — disse Aenea. A poco a poco riprendevamo quota. — Ma non era importante il tempo o la lunghezza. Era importante come venivano intessuti per formare… il Vuoto Legante. Mio padre provò a spiegarmelo, prima che nascessi…

Rimasi stupito per quella frase, ma continuai ad ascoltare.

— … hai sentito parlare delle sfere dati planetarie.

— Sì — dissi. Diedi un colpetto al comlog. — Questo gingillo dice che Mare Infinitum non possiede una sfera dati.

— Giusto. Ma molti mondi della Rete l’avevano. E l’insieme delle sfere dati formava la megasfera.

— Il mezzo dei teleporter… il Vuoto comesichiama… collegava le sfere dati, no? La FORCE e il governo elettronico dell’Egemonia, la Totalità, usavano tanto la megasfera quanto l’astrotel per tenersi in collegamento.

— Infatti. La megasfera in realtà esisteva in un sub-piano dell’astrotel.

— Non lo sapevo — ammisi. Nella mia vita l’astrotel per comunicazioni più veloci della luce non esisteva.

— Ricordi quale fu l’ultimo messaggio, prima che l’astrotel smettesse di funzionare durante la Caduta?

— Sì. — Chiusi gli occhi. Stavolta i versi del poema non mi vennero in mente. Avevo sempre ritenuto troppo vago il finale dei Canti e non mi ero interessato al punto da mandarlo a memoria, malgrado l’insistenza di Nonna. — Un oscuro messaggio del Nucleo — dissi. — Qualcosa come… lasciare la linea e smetterla di collegarsi.

— Il messaggio era: NON CI SARÀ ULTERIORE USO SCORRETTO DI QUESTO CANALE. DISTURBATE ALTRI CHE LO USANO PER SCOPI SERI. L’ACCESSO SARÀ RIPRISTINATO QUANDO AVRETE CAPITO A CHE COSA SERVE.

— Giusto. C’è nei Canti. Mi pare. E poi il mezzo iperstringa smise semplicemente di funzionare. Il Nucleo trasmise il messaggio e spense l’astrotel.

— Il Nucleo non trasmise quel messaggio — disse Aenea.

Ricordo il gelo che si diffuse dentro di me in quel momento malgrado il calore dei due soli. — Non lo trasmise? — ripetei come un idiota. — Chi fu, allora?

— Ottima domanda — disse Aenea. — Quando mio padre parlava della megasfera… il più ampio piano dati in qualche modo collegato al Vuoto Legante o tramite esso… soleva dire che era piena di leoni e tigri e orsi.

— Leoni e tigri e orsi — ripetei. Erano animali della Vecchia Terra. Non credo che abbiano preso parte all’Egira. Non credo che esistessero ancora, neppure sotto forma di DNA immagazzinato, quando la Vecchia Terra crollò nel suo buco nero, dopo il Grande Errore del ’38.

— Uh, mi piacerebbe incontrarli, un giorno o l’altro — disse Aenea. — Siamo arrivati.

Guardai da sopra la sua spalla. Adesso eravamo a un migliaio di metri di quota e la zattera pareva minuscola, ma era chiaramente visibile. A. Bettik, di nuovo a torso nudo nel caldo del mezzogiorno, reggeva il timone. Agitò il braccio. Tutt’e due rispondemmo al saluto.

— Speriamo che ci sia qualcosa di buono per colazione — disse Aenea.

— Altrimenti ci toccherà fermarci al Grill-Acquario di Gus.

Aenea si mise a ridere e iniziò a planare verso casa.

Al calar della notte, prima che spuntassero le lune, scorgemmo un tremolio di luci all’orizzonte. Ci precipitammo a prua e cercammo di capire che cosa c’era laggiù: Aenea usava il binocolo, A. Bettik gli occhiali notturni al massimo della potenza e io il mirino a cannocchiale della carabina.

— Non è l’arcata — disse Aenea. — Una piattaforma sull’oceano… molto grande… su una sorta di trampoli.

— Io vedo l’arcata, però — disse l’androide, che guardava alcuni gradi a nord della luce palpitante. Aenea e io scrutammo in quella direzione.

L’arcata era appena visibile, una corda di spazio negativo intagliata nella Via Lattea, proprio sopra l’orizzonte. La piattaforma, con i palpitanti fari di navigazione per i velivoli e le finestre illuminate che solo allora comparivano, era più vicina a noi di qualche chilometro. E si trovava fra noi e il teleporter.

— Maledizione — dissi. — Cosa sarà?

— Il locale di Gus? — suggerì Aenea.

Sospirai. — In questo caso, avrà un nuovo proprietario. Nell’ultimo paio di secoli c’è stata scarsità di turisti sul Teti. — Esaminai la piattaforma. — Un mucchio di piani — borbottai. — Varie navi alla fonda… pescherecci, scommetto. Una rampa per skimmer e altri velivoli. Mi pare di scorgere un paio di tòtteri legati laggiù.

— Cosa sono i tòtteri? — domandò Aenea, abbassando il binocolo.

Rispose A. Bettik. — Velivoli che utilizzano ali mobili, un po’ come gli insetti, signorina Aenea. Durante l’Egemonia erano abbastanza diffusi ma su Hyperion sono sempre stati rari. Mi pare che li chiamassero anche libellule.

— Li chiamano ancora libellule — dissi. — La Pax ne aveva alcuni su Hyperion. Ne ho visto uno che atterrava sulla piattaforma di ghiaccio di Ursus. — Alzai di nuovo il mirino e riuscii a scorgere le bolle a forma d’occhio nella parte anteriore delle libellule, illuminate dalla luce proveniente da una finestra. — Sono proprio tòtteri — confermai.

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