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— No, signore, a parte il minimo richiesto alla SCO, che ammonta a qualche corso di storia.

— È mai stato coinvolto in elaborazioni di piani strategici di qualsiasi tipo, al di sopra del livello di… quante navi di superficie ha comandato, su Patto-Maui, capitano?

— Una, signore.

— Una — ripeté Morpurgo. — Di grande stazza?

— No, signore.

— Il comando della nave le era stato assegnato, capitano? Se l'era guadagnato? O l'ha ottenuto a causa delle vicissitudini di guerra?

— Il nostro capitano rimase ucciso, signore. Presi il comando come ufficiale più alto in grado. Era l'azione navale conclusiva della campagna di Patto-Maui e…

— Non c'è altro, capitano. - Morpurgo girò la schiena all'eroe navale e si rivolse al PFE. — Desidera chiedere di nuovo il nostro parere, signora?

Gladstone scosse la testa.

Il senatore Kolchev si schiarì la voce. — Forse dovremmo tenere una riunione ristretta di gabinetto alla Casa del Governo.

— Non è necessario — disse Meina Gladstone. — Ho deciso. Ammiraglio Singh, è autorizzato a spostare nel sistema di Hyperion le unità della flotta che lei e il comando congiunto ritenete necessarie.

— Sì, signora.

— Ammiraglio Nashita, mi aspetto una conclusione delle ostilità, coronata da successo, entro una settimana standard dal momento in cui riceverà rinforzi adeguati. — Girò lo sguardo lungo il tavolo. — Signore e signori, non posso sottolineare in modo adeguato l'importanza di possedere Hyperion e di eliminare una volta per tutte la minaccia degli Ouster. — Si alzò e si diresse alla base della rampa che portava su nel buio. — Buona sera, signore e signori.

Erano quasi le quattro, tempo della Rete e di Tau Ceti Centro, quando Hunt bussò alla porta. Da tre ore, da quando eravamo tornati, mi sforzavo di stare sveglio. Avevo appena deciso che Gladstone si era dimenticata di me e cominciavo ad assopirmi, quando udii bussare.

— Nel giardino — disse Leigh Hunt. — E, per l'amor di Dio, s'infili nei calzoni la camicia.

Gli stivali frusciavano sulla ghiaia sottile, mentre procedevo per i viali bui. Le lanterne e i fotoglobi quasi non mandavano luce. Le stelle non erano visibili, a causa del bagliore delie interminabili città di TC2, ma le luci delle abitazioni orbitali in rapido movimento si muovevano nel cielo come un infinito anello di lucciole.

Gladstone sedeva sulla panchina metallica accanto al ponte.

— Signor Severn, grazie per essere venuto — disse a bassa voce.

— Mi scuso per l'ora tarda. La riunione di gabinetto è appena terminata.

Rimasi in silenzio e in piedi.

— Volevo chiederle della visita di stamattina a Hyperion. — Ridacchiò. — Di ieri mattina. Quali impressioni ha riportato?

Mi domandai che cosa intendesse. Secondo me, la donna aveva una fame insaziabile di dati, non importa quanto irrilevanti all'apparenza. — Ho incontrato una persona — risposi.

— Oh?

— Sì, il dottor Melio Arundez. Era… è…

— …un amico della figlia del signor Weintraub — terminò per me Gladstone. — La bimba che invecchia a ritroso. Ha qualche aggiornamento sulle condizioni della piccina?

— In pratica, no. Oggi ho fatto un pisolino, ma i sogni sono stati frammentari.

— E l'incontro con il dottor Arundez a quali risultati ha portato?

Mi lisciai il mento con dita diventate improvvisamente fredde.

— Aspetta da mesi nella capitale, con la squadra di ricerca. Forse loro sono la nostra unica speranza di capire che cosa accade con le Tombe. E lo Shrike…

— Secondo i nostri previsori, è importante che i pellegrini siano lasciati in pace, finché il loro atto non si è concluso — disse, dal buio, Gladstone. Pareva guardare di lato, verso il ruscello.

A un tratto mi sentii travolgere da una collera inspiegabile, implacabile. — Padre Hoyt è già "concluso" — replicai, in tono più brusco di quanto non intendessi. — Avrebbero potuto salvarlo, se la nave del Console avesse avuto il permesso di andare all'appuntamento con i pellegrini. Arundez e la sua squadra forse riuscirebbero a salvare la piccola Rachel, anche se manca solo qualche giorno.

