Lo Shrike aspettava. Proprio appena al di là della porta. Era più alto di quanto Lamia avesse immaginato, torreggiava su di lei.
Lamia varcò la soglia e arretrò subito, soffocando l'impulso a gridare contro la creatura. L'automatica stretta in pugno le parve piccola e inutile. Lasciò cadere la torcia e nemmeno se ne accorse.
La creatura piegò di lato la testa e guardò Lamia. Negli occhi dalle molteplici sfaccettature pulsò una luce rossa. Gli angoli del corpo e delle lame catturarono i riflessi provenienti dall'alto.
— Figlio di puttana — disse Lamia, con voce calma. — Dove sono gli altri? Cosa ne hai fatto di Sol e della piccina? E degli altri?
La creatura piegò dall'altra parte la testa. La faccia era abbastanza aliena perché Lamia non vi scorgesse espressione. Il linguaggio del corpo comunicava solo minaccia. Dita d'acciaio si aprirono con uno schiocco, come bisturi retraibili.
Lamia gli sparò quattro volte al viso: i pesanti proiettili da 16 mm colpirono il bersaglio e sibilarono via nella notte.
— Non sono venuta qui a morire, bastardo di metallo — disse Lamia. Prese la mira e sparò un'altra decina di volte; ogni proiettile andò a segno.
Volarono scintille. Lo Shrike drizzò di scatto la testa, come se tendesse l'orecchio a un rumore lontano.
Sparì.
Lamia ansimò, si acquattò, si girò di scatto. Niente. Il fondo della valle brillò alla luce delle stelle, mentre il cielo si quietava. Le ombre erano nere come l'inchiostro, ma remote. Anche il vento era scomparso.
Brawne Lamia barcollò fino agli zaini e si sedette sul più grosso, cercando di riportare a frequenza normale il battito del cuore. Scoprì con interesse di non avere avuto paura… non realmente… ma non poteva impedire che l'adrenalina le scorresse nelle vene.
Aveva ancora la pistola, cinque o sei colpi nel caricatore e una buona riserva di propellente; prese una bottiglia e bevve un lungo sorso d'acqua.
Lo Shrike le comparve a fianco. L'arrivo era stato istantaneo e silenzioso.
Lamia lasciò cadere la bottiglia, cercò di puntare la pistola e di spostarsi di lato nello stesso tempo.
Fu come se si muovesse al rallentatore. Lo Shrike tese la destra: le dita a lama, lunghe come aghi da rammendo, colsero la luce; una punta scivolò dietro l'orecchio di Brawne, trovò il cranio, penetrò nella testa, senza il minimo attrito, senza il minimo dolore, a parte un senso di gelo.
23
Nel varcare la porta il colonnello Fedmahn Kassad si era aspettato scene straordinarie; invece si ritrovò nella folle coreografia della guerra. Moneta l'aveva preceduto. Lo Shrike l'aveva scortato, le dita a lama conficcate nell'avambraccio. Quando Kassad portò a termine il passo attraverso la cortina d'energia, Moneta lo aspettava e lo Shrike era scomparso.
Kassad capì subito dove si trovavano. Il panorama era quello visibile dalla cima della bassa montagna dove quasi due secoli prima re Billy il Triste aveva fatto scolpire la propria effigie. L'area piatta della vetta era deserta, a parte i resti ancora fumanti di una batteria per la difesa anti-missili. Dalla vetrificazione del granito e dal metallo fuso che ancora ribolliva, Kassad calcolò che la batteria era stata colpita da armi orbitali.
Moneta si portò sull'orlo del dirupo, cinquanta metri sopra l'ampia fronte di re Billy il Triste; Kassad la raggiunse. La vista della vallata del fiume, della città e delle torri dello spazioporto, dieci chilometri a ovest, raccontava la storia.
La capitale di Hyperion bruciava. La parte vecchia della città, Jacktown, era una tempesta di fuoco in miniatura e centinaia di incendi minori punteggiavano i sobborghi e fiancheggiavano l'autostrada per l'aeroporto, simili a fuochi segnaletici ben curati. Perfino il fiume Hoolie bruciava e un fuoco oleoso si diffondeva sotto le antiquate banchine e nei magazzini. La guglia di una chiesa antica emergeva dal mare di fiamme. Kassad cercò Cicero, ma il bar era nascosto dal fumo e dagli incendi a monte del fiume.
