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A queste parole, lo ammetto, non seppi che cosa dire. Sorbii dalla tazza le ultime gocce di caffè, mi schiarii la gola, scrutai per un momento le rapide lune e la Via Lattea sempre visibile e dissi: — E allora? Pensi che fosse consapevole di qualcosa? — Terminato di dirlo, mi sarei preso a calci. Parlavo a una bambina! Lei poteva anche declamare poesia… o antica pornografia, s’è per questo… ma non c’era modo che la capisse.

Aenea mi guardò. La luce delle lune rendeva luminosi i suoi occhi. — Penso — disse — che ci sono più livelli in cielo e in terra, Orazio, di quanti abbia sognato la filosofia di mio padre.

— Capisco — dissi, pensando: "Chi diavolo è, Orazio?".

— Mio padre era molto giovane, quando scrisse questi versi — disse Aenea. — Era la sua prima poesia e fu un fiasco. Ciò che lui voleva… ciò che voleva che il suo eroe pastore imparasse… era questo: quanto potessero essere esaltate queste cose… poesia, natura, saggezza, la voce di amici, imprese eroiche, lo splendore di luoghi bizzarri, l’attrazione dell’altro sesso. Ma si fermò prima di giungere alla vera essenza.

— Quale vera essenza? — domandai. La zattera si sollevava e ricadeva seguendo il respiro del mare.

— Il senso d’ogni moto, forma e suono — mormorò la bambina. — … ogni forma e ogni sostanza/dritto fino al suo emblema e alla sua essenza…

Perché quelle parole mi erano così familiari? Impiegai un pezzo a ricordarlo.

La zattera continuò a navigare nella notte e nell’oceano di Mare Infinitum.

Dormimmo ancora; sorti i soli, facemmo un’altra colazione e dopo mi occupai di regolare il mirino e l’alzo delle armi. La poesia filosofica al chiaro di luna andava benissimo, ma armi che sparano dritto erano una necessità.

Né a bordo della nave, né dopo il disastroso atterraggio nel mondo giungla, non avevo avuto tempo di provare le armi da fuoco e mi sentivo nervoso a portare in giro armi mai provate e mai regolate. Nel breve periodo trascorso nella Guardia Nazionale e nei lunghi anni in cui facevo la guida nelle battute di caccia, avevo scoperto che conoscere a fondo un’arma è altrettanto (e forse più) importante di possederne una di ultimo modello.

La luna più grande non era ancora tramontata, quando spuntarono i due soli… prima il più piccolo del sistema binario, un vivido bruscolo nel cielo mattutino, che fece impallidire la Via Lattea fino a renderla invisibile e offuscò i particolari della grande luna, e poi il primario, inferiore in grandezza all’astro tipo Sole di Hyperion, ma luminosissimo. Il cielo si scurì, passò al blu oltremare e poi al blu cobalto, con due stelle che vi ardevano e, alle nostre spalle, una luna arancione che lo riempiva. La luce dei soli rendeva un disco nebbioso l’atmosfera del satellite e cancellava le caratteristiche della superficie. Intanto il giorno divenne tiepido, poi caldo, poi ardente.

Il mare si alzò un poco, i pigri flutti divennero onde regolari alte due metri che scossero un poco la zattera; ma erano intervallate quanto bastava a non darci troppo fastidio. Come promesso dalla guida turistica, il mare era di un viola intenso, sconvolgente, zigrinato da creste d’onda di un blu così scuro da sembrare nero e di tanto in tanto interrotte da letti d’algagialla o da spuma di un viola perfino più scuro. La zattera proseguì verso l’orizzonte, dove si erano levati i soli e le lune (lo considerammo l’est) e potevamo solo augurarci che la forte corrente ci portasse da qualche parte. Quando non eravamo sicuri che la corrente ci spingesse, facevamo scorrere in acqua una fune o gettavamo via un pezzetto di roba di scarto e guardavamo la differenza fra la spinta del vento e della corrente. Rispetto a noi, le onde si muovevano da sud a nord. Continuammo verso est.

Usai per prima la .45, dopo avere controllato che i proiettili fossero al loro posto nel caricatore. Temevo che, a causa dell’antiquata tecnica che prevedeva munizioni separate dal caricatore, avrei finito per dimenticarmi di ricaricare in qualche situazione incresciosa. Non avevamo molto da gettare in acqua come bersaglio, ma avevamo conservato alcuni contenitori di razioni, vuoti; ne lanciai in acqua uno, aspettai che fosse a una quindicina di metri e sparai.