— Meno di tre giorni — disse Gladstone. — C'è altro? Impressioni del pianeta, o della nave comando dell'ammiraglio Nashita, che le siano parse… interessanti?

Strinsi a pugno le mani, le riaprii. — Non permetterà ad Arundez di raggiungere le Tombe?

— Non ora, no.

— E l'evacuazione da Hyperion dei civili? Almeno dei cittadini dell'Egemonia?

— Non è possibile, al momento.

Mi trattenni, prima di fare un commento inappropriato. Fissai il punto da dove proveniva il mormorio dell'acqua sotto il ponte invisibile.

— Nessun'altra impressione, signor Severn?

— No.

— Bene, le auguro la buona notte e sogni d'oro. Forse domani sarà una giornata febbrile, ma troverò un momento per parlare con lei dei suoi sogni.

— Buonanotte — risposi. Girai sui tacchi e tornai in fretta nel mio alloggio nella Casa del Governo.

Nel buio della stanza, chiesi al computer una sonata di Mozart e mandai giù tre compresse di trisecobarbital. Molto prabilmente mi avrebbero fatto piombare in un sonno drogato, privo di sogni, dove il fantasma del defunto Johnny Keats e degli ancora più spettrali pellegrini non mi avrebbero trovato. Significava deludere Meina Gladstone, ma la cosa non mi costernava minimamente.

Pensai al marinaio di Swift, Gulliver, e al disgusto che aveva provato per la razza umana, dopo essere tornato dalla terra dei cavalli intelligenti, gli Houyhnhnm… un disgusto per la propria specie che arrivò al punto da indurlo a dormire nella stalla con i cavalli solo per sentirsi rassicurato dal loro odore e dalla loro presenza.

L'ultimo pensiero, prima di addormentarmi, fu: "Al diavolo Meina Gladstone, al diavolo la guerra, al diavolo la Rete.

"E al diavolo i sogni."

PARTE SECONDA

16

Brawne Lamia dormì a tratti poco prima dell'alba e i suoi sogni furono pieni d'immagini e di rumori provenienti da altri luoghi: conversazioni con Meina Gladstone udite a malapena e capite ben poco, una sala che pareva galleggiare nello spazio, un movimento di uomini e di donne lungo corridoi dove le pareti bisbigliavano come un ricevitore astrotel mal sintonizzato; in sottofondo ai sogni febbricitanti e alle immagini casuali c'era la fastidiosa impressione che Johnny — il suo Johnny — fosse vicino, vicinissimo. Lamia gemette nel sonno, ma il gemito andò perso negli echi delle pietre della Sfinge che si raffreddavano e della sabbia che si muoveva.

Lamia si svegliò di colpo, pienamente consapevole, con la stessa sicurezza di uno strumento a stato solido che s'accendesse. Sol Weintraub, in teoria di guardia, dormiva accanto alla bassa porta della stanza dove il gruppo si era rifugiato. La piccina di qualche giorno, Rachel, dormiva fra due coperte, per terra accanto al padre: teneva il sederino in alto, la guancia contro la coperta, e aveva sulle labbra una bollicina di saliva.

Lamia si guardò intorno. Nella fioca luce di un fotoglobo a basso wattaggio e del giorno che si rifletteva debolmente lungo quattro metri di corridoio, solo uno degli altri pellegrini era visibile, fagotto scuro sul pavimento di pietra. Martin Sileno era lì disteso e russava. Lamia provò un impeto di paura, come se durante il sonno l'avessero abbandonata. Sileno, Sol, la piccina… solo il Console mancava. Il logorio aveva intaccato il gruppo di pellegrini, sette adulti e una neonata: Het Masteen, scomparso nel carro a vela durante la traversata del mare d'Erba; Lenar Hoyt, ucciso la notte precedente; Kassad, scomparso più tardi, quella stessa notte… il Console… dov'era, il Console?

Dopo un'altra occhiata, Brawne Lamia si persuase che la stanza buia ospitava solo zaini, mucchi di coperte, il poeta addormentato, lo studioso e la figlia; allora si alzò, trovò nel mucchio di coperte la rivoltella automatica paterna, prese a tentoni dallo zaino lo storditore neurale e imboccò il corridoio passando accanto a Weintraub e alla piccina.

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