Le colline e la valle erano un brulichio di movimento, come un formicaio preso a calci da uno stivale gigantesco. Le autostrade, intasate da un fiume di umanità, si muovevano più lentamente del fiume vero, mentre decine di migliaia di persone fuggivano il combattimento. I lampi dell'artiglieria solida e delle armi a energia arrivavano all'orizzonte e illuminavano le nuvole basse. Ogni pochi minuti, un mezzo aereo, skimmer militare o navetta, si alzava dal fumo intorno allo spazioporto o dalle colline boscose a nord e a sud; subito l'aria si riempiva di lame di luce coerente, dal basso e dall'alto, e il velivolo cadeva lasciando una scia di fumo nero e di fiamme arancione.
Hovercraft svolazzavano da una riva all'altra del fiume, come pulci d'acqua, schivando i relitti in fiamme di barche, di chiatte e di altri hovercraft. L'unico ponte dell'autostrada era crollato e perfino le spallette di cemento e di pietra bruciavano. Laser da combattimento e raggi di frustalaser squarciavano il fumo; missili antiuomo, visibili come puntini bianchi a velocità maggiore di quella che l'occhio poteva seguire, lasciavano scie d'aria increspata e surriscaldata. Sotto lo sguardo di Kassad e di Moneta, un'esplosione sollevò un fungo di fiamma nei pressi dello spazioporto.
"Non nucleare" pensò Kassad.
"No."
La dermotuta che gli copriva gli occhi agiva come un visore della FORCE molto migliorato e Kassad usò lo zoom per esaminare una collina a cinque chilometri a nordovest oltre il fiume. Molti marines della FORCE si muovevano a grandi falcate verso la cima, alcuni si lasciavano cadere e usavano cariche sagomate per scavarsi trincee. Le tute erano attivate, i polimeri mimetici erano perfetti, le tracce termiche erano minime, ma Kassad non aveva difficoltà a scorgerli. Avrebbe distinto la faccia di ognuno, se avesse voluto.
Canali di comando tattici e a raggio compatto gli mormorarono all'orecchio. Kassad riconobbe il vocio eccitato e le imprecazioni che da troppe generazioni erano il marchio del combattimento. Migliaia di soldati si erano dispersi dallo spazioporto e dalle zone d'attestamento e scavavano trincee lungo un cerchio la cui circonferenza era a venti chilometri dalla città e i cui raggi erano ben programmati campi di fuoco e di vettori per distruzione totale.
"Si aspettano un'invasione" trasmise Kassad, sentendo le parole come qualcosa di più della subvocalizzazione e qualcosa di meno della telepatia.
Moneta sollevò il braccio argento vivo e indicò il cielo.
La coltre di nubi era alta, almeno duemila metri: a sorpresa, fu attraversata prima da un velivolo tozzo, poi da altre decine e, nel giro di qualche secondo, da centinaia di oggetti in discesa. La maggior parte era nascosta da polimeri mimetici e da campi di contenimento codicizzati per fare da sfondo, ma di nuovo Kassad non ebbe difficoltà a distinguerli. Sotto i polimeri, i rivestimenti grigio bronzo avevano deboli marchi nella grafia sottile degli Ouster. Alcuni velivoli più grandi erano chiaramente navette, con code azzurre di plasma ben visibili; ma il resto scendeva lentamente sotto l'increspatura di campi di sospensione e Kassad notò la sagoma ondulata dei bidoni d'invasione Ouster: alcuni senza dubbio trasportavano scorte e munizioni; altri, sicuramente vuoti, erano bersagli civetta per le difese a terra.
Un istante dopo, il soffitto di nuvole fu rotto di nuovo da parecchie centinaia di puntini in caduta libera che precipitavano come grandine: la fanteria Ouster oltrepassava velocemente bidoni e navette, aspettando fino all'ultimo secondo per azionare i campi di sospensione usandoli come paracadute con superficie portante.
Il comandante della FORCE, chiunque fosse, conosceva la disciplina, sia nei propri riguardi, sia verso i subalterni. Le batterie di terra e le migliaia di marines disposti intorno alla città ignorarono i facili bersagli delle navette e attesero che i congegni dei reparti di paracadutisti entrassero in funzione… alcuni a poca distanza dalla cima degli alberi. A quel punto l'aria si riempì di migliaia di bagliori e di scie di fumo, mentre i laser guizzavano e i missili esplodevano.