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— Lo voglio qui entro venti minuti. Aggiornatelo. Dov'è il capitano Lee?

Niki Cardon, la giovane incaricata dei collegamenti con i militari, rispose: — Ieri notte Lee è stato trasferito al pattugliamento periferico, da Morpurgo e dal caposettore della FORCE:mare. Salterà da un mondo oceanico all'altro, per vent'anni del nostro tempo. Al momento si è teleportato al FORCE:ComCenMar, su Bressia, in attesa di passaggio extraplanetario.

— Riportatelo qui. Voglio che sia promosso ammiraglio di divisione o come diavolo si dice, e assegnato a me personalmente, non alla Casa del Governo né all'Esecutivo. Sarà il commesso viaggiatore nucleare, se occorre.

Per un istante fissò la parete spoglia. Pensò ai pianeti dove aveva passeggiato quella notte: il Mondo di Barnard, luce di lampioni fra le foglie, antichi edifici di college in mattoni; Bosco Divino, montgolfier impastoiati e zeplen in volo libero a salutare l'alba; Porta del Paradiso, la Passeggiata… Tutti bersagli della prima ondata. Scosse la testa. — Leigh, voglio che entro quarantacinque minuti lei, Tarra e Brindenath mi prepariate la bozza di tutt'e due i discorsi… quello generale e la dichiarazione di guerra. Brevi. Inequivocabili. Controlli i file alle voci Churchill e Strudensky. Realistici ma spavaldi, ottimistici ma temperati da truce determinazione. Niki, mi serve il monitoraggio in tempo reale di ogni mossa effettuata dai capi congiunti. Voglio un display personale della mappa comando… trasmesso tramite il mio impianto. Riservato solo al PFE. Barbre, lei sarà la mia estensione di diplomazia con altri mezzi, verso il Senato. Convochi qui i senatori, chieda la restituzione di debiti politici, tiri la fila, ricatti, blandisca, ma faccia capire a tutti che sarà meno pericoloso andare a combattere gli Ouster che ostacolarmi nelle prossime tre o quattro votazioni. Domande?

Attese tre secondi, poi batté le mani. — Bene. Muoviamoci, gente!

Nel breve intervallo prima della nuova ondata di senatori, ministri e segretari, Gladstone girò la poltroncina verso la parete nuda, alzò il dito verso il soffitto e agitò la mano.

Tornò a girarsi un attimo prima che entrasse il nuovo gruppo di VIP.

25

Sol, il Console, padre Duré e Het Masteen, ancora svenuto, si trovavano nella prima delle Tombe dette Grotte, quando udirono gli spari. Il Console uscì da solo, con prudenza, sondando la tempesta delle maree del tempo che li aveva spinti più all'interno nella valle.

— Tutto a posto — gridò. Il bagliore livido della lanterna di Sol illuminò l'ingresso della grotta, tre facce pallide e il mucchio di vesti che era il Templare. — Le maree sono diminuite — gridò ancora il Console.

Sol si alzò. Sotto il suo, il viso della figlia era un pallido ovale. — Sei sicuro che gli spari provenissero dalla pistola di Brawne?

Il Console indicò l'oscurità esterna. — Era l'unica ad avere una sparapiombo. Vado a controllare.

— Aspetta — disse Sol. — Vengo con te.

Padre Duré rimase inginocchiato accanto a Het Masteen. — Andate pure. Resto io, con lui.

— Uno di noi due tornerà a dare un'occhiata entro cinque minuti — disse il Console.

La valle brillava della luce livida delle Tombe del Tempo. Il vento ruggiva da sud, ma la corrente d'aria quella notte era più alta, sopra le pareti di roccia, e non disturbava le dune del fondovalle. Sol seguì il Console, che percorse con cautela l'impervio sentiero e girò verso l'imboccatura della valle. Lievi strattoni di déjà vu ricordarono a Sol la violenza delle maree del tempo di un'ora prima, ma ormai anche i residui della bizzarra tempesta erano quasi svaniti.

Quando il sentiero si allargò, Sol e il Console oltrepassarono insieme il campo di battaglia riarso intorno al Monolito di Cristallo, il cui bagliore latteo era riflesso dalle innumerevoli schegge sparse sul fondo dell'arroyo; poi superarono la leggera salita al di là della Tomba di Giada con la sua fosforescenza verde chiaro, girarono di nuovo e seguirono le rampe poco accentuate che portavano alla Sfinge.

