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A
A

— Chissà com’è fuori — dissi.

Il comlog… la navetta… qualsiasi cosa fosse adesso… pensò di sicuro d’essere stato chiamato in causa. Il monitor centrale palpitò e presero a scorrere i dati.

Atmosfera: 0,77 N2

0,21 O2

0,009 Ar

0,0003 CO2

H2O variabile (-0,01)

Pressione in superficie: 0,986 bar

Campo magnetico: 0,318 gauss

Massa: 5,976 x 1024 kg

Velocità di fuga: 11,2 km/s

Gravità in superficie: 9,80 m/s

Inclinazione dell’asse magnetico: 11,5°

Momento di dipolo: 7,9 x IO25 gauss/cm3

«Curioso» disse il comlog. «Improbabile coincidenza.»

— Cosa? — domandai. Ma già l’immaginavo.

«I dati del pianeta corrispondono quasi esattamente a quelli della Vecchia Terra. È molto insolito che un pianeta assomigli tanto alla…»

— Basta! — gridò Aenea, indicando l’esterno. — Atterra! Subito, per favore.

Se avessi pilotato io la navetta, sarei andato a schiantarmi contro gli alberi; ma il comlog prese il comando, trovò un tratto piatto e solido a venti metri dal letto del ruscello fiancheggiato d’alberi e atterrò senza il minimo scossone. Aenea già componeva il codice d’apertura del portello stagno, mentre io fissavo ancora dallo schermo di prua il tetto piatto della casa al di là degli alberi.

Prima che potessi aprire bocca, Aenea era già scesa. Mi soffermai a controllare il robochirurgo, notai con soddisfazione che parecchie spie luminose erano passate al verde e dissi al comlog: — Tienilo d’occhio. E tieniti pronto per un rapido decollo.

«Senz’altro, signor Endymion.»

Giungemmo alla casa scendendo il corso d’acqua e poi attraversandolo. Non è facile descrivere quell’edificio, ma ci proverò.

La casa in sé era stata costruita sopra una piccola cascata di soli tre o quattro metri che formava un laghetto alla base. Foglie gialle galleggiavano sul laghetto ed erano portate via dalla corrente che si rinforzava. Le caratteristiche più evidenti della casa erano i tetti sottili e le terrazze rettangolari che parevano sporgere sul torrente e sulla cascata, quasi a sfidare la forza di gravità. La costruzione pareva di pietra, vetro, cemento e in parte acciaio. A sinistra delle terrazze, si alzava per tre piani un muro di pietra con una finestra angolare di vetro alta quasi quanto la parete stessa. L’intelaiatura metallica era dipinta d’arancione chiaro.

— A sbalzo — disse Aenea.

— Prego?

— Così l’architetto definisce quelle terrazze sospese. A sbalzo. Ripetono le cornici calcaree esistite qui per milioni di anni.

Mi fermai a guardare la bambina. La navetta era fuori vista, nascosta dagli alberi alle nostre spalle. — È la tua casa — dissi. — Quella di cui sognavi ancora prima di nascere.

— Sì — ammise Aenea. Le labbra le tremavano leggermente. — Ora so anche come si chiama, Raul — proseguì. — Fallingwater.

Le rivolsi un cenno d’assenso e fiutai l’aria. Il profumo era intenso: foglie marcescenti, piante vive, terriccio ricco e un certo aroma acuto. L’aria era molto diversa da quella di Hyperion, eppure, non so come, profumava di casa. — La Vecchia Terra — mormorai. — Possibile?

— Solo… la Terra — disse Aenea. Mi toccò la mano. — Entriamo.

Attraversammo il corso d’acqua, passando su di un ponticello a monte della casa; percorremmo il vialetto di ghiaia ed entrammo da una loggia con uno stretto passaggio. Era come entrare in una comoda caverna.

Ci fermammo nell’ampio soggiorno e chiamammo, ma nessuno rispose. Aenea attraversò come in trance il locale, toccò le superfici di legno e di pietra, mandò esclamazioni a ogni piccola scoperta.

In vari punti il pavimento era coperto di tappeti, in altri era di nuda pietra. Libri riempivano le basse scaffalature in almeno una nicchia, ma non sprecai tempo a controllare i titoli. Scaffali metallici correvano sotto il basso soffitto, ma erano vuoti, forse costituivano solo un motivo ornamentale. La parete opposta era occupata da un grande camino. Il focolare era di pietra grezza (forse la parte superiore del masso dove la casa pareva stare in equilibrio) e sporgeva di un paio di metri nella stanza.

