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— E la personalità che portava? — domandò il Vescovo, con voce tesa.

Duré ricordò le parole di Severn a proposito della morte di quella personalità nella megasfera. Ovviamente i due non sapevano niente della seconda personalità Keats… la personalità Severn, che in quel momento avvertiva Gladstone dei pericoli nascosti nella proposta del Nucleo. Duré scosse la testa. Era stanchissimo. — Non so niente della personalità che portava nell'iterazione Schrön — rispose. — Il cavo… la cosa che lo Shrike agganciò a Brawne… pareva infilato nella presa neurale come uno shunt corticale.

Il Vescovo annuì, chiaramente soddisfatto. — Le profezie procedono di buon passo. Lei ha portato a termine il compito di messaggero, Duré. Ora devo andare. — Si alzò, rivolse un cenno alla Vera Voce dell'Albero Mondo, lasciò la piattaforma e scese verso l'ascensore e il terminex.

Duré rimase seduto in silenzio di fronte al Templare per alcuni minuti. Il fruscio delle foglie mosse dal vento e il lieve dondolio della piattaforma in cima all'albero lo cullavano, lo invitavano ad assopirsi. In alto, il cielo si schiariva nelle delicate sfumature zafferano, mentre il mondo di Bosco Divino passava nel crepuscolo.

— La sua dichiarazione di un deus ex machina che per generazioni ci abbia fuorviati servendosi di false profezie è un'eresia terribile — disse infine il Templare.

— Sì, ma molte volte, nella lunga storia della mia Chiesa, terribili eresie si sono dimostrate sinistre verità, Sek Hardeen.

— Se lei fosse un Templare, potrei farla mettere a morte — rispose piano la figura incappucciata.

Duré sospirò. Alla sua età, nella sua situazione, stanco com'era, non aveva paura al pensiero della morte. Si alzò, piegò la testa in un breve inchino. — Devo andare, Sek Hardeen. Chiedo scusa, se qualcosa che ho detto ha offeso la sua sensibilità. Sono tempi confusi che disorientano. — E pensò: "I migliori mancano di convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata".

Si girò e raggiunse l'orlo della piattaforma. Si bloccò.

La scala era sparita. Trenta metri di aria in verticale e quindici in orizzontale lo separavano dalla piattaforma successiva, in basso, dove l'ascensore aspettava. L'Albero Mondo formava uno strapiombo di mille e più metri nell'abisso di foglie. Duré e la Vera Voce di quell'Albero erano isolati lassù sulla piattaforma più alta. Duré si accostò alla ringhiera più vicina, offrì alla brezza della sera la faccia improvvisamente sudata, notò le prime stelle fare capolino nel cielo blu oltremare. — Cosa succede, Sek Hardeen?

Al tavolo, la sagoma in tonaca e cappuccio era avvolta nel buio. — Fra diciotto minuti standard, Porta del Paradiso cadrà in mano agli Ouster. Le nostre profezie dicono che sarà distrutto. Di certo saranno distrutti il suo teleporter e i trasmettitori astrotel: in pratica, il pianeta cesserà di esistere. Esattamente un'ora standard più tardi, i cieli di Bosco Divino si accenderanno per i fuochi di fusione delle navi da guerra Ouster. Le profezie dicono che tutti i membri della Confraternita rimasti sul pianeta… e ogni altro, anche se da tempo i cittadini dell'Egemonia sono partiti via teleporter… periranno.

Duré tornò lentamente al tavolo. — È importantissimo che vada su Tau Ceti Centro — disse. — Severn… un amico mi aspetta. Devo parlare al PFE Gladstone.

— No — disse la Vera Voce dell'Albero Mondo Sek Hardeen. — Aspetteremo. Vedremo se le profezie sono esatte.

Il gesuita serrò i pugni, esasperato, lottando contro l'ondata di violenta emozione che gli faceva desiderare di colpire la figura in tonaca. Chiuse gli occhi e recitò due Ave Maria. Non ne ricavò alcun aiuto.

— La prego — disse. — Le profezie riceveranno conferma o smentita con o senza la mia presenza qui. Dopo, sarà troppo tardi. Le navi torcia della FORCE faranno esplodere la sfera di anomalia e il teleporter non esisterà più. Per anni saremo tagliati fuori dalla Rete. Forse miliardi di vite dipendono dal mio immediato ritorno su Tau Ceti Centro.