— Dio mio — mormorò Sol. Si lanciò avanti, cercando di non scuotere la piccina addormentata nel porta-neonati. Si inginocchiò accanto alla sagoma scura sul gradino più alto.

— Brawne? — domandò il Console, fermandosi due passi più indietro e ansimando per prendere fiato dopo l'improvvisa corsa in salita.

— Sì. — Sol iniziò a sollevarle la testa, ma ritrasse subito la mano, quando toccò qualcosa di viscido e freddo che trasudava dal cranio.

— Morta?

Sol strinse al petto la figlia e toccò la gola di Brawne, cercando le pulsazioni. — No — disse, con un profondo sospiro. — È viva… ma è svenuta. Dammi la torcia.

Passò il raggio luminoso sopra la ligura scomposta di Brawne Lamia e seguì il cordone argenteo ("tentacolo" era un termine migliore, vista la consistenza carnosa che faceva pensare a un'origine organica) che dalla presa di shunt neurale nel cranio correva lungo l'ampio scalino della Sfinge fin dentro l'ingresso spalancato. La Sfinge era la Tomba più luminosa, ma il vano era molto buio.

Il Console si avvicinò. — Cos'è? — Allungò la mano per toccare il cordone argenteo e, come Sol, la ritrasse di scatto. — Oddio, è caldo.

— Sembra vivo — convenne Sol. Aveva massaggiato le mani di Brawne e ora le schiaffeggiò leggermente le guance nel tentativo di farla rinvenire. La donna non si mosse. Sol si girò e seguì con il raggio luminoso il cordone serpeggiante nel corridoio d'ingresso, fin dove era visibile. — Non credo che Brawne si sia collegata volontariamente a questa roba.

— Lo Shrike — disse il Console. Si sporse più vicino per attivare la lettura dei dati biologici nel comlog al polso di Brawne. — Tutto normale, Sol, a parte le onde cerebrali.

— Cosa dicono?

— Dicono che è morta. Cerebralmente morta, almeno. Nessuna funzione di livello superiore.

Sol sospirò, si dondolò sui talloni. — Dobbiamo vedere dove porta il cordone.

— Non possiamo limitarci a staccarlo dalla presa di shunt?

— Guarda. — Sol illuminò la parte posteriore della testa di Brawne e scostò un ciuffo di ricci scuri. Lo shunt neurale, normalmente un disco di plastocarne largo alcuni millimetri con una presa di dieci micron, sembrava fuso: la carne sporgeva in un livido rossastro e si univa ai microcollegamenti del cavo metallico.

— Occorrerebbe un intervento chirurgico, per rimuoverlo — mormorò il Console. Toccò il rigonfiamento di carne. Brawne non si mosse. Il Console ricuperò la torcia e si alzò. — Resta con lei. Seguo il cavo all'interno.

— Usa i canali di comunicazione — disse Sol, pur sapendo quanto si erano dimostrati inutili, durante il flusso e il riflusso delle maree del tempo.

Il Console annuì e avanzò rapidamente, prima che la paura lo facesse esitare.

Il cavo di cromo serpeggiava lungo il corridoio principale, girava e scompariva al di là della stanza dove i pellegrini avevano dormito la notte precedente. Il Console lanciò un'occhiata dentro la stanza e illuminò per un attimo le coperte e gli zaini abbandonati nella fretta.

Seguì il cavo lungo la curva del corridoio; attraverso la porta centrale dove il passaggio si divideva in tre corridoi più stretti; su per una rampa e di nuovo giù per lo stretto passaggio che i primi esploratori avevano chiamato "strada di re Tut"; poi giù per una rampa; lungo un basso tunnel dove fu costretto a strisciare, posando con attenzione mani e ginocchia per non toccare il tentacolo metallico caldo come carne; su per un piano inclinato così ripido da costringerlo ad arrampicarsi come in un camino; lungo un corridoio più ampio di cui non ricordava l'esistenza, dove le pietre si inclinavano verso il soffitto e lasciavano cadere goccioline di condensa; e poi per una ripida discesa, rallentando solo a costo di lembi della pelle delle mani e delle ginocchia; strisciando infine per un tratto più lungo di quanto non sembrasse larga la Sfinge. Perdette del tutto il senso dell'orientamento e si affidò al cavo per trovare la strada al ritorno.

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