Un grande fuoco scoppiettava nel focolare, malgrado il tepore della serena giornata autunnale. Chiamai di nuovo, ma il silenzio era opprimente. — Ci aspettavano — dissi, tentando una fiacca battuta. La mia unica arma, adesso, era la torcia laser in tasca.

— Sì, ci aspettavano — disse Aenea. Andò alla sinistra del camino e posò le mani su di una sfera metallica incassata in un’apposita nicchia semisferica della parete di pietra. La sfera aveva un diametro di circa un metro e mezzo ed era dipinta di un vivido rosso rugginoso.

— Secondo l’architetto, era una caldaietta per scaldare il vino — disse piano Aenea. — Fu adoperata solo una volta… e il vino fu scaldato in cucina e portato qui. È troppo grande. E probabilmente la vernice è tossica.

— È questo, l’architetto che cercavi? — domandai. — Quello con cui conti di studiare?

— Sì.

— Pensavo che fosse un genio. Perché avrebbe progettato una caldaietta troppo grande e tossica?

Aenea si girò e sorrise. No… sogghignò! — I geni incasinano tutto, Raul. Pensa al nostro viaggio, se ne vuoi la prova. Su, guardiamo in giro.

Le terrazze erano belle, la vista sulla piccola cascata era piacevole. All’interno, i soffitti e gli aggetti erano bassi, ma in questo modo accrescevano semplicemente l’impressione di scrutare da una caverna, attraverso tutto quel vetro, il verdeggiante mondo della foresta. Nel soggiorno, un boccaporto di vetro e metallo, modellato a gradini sorretti da sbarre agganciate al pavimento superiore, portava a una più larga piattaforma di cemento sopra un laghetto nel corso d’acqua, a monte della cascata.

— Il trampolino — disse Aenea, come se vedesse qualcosa di ben noto.

— A cosa serve? — domandai, guardandomi intorno.

— A nessuno scopo pratico. Ma l’architetto l’ha considerato, sono parole sue, "assolutamente necessario da ogni punto di vista".

Le toccai la spalla. Aenea si girò e mi sorrise, non meccanicamente né svagatamente, ma con una vitalità quasi radiante.

— Dove siamo, Aenea?

— Fallingwater — rispose lei. — A Bear Run. Nella Pennsylvania occidentale.

— Una nazione?

— Una provincia. Cioè, uno stato. Uno degli Stati Uniti d’America. Continente nordamericano. Pianeta Terra.

— Terra — ripetei. Mi guardai intorno. — Dov’è la gente? Dov’è il tuo architetto?

Aenea scosse la testa. — Non lo so. Ma presto dovremmo saperlo.

— Quanto dobbiamo rimanere qui, ragazzina? — Pensavo di fare provvista di cibo, di armi e di altro materiale, mentre A. Bettik si riprendeva e prima di partire di nuovo.

— Qualche anno — rispose Aenea. — Non più di sei o sette, penso.

— Anni? — esclamai. Mi ero fermato sulla terrazza superiore, dove eravamo usciti, in cima alla rampa di scale. — Anni?

— Devo studiare con questo architetto, Raul. Devo imparare qualcosa.

— Sull’architettura?

— Sì. E su me stessa.

— E io cosa farò, mentre tu… impari qualcosa su te stessa?

Invece di rispondere con una battuta, Aenea annuì, seria. — Lo so. Non sembra giusto. Ma avrai qualcosa da fare, mentre io… cresco.

Rimasi in silenzio, aspettando che proseguisse.

— La Terra dev’essere esplorata. Mia madre e mio padre vi hanno fatto visita. Era idea di mamma che… leoni e tigri e orsi… le forze che rubarono la Terra prima che il TecnoNucleo potesse distruggerla… era idea di mamma che facessero esperimenti, qui.

— Esperimenti? Di che genere?

— Esperimenti sulla genialità, in gran parte. Ma forse "esperimenti sull’umanità" sarebbe una definizione migliore.

— Spiega.

Aenea indicò la casa. — Questo edificio fu completato nel 1937.

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