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Intorno al tavolo il brusio divenne più intenso.

— Non è un vero e proprio mondo della Rete — disse lo Speaker Gibbons.

— Ma ora è nella Rete, con il teleporter della FORCE ancora sul posto! — esclamò Garion Persov della Diplomazia: era chiaro che aveva sposato subito l'idea.

L'espressione severa del generale Morpurgo non mutò. — Resterà lì solo per alcune ore. Al momento proteggiamo la sfera dell'anomalia, ma potrebbe cadere da un istante all'altro. Gran parte di Hyperion è nelle mani degli Ouster.

— Ma il personale dell'Egemonia è stato evacuato? — disse Persov.

Rispose Singh. — Tutti, tranne il governatore generale. Non è stato rintracciato, nella confusione.

— Peccato — disse il ministro Persov, senza molta convinzione. — Ma il punto è un altro: la popolazione rimasta è quasi tutta indigena e ha facile accesso al labirinto, dico bene?

Barbre Dan-Gyddis, del Ministero dell'Economia, il cui figlio era stato direttore di una piantagione di fibroplastica nei pressi di Port Romance, disse: — Nel giro di tre ore? Impossibile.

Nansen si alzò. — Non credo. Possiamo trasmettere per astrotel l'avvertimento alle autorità autonome della capitale. Penseranno loro a iniziare immediatamente l'evacuazione. Esistono migliaia di ingressi al labirinto di Hyperion.

— La capitale Keats è sotto assedio — brontolò Morpurgo. — L'intero pianeta è sotto attacco.

Il consulente Nansen annuì con espressione triste. — E presto sarà messo a ferro e fuoco dai barbari Ouster. Una scelta difficile, signore e signori. Ma l'ordigno funzionerà di sicuro. L'invasione cesserà semplicemente di esistere, nello spazio intorno a Hyperion. Sul pianeta milioni di persone si salverebbero e l'effetto sulle forze di invasione Ouster dislocate in altri punti sarebbe significativo. Sappiamo che i loro cosiddetti Sciami Confratelli comunicano mediante astrotel. L'eliminazione del primo Sciame a invadere lo spazio dell'Egemonia… lo Sciame di Hyperion… sarebbe il deterrente perfetto.

Nansen scosse di nuovo la testa e si guardò intorno, con un'aria di preoccupazione quasi paterna. Impossibile fingere una simile sincerità addolorata. — La decisione tocca a voi. L'arma è vostra: potete servirvene o lasciarla da parte. Al Nucleo non piace togliere vite umane… né, con l'inazione, permettere che vite umane si trovino in pericolo. Ma in questo caso, quando sono in ballo miliardi di vite… — Nansen allargò di nuovo le mani, scosse la testa per l'ultima volta e si sedette: era chiaro che rimetteva la decisione a menti e cuori umani.

Intorno al tavolo si levò un mormorio. Il dibattito crebbe, divenne quasi violento.

— PFE! — gridò il generale Morpurgo.

Nel silenzio improvviso, Gladstone alzò lo sguardo verso i display olografici nel buio in alto. Lo Sciame di Mare Infinitum cadeva verso il mondo oceanico come un torrente di sangue indirizzato su di una piccola sfera azzurra. Solo tre faville arancione dell'Unità Operativa 181.2 rimanevano; proprio mentre il Consiglio muto guardava, due si spensero. Poi si estinse anche l'ultima.

Gladstone mormorò nel comlog: — Trasmissioni, c'è stato un ultimo messaggio da parte dell'ammiraglio Lee?

— Nessuno al centro comando, signora — fu la risposta. — Solo telemetria astrotel standard, durante la battaglia. A quanto pare, non hanno raggiunto il centro dello Sciame.

Gladstone e Lee avevano nutrito qualche speranza di catturare degli Ouster, di interrogarli, di stabilire al di là di ogni dubbio l'identità del nemico. Ora quel giovanotto dotato di tanta energia e di tanta abilità era morto… morto per eseguire gli ordini di Meina Gladstone… e settantaquattro navi erano andate sprecate.

— Teleporter di Mare Infinitum distrutto da esplosivi al plasma programmati — annunciò l'ammiraglio Singh. — Elementi di avanguardia dello Sciame penetrano ora nel perimetro cislunare di difesa.

Nessuno aprì bocca. Le olografie mostrarono l'ondata di luci rosso sangue avvolgere il sistema di Mare Infinitum, mentre si spegnevano le ultime faville arancione intorno a quel mondo dorato.