La rivoltella provocò un fragore indecente. Le sparapiombo, lo sapevo, erano rumorose (ne avevo usate alcune, durante l’addestramento di base, perché i ribelli dell’Artiglio di Ghiaccio se ne servivano spesso), ma per la forza dell’esplosione a momenti lasciai cadere in acqua la rivoltella. Aenea, che guardava verso sud, immersa nei suoi pensieri, si spaventò e balzò in piedi; perfino il compassato A. Bettik trasalì.

— Chiedo scusa — dissi. Impugnai a due mani la pesante rivoltella e sparai un altro colpo.

Dopo avere usato l’equivalente di due caricatori delle preziose munizioni, ero sicuro di poter colpire qualcosa a quindici metri. A distanza maggiore… be’, mi augurai che il bersaglio avesse orecchie e si spaventasse per il frastuono.

Mentre aprivo la rivoltella, terminato di sparare, accennai di nuovo al fatto che quell’antica arma forse era appartenuta a Brawne Lamia.

Aenea la guardò. — Te l’ho già detto, non ho mai visto mamma impugnare una pistola.

— Forse l’ha prestata al Console, quando quest’ultimo tornò nei mondi della Rete — dissi, pulendo la rivoltella aperta.

— No — disse A. Bettik.

Mi girai a guardare l’androide, che se ne stava appoggiato al timone. — No? — ripetei, sorpreso.

— Sulla Benares vidi l’arma della signora Lamia — spiegò A. Bettik. — Era una pistola antiquata… di suo padre, credo… ma aveva il calcio di madreperla, il mirino laser ed era stata modificata per usare cartucce a fléchettes.

— Oh — dissi. Be’, pensai, l’idea era stata interessante. — Almeno questa è stata conservata bene — soggiunsi. Probabilmente era stata tenuta in una scatola di stasi, altrimenti una rivoltella di mille anni non avrebbe funzionato. O forse si trattava di un’abile riproduzione trovata dal Console nel corso dei suoi viaggi. La cosa non aveva importanza, certo, ma ero sempre stato colpito dal… senso della storia, immagino lo chiamereste… che pareva provenire dalle antiche armi da fuoco.

Dopo provai la pistola a fléchettes. Mi bastò un colpo per capire che funzionava abbastanza bene, grazie. A trenta metri, la scatola di razioni esplose in migliaia di schegge di flussoschiuma. L’intera cresta d’onda sobbalzò e tremolò, come colpita da una pioggia d’acciaio. Le armi a fléchettes causavano sfracelli, rendevano difficile l’errore di mira ed erano eminentemente inique nei confronti del bersaglio… l’avevo scelta proprio per questo. Inserita la sicura, la riposi nello zaino.

La carabina al plasma era più difficile da regolare. Il mirino ottico a scatti mi permetteva di mettere a fuoco qualsiasi cosa, dalla scatola di razioni distante trenta metri all’orizzonte lontano venticinque chilometri; centrai al primo colpo la scatola, certo, ma non avrei saputo stabilire l’efficacia della carabina a distanze superiori: non c’era niente a cui sparare. In teoria una carabina al plasma può colpire qualsiasi cosa uno veda (non sono necessarie correzioni per compensare il vento o l’arco balistico) e io guardai col mirino a cannocchiale, mentre il colpo apriva un buco in onde distanti venti chilometri, ma la cosa non mi diede la stessa fiducia che m’avrebbe dato un colpo contro un vero bersaglio lontano. Alzai la carabina verso la gigantesca luna che ora tramontava alle nostre spalle. Attraverso il mirino a cannocchiale riuscivo appena a scorgere una montagna incappucciata di bianco (probabilmente anidride carbonica ghiacciata, non neve, pensai) e solo per dispetto sparai una raffica. La carabina al plasma era praticamente silenziosa, a paragone della sparapiombo: quando si premeva il grilletto, mandava il solito "colpo di tosse". Il mirino non era abbastanza potente da mostrarmi se avevo fatto centro e poi a simili distanze la rotazione dei due corpi celesti avrebbe influito non poco sulla traiettoria, ma sarei rimasto sorpreso se non avessi colpito la montagna. Le caserme della Guardia Nazionale erano piene di storie di fucilieri delle Guardie Svizzere che avevano distrutto pattuglie Ouster sparando da migliaia di chilometri contro un asteroide in avvicinamento o cose del genere. Il trucco, valido da millenni, era semplice: bastava vedere per primi il nemico.

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