Il Templare incrociò le braccia e nascose le mani nelle pieghe della tonaca. — Aspetteremo — disse. — Tutte le cose predette accadranno. Nel giro di minuti, il Signore della Sofferenza sarà liberato su coloro che si trovano nelle Rete. Non credo al Vescovo: chi ha cercato la Redenzione non sarà risparmiato. Ce ne andremo meglio qui, padre Duré, dove la fine sarà rapida e indolore.

Duré cercò qualcosa di decisivo da dire, da fare. Non trovò niente. Si sedette al tavolo e fissò il Templare incappucciato e silenzioso. In alto, le stelle spuntarono in moltitudini infuocate. Il mondo-foresta di Bosco Divino frusciò un'ultima volta alla brezza della sera e parve trattenere il fiato, in attesa.

Paul Duré chiuse gli occhi e pregò.

37

Camminiamo per tutto il giorno, Hunt e io, e verso sera troviamo una locanda in cui c'è del cibo preparato per noi — un pollo, budino di riso, cavolfiore, un piatto di maccheroni e altro — anche se non ci sono persone, né segni di persone, a parte il fuoco che arde come se sia stato appena acceso e il cibo ancora caldo sui fornelli.

Hunt è spaventato, per questa scoperta e per i terribili sintomi di privazione dovuti alla perdita di contatto con la sfera dati. Capisco benissimo la sua sofferenza. Per una persona nata e cresciuta in un mondo dove i dati sono sempre a portata di mano, la comunicazione con chiunque in qualsiasi posto è un fatto assodato e la distanza significa solo un passo nel teleporter: l'improvviso ritorno alla vita come la conobbero i nostri antenati sarebbe come risvegliarsi ciechi e storpi. Ma dopo le escandescenze delle prime ore di camminata, Hunt alla fine è diventato tetro e taciturno.

— Ma il PFE ha bisogno di me! — aveva gridato all'inizio.

— Ha bisogno delle informazioni che le portavo — replicai. — Però non possiamo farci niente.

— Ma dove siamo? — domandò Hunt per la decima volta.

Gli avevo già spiegato l'esistenza di questa Vecchia Terra alternativa, ma adesso si riferiva ad altro.

— In quarantena, credo — risposi.

— Il Nucleo ci ha portati qui?

— Posso solo presumerlo.

— Come torniamo?

— Non so. Immagino che, quando si sentiranno sicuri, comparirà un teleporter.

Hunt imprecò sottovoce. — Perché mettere in quarantena anche me, Severn?

Mi strinsi nelle spalle. Forse perché aveva udito quel che avevo detto su Pacem, ma non ne ero sicuro. Non ero sicuro di niente.

La strada attraversava prati e vigneti, serpeggiava su basse colline e vallate da dove si scorgeva di sfuggita il mare.

— Dove va, questa strada? — aveva domandato Hunt, proprio prima che scoprissimo la locanda.

— Tutte le strade portano a Roma.

— Dico sul serio, Severn.

— Anch'io, signor Hunt.

Hunt scalzò dalla massicciata una pietra e la tirò lontano fra i cespugli. Da qualche parte un tordo lanciò un richiamo.

— Lei è già stato qui? — Il tono di Hunt era di accusa, come se l'avessi rapito io. E forse era vero.

— No — risposi. Ma Keats sì, aggiunsi quasi. I ricordi impiantati vennero alla superficie, rischiarono di sopraffarmi con il senso di perdita e di morte incombente. Lontano dagli amici, lontano da Fanny, l'unico eterno amore di Keats.

— È sicuro di non poter accedere alla sfera dati? — domandò Hunt.

— Sicurissimo — risposi. Non mi chiese della megasfera e non gli diedi spontaneamente l'informazione. Ho il terrore di entrare nella megasfera, di perdermi al suo interno.

Al tramonto trovammo la locanda. Era annidata in una piccola valle e dal camino di pietra si alzava il fumo.

Mentre mangiavamo, e il buio premeva contro i vetri, e come unica luce avevamo il tremolio del fuoco e due candele sulla mensola del caminetto di pietra, Hunt disse: — Questo posto mi fa quasi credere ai fantasmi.

— Io ci credo, ai fantasmi — risposi.

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