Alcune centinaia di navi Ouster rimasero in orbita, presumìbilmente riducendo in detriti bruciati le aggraziate città galleggianti di Mare Infinitum e le fattorie marine, ma la maggior parte dell'ondata color sangue continuò a rotolare al di là della regione di spazio proiettata in alto.

— Il sistema di Asquith, fra tre ore e quarantuno minuti standard — intonò un tecnico accanto alla consolle di display.

Il senatore Kolchev si alzò. — Mettiamo ai voti la dimostrazione Hyperion — disse, rivolgendosi ostentatamente a Gladstone, ma parlando a tutti i presenti.

Meina Gladstone si tamburellò il labbro. — No — disse infine. — Nessuna votazione. Useremo l'ordigno. Ammiraglio, prepari per la traslazione nel sistema di Hyperion la nave torcia armata di neurobomba e poi trasmetta avvertimenti sia al pianeta sia agli Ouster. Conceda tre ore di tempo. Ministro Imoto, mandi a Hyperion segnale astrotel in codice per dire che devono… ripeto, devono… cercare immediatamente rifugio nei labirinti. Dica che sarà provata una nuova arma.

Morpurgo si asciugò il viso sudato. — Signora, non possiamo correre il rischio che l'ordigno cada in mani nemiche.

Gladstone lanciò un'occhiata al consulente Nansen e cercò di non mostrare quel che provava. — Consulente, l'ordigno può essere modificato in modo che esploda automaticamente, se la nostra nave fosse catturata o distrutta?

— Sì, signora.

— Provveda. Illustri agli esperti della FORCE i necessari accorgimenti di sicurezza. — Si rivolse a Sedeptra. — Preparami una trasmissione all'intera Rete, con inizio previsto dieci minuti prima\iella detonazione dell'ordigno. Devo parlarne alla nostra gente.

— Le sembra saggio… — iniziò la senatrice Feldstein.

— È necessario — disse Gladstone. Si alzò, subito imitata dai trentotto presenti. — Riposerò per qualche minuto, mentre voi lavorate. Voglio che l'ordigno sia pronto e si trovi nel sistema; e che Hyperion sia avvertito immediatamente. Fra trenta minuti, al mio risveglio, voglio trovare pronti piani di emergenza e una scaletta di priorità per una soluzione negoziata.

Guardò il gruppo, ben sapendo che, in un modo o nell'altro, nel giro delle successive venti ore gran parte dei presenti sarebbe stata senza potere e senza carica. In tutti i casi, quello era il suo ultimo giorno da Primo Funzionario Esecutivo.

Sorrise. — Consiglio sospeso — disse. E si teleportò nelle sue stanze per mezz'ora di sonno.

43

Prima d'ora Leigh Hunt non aveva mai visto nessuno morire. L'ultimo giorno e l'ultima notte che passò con Keats (Hunt pensava a lui ancora come Joseph Severn, ma era sicuro che il moribondo ora si considerava John Keats) furono i più difficili della sua vita. Le emorragie si manifestarono di frequente, nell'ultimo giorno di Keats; e fra i conati di vomito si sentiva il catarro gorgogliare nella gola e nel petto dell'uomo che lottava per vivere.

Hunt sedette accanto al letto, nella stanzetta affacciata su Piazza di Spagna, e ascoltò Keats borbottare, mentre l'alba si mutava in mattino e il mattino svaniva nel precoce crepuscolo. Keats, febbricitante, alternava momenti di incoscienza a momenti di lucidità, ma insistette che Hunt ascoltasse e mettesse per iscritto ogni sua parola… nell'altra stanza avevano trovato inchiostro, penna e carta protocollo; e Hunt acconsentì, scribacchiò con furia, mentre il cìbrido moribondo vaneggiava di metasfera e di divinità perdute, delle responsabilità dei poeti e della morte di dèi, della miltoniana guerra civile all'interno del Nucleo.

A quel punto Hunt alzò bruscamente la testa e strinse la mano febbricitante di Keats. — Dov'è, il Nucleo, Sev… Keats? Dove si trova?

Il moribondo, visibilmente sudato, girò il viso. — Non mi aliti in faccia… sembra ghiaccio!

— Il Nucleo — ripeté Hunt, tirandosi indietro e sentendosi prossimo alle lacrime, per la pietà e l'esasperazione. — Dove si trova, il Nucleo?

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