La mia tosse l'ha svegliato; la mia emorragia mi ha riportato a casa.
— Hunt! — ansimo; mi distendo sui guanciali, troppo debole per alzare il braccio.
Lui si siede sul letto, mi stringe la spalla, mi prende la mano. Capisco che sa che sono moribondo.
— Hunt — mormoro — ho cose da dirle. Cose meravigliose.
Mi zittisce. — Dopo, Severn. Riposi. Provvederò a ripulirla e mi racconterà dopo. C'è un mucchio di tempo.
Cerco di alzarmi, ma riesco solo ad aggrapparmi al suo braccio, le dita strette sulla sua spalla. — No — mormoro; sento in gola il gorgoglio e odo il gorgoglio della fontana, fuori. — Non c'è tanto tempo. Proprio per niente.
E capisco in quell'istante, moribondo, che non sono il veicolo scelto per l'IF umana, né la congiunzione dell'IA e dello spirito umano: non sono affatto il Prescelto.
Sono solo un poeta che muore lontano da casa.
42
Il colonnello Fedmahn Kassad morì in battaglia.
Sempre avvinghiato allo Shrike, scorgendo Moneta come una macchia confusa ai limiti del campo visivo, Kassad traslò nel tempo, con un sussulto di vertigine, e ruzzolò nella luce del sole.
Lo Shrike ritrasse le braccia e arretrò: gli occhi rossi parvero riflettere il sangue che imbrattava la dermotuta di Kassad. Il sangue di Kassad.
Il colonnello si guardò intorno. Si trovavano nelle vicinanze della Valle delle Tombe, ma in un tempo diverso, remoto. Al posto delle rocce del deserto e delle dune delle lande, una foresta era rinata a mezzo chilometro dalla valle. Verso sudest, più o meno dove una volta c'erano le rovine della Città dei Poeti, sorgeva una città viva, con torri e bastioni e gallerie a cupola che brillavano debolmente nella luce della sera. Fra la città al limitare della foresta e la valle, prati di alta erba verde si gonfiavano sotto la brezza che spirava dalla lontana catena montuosa della Briglia.
Alla sinistra di Kassad c'era sempre la Valle delle Tombe del Tempo, ma ora le pareti rocciose erano crollate, consumate dall'erosione o da terremoti e coperte di erba. Le Tombe stesse parevano nuove, costruite solo di recente, ancora con le impalcature di lavoro, intorno all'Obelisco e al Monolito. Ogni Tomba di superficie brillava di oro, come orlata e brunita del prezioso metallo. Le porte e gli ingressi erano sigillati. Pesanti e imperscrutabili macchinari attorniavano le Tombe, circondavano la Sfinge di cavi massicci e di aste sottili come fil di ferro. Kassad capì subito di trovarsi nel futuro, forse di secoli o di millenni, e che le Tombe stavano per essere lanciate all'indietro nel suo tempo e anche oltre.
Si guardò alle spalle.
Parecchie migliaia di uomini e di donne, file su file, occupavano il pendio erboso dove un tempo c'era una parete di roccia. Silenziosi, armati, erano schierati di fronte a Kassad come un esercito in attesa del capo. Campi di dermotuta tremolavano attorno ad alcuni di loro, ma altri avevano solo pelliccia, ali, scaglie, armi esotiche e complicate coloriture che Kassad aveva già visto durante la precedente visita con Moneta nel luogo/tempo dove era stato guarito.
Moneta. La donna stava fra Kassad e la moltitudine, con il campo della dermotuta che le scintillava intorno alla cintola, ma portava anche una morbida tuta che pareva di velluto nero. Al collo aveva una sciarpa rossa. A tracolla portava un'arma sottile come una bacchetta. Fissava Kassad.
Il colonnello vacillò un poco, perché era gravemente ferito ma anche perché aveva scorto negli occhi di Moneta un qualcosa che lo privò delle forze per la sorpresa.
Moneta non lo conosceva. Il viso della donna rifletteva lo stupore, la meraviglia — timore reverenziale? — che si leggevano sulla faccia degli altri. La valle era silenziosa, a parte l'occasionale schiocco di una banderuola su una picca o il fruscio del vento nell'erba, mentre Kassad fissava Moneta e lei gli restituiva lo sguardo.
Kassad si guardò da sopra la spalla.
Lo Shrike, immobile come una statua metallica, era a dieci metri; l'erba gli arrivava quasi alle ginocchia coperte di lame uncinate.
Dietro lo Shrike, dall'altra parte dell'imboccatura della valle, vicino al punto dove iniziava la scura fascia di alberi, orde di Shrike, legioni di Shrike, file su file di Shrike, brillavano come lame di bisturi nella luce del sole basso.
Kassad riconobbe lo Shrike, il suo Shrike, solo perché era più vicino a lui e aveva sangue sugli artigli e sul petto. Gli occhi del mostro pulsarono di luce scarlatta.
— Sei tu, vero? — disse una voce morbida, alle spalle di Kassad.
Il colonnello si girò di scatto, per un istante si sentì assalire dalla vertigine. Moneta era ferma a qualche metro. Aveva i capelli corti come lui li ricordava dal primo incontro, pelle altrettanto morbida all'aspetto, occhi ugualmente misteriosi nel loro sguardo profondo, verdi punteggiati di marrone. Kassad provò l'impulso di alzare la mano e sfiorarle gentilmente lo zigomo, di passare il dito sulla curva del labbro inferiore. Non si mosse.
— Sei tu — ripeté Moneta; e stavolta non era una domanda. — Il guerriero che ho profetizzato al popolo.
— Non mi riconosci, Moneta? — Kassad aveva ferite profonde fino all'osso, ma nessuna gli procurava tanto dolore come quel momento.
Lei scosse la testa e si scostò dalla fronte i capelli, con un gesto penosamente familiare per Kassad. — Moneta — ripeté. — Significa "Figlia di Memoria" e anche "ammonitrice". Un buon nome.
— Non è il tuo?
Lei sorrise. Kassad ricordò lo stesso sorriso nella valle stretta e lunga della foresta dove avevano fatto l'amore la prima volta. — No — rispose lei, piano. — Non ancora. Sono appena giunta qui. Ancora non ho iniziato il viaggio e la sorveglianza. — Gli disse il proprio nome.
Kassad batté le palpebre, alzò la mano, le toccò la guancia. — Siamo stati amanti — disse. — Ci siamo incontrati su campi di battaglia perduti nella memoria. Sei stata con me dappertutto. — Si guardò intorno. — Per arrivare a questo, vero?
— Sì.
Kassad si girò a fissare l'esercito di Shrike dall'altra parte della valle. — È una guerra? Alcune migliaia contro alcune migliaia?
— Una guerra — disse Moneta. — Alcune migliaia contro alcune migliaia, su dieci milioni di mondi.
Kassad chiuse gli occhi e annuì. La dermotuta gli praticò suture, medicazioni da campo, iniezioni di ultramorfina; ma era impossibile tenere a bada ancora per molto il dolore e la debolezza causati dalle orribili ferite. — Dieci milioni di mondi — disse Kassad e riaprì gli occhi. — Una battaglia finale, allora?
— Sì.
— E il vincitore rivendica le Tombe?
Moneta lanciò un'occhiata alla valle. — Il vincitore determina se lo Shrike già chiuso nella tomba va da solo a pavimentare la strada per altri… — con un cenno indicò l'esercito di Shrike — o se la razza umana ha voce in capitolo, nel nostro passato e futuro.
— Non capisco — disse Kassad, con voce tesa. — Ma di rado i soldati capiscono la situazione politica. — Si sporse, baciò Moneta, sorpresa, e le tolse la sciarpa rossa. — Ti amo — disse, legando alla canna del fucile di assalto la striscia di stoffa. Le spie luminose mostrarono che nell'arma restava la metà della carica energetica e delle munizioni.
Fedmahn Kassad avanzò di cinque passi, girò la schiena allo Shrike, alzò le braccia al popolo, sempre muto sul pendio, e gridò: — Per la libertà!
Tremila voci ripetereno il grido: — Per la libertà! — Il ruggito non terminò con l'ultima parola.
Kassad si girò, tenendo alto il fucile e la sciarpa come bandiera. Lo Shrike avanzò di mezzo passo, mutò la posizione, allargò le dita a lama.
Kassad mandò un grido e si lanciò all'attacco. Più indietro, Moneta lo seguì, tenendo l'arma in alto. Tremila li imitarono.
Più tardi, nel carnaio della valle, Moneta e pochi altri dei Guerrieri Eletti trovarono Kassad ancora stretto in un abbraccio di morte alla carcassa dello Shrike. Rimossero con cautela il corpo, lo portarono nella tenda già pronta nella valle, lo lavarono, lo ricomposero e lo trasportarono tra ali di folla nel Monolito di Cristallo.