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— Lieto di conoscerla, signora Philomel — dissi. La sua mano era tiepida. Mantenne la stretta un istante di troppo.

— Non è emozionante? — sussurrò.

— Che cosa?

Mosse la mano in un ampio gesto che includeva la notte, i fotoglobi che cominciavano ad accendersi, i giardini, la folla. — Oh, il party, la guerra, tutto — rispose.

Le sorrisi, annuendo; assaggiai il roast beef. Era eccezionale, ottimo, ma con una punta del gusto pungente tipico delle vasche di clonazione di Lusus. Il calamaro pareva autentico. Gli steward erano passati a offrire coppe di champagne; lo assaggiai. Scadente. Vino di qualità, scotch e caffè erano le tre cose che nessuno era riuscito a sostituire, dopo la morte della Vecchia Terra. — Secondo lei, la guerra è necessaria? — domandai.

— Altroché, maledizione! — Diana Philomel aveva aperto la bocca, ma a rispondere era stato il marito. Era giunto di sorpresa e si sedette sul finto ceppo sul quale cenavamo. Era un colosso, almeno un piede e mezzo più alto di me, ma questo significa poco, dal momento che sono basso. La memoria mi dice che un tempo scrissi una poesia in cui mi prendevo in giro da solo: "…Mister John Keats, cinque piedi", anche se in realtà sono cinque e uno: leggermente basso, quando Napoleone e Wellington erano vivi e la statura media maschile era di cinque piedi e sei pollici, ma ridicolmente basso, ora che sui mondi a gravità standard la statura va da sei piedi a quasi sette. Chiaramente non avevo la muscolatura né la costituzione per sostenere di provenire da un pianeta a forte gravità, per cui agli occhi di tutti ero soltanto basso. (Mi sono espresso servendomi delle unità di misura a cui sono abituato: da quando sono rinato nella Rete, di tutti i cambiamenti mentali pensare nel sistema metrico decimale è il più difficile; a volte rifiuto perfino di provarci.)

— Perché la guerra è necessaria? — domandai a Hermund Philomel, marito di Diana.

— Perché quei maledetti l'hanno voluta - brontolò lui. Parlava arrotando i denti e muovendo i muscoli delle guance. Quasi privo di collo, aveva una barba sottocutanea che sfidava crema depilatoria, lametta, rasoio. Le sue mani erano grandi una volta e mezzo le mie e molte volte più robuste.

— Capisco — dissi.

— I maledetti Ouster l'hanno voluta - ripeté e passò in rassegna per me i punti principali della sua tesi. — Ci hanno rotto i coglioni su Bressia e ora ci rompono le palle su… su comesichia…

— Il sistema di Hyperion — disse sua moglie, senza mai staccare lo sguardo dal mio.

— Già — convenne il suo signore e marito. — Il sistema di Hyperion. Ci hanno rotto le palle e ora dobbiamo andare laggiù a far vedere che l'Egemonia non ci sta. Chiaro?

Ricordai che, da ragazzo, ero stato mandato a Enfield, alla scuola secondaria John Clarke, e che lì c'era più di un paio di bulli come lui, dal cervello di gallina e dai pugni come prosciutti. Appena giunto, li evitai o cercai di vivere in pace con loro. Dopo la morte di mia madre, quando tutto il mio mondo cambiò, andai a caccia di loro anche se ero più piccolo, stringendo sassi nel pugno; e mi rialzai da terra per picchiare di nuovo, anche con il naso sanguinante e i denti che ballavano.

— Chiaro — dissi piano. Il piatto era vuoto. Alzai la coppa di champagne scadente per un brindisi a Diana Philomel.

— Mi ritragga — disse lei.

— Prego?

— Mi ritragga, signor Severn. Lei è un artista.

— Pittore — dissi, mostrando la mano vuota. — Purtroppo non ho lo stilo.

Diana Philomel frugò nella tasca della veste del marito e mi tese una penna a luce. — Mi ritragga, la prego.

La tratteggiai. Il ritratto prese forma a mezz'aria: le linee si alzarono e ricaddero e tornarono su se stesse come filamenti al neon in una statua di fil di ferro. Una piccola folla si raccolse a guardare. Risuonò un tiepido applauso, quando terminai. Il disegno non era malvagio. Coglieva la lunga e voluttuosa curva del collo della donna, l'alta treccia di capelli, gli zigomi sporgenti… perfino il lampo lieve, ambiguo, degli occhi. Era il meglio che potessi fare, dopo che la cura RNA e le lezioni mi avevano preparato per la personalità attuale. Il vero Joseph Severn avrebbe fatto di meglio… aveva fatto di meglio. Ricordo che mi fece il ritratto, quando ero in punto di morte.

La signora Diana Philomel s'illuminò, approvando il mio lavoro. Il signor Hermund Philomel mi guardò in cagnesco.

Si alzò un grido: «Eccole!»

La folla mormorò, restò a bocca aperta, tacque. I fotoglobi e le luci del giardino si smorzarono e si spensero. Migliaia di ospiti alzarono gli occhi al cielo. Cancellai il disegno e rimisi nel taschino di Hermund la penna a luce.

— La flotta — disse un anziano signore dall'aria distinta, nell'uniforme nera della FORCE. Alzò il bicchiere a indicare qualcosa alla giovane compagna. — Hanno appena aperto il portale. Passeranno prima le navi vedetta, poi la scorta di navi torcia.

Dal nostro punto d'osservazione, il teleporter militare della FORCE non era visibile. Anche nello spazio, immagino, sarebbe apparso solo come un'aberrazione rettangolare contro la distesa di stelle. Ma le code di fusione erano ben visibili, prima come un gruppo di lucciole o di ragnatelidi luminosi, poi come comete ardenti, a mano a mano che le vedette accendevano il motore principale e sciamavano nella zona di traffico cislunare del sistema di Tau Ceti. Un altro ansito generale si levò, quando comparvero le navi torcia, con la coda cento volte più lunga di quella delle vedette. Da orizzonte a orizzonte, il cielo notturno di TC2 fu segnato da strisce rosso oro.

Qualcuno batté le mani. Nel giro di qualche secondo, i campi e i prati e i giardini del Parco dei Cervi scrosciarono di applausi sfrenati e di sonori evviva, mentre l'elegante folla di miliardari, di funzionari governativi, di esponenti di nobili casate, giunta da cento mondi diversi, dimenticava ogni cosa, tranne lo sciovinismo e la sete di guerra ora risvegliata dopo più di un secolo e mezzo di letargo.

Non applaudii. Ignorato da coloro che mi attorniavano, terminai il brindisi — non a lady Philomel, ora, ma alla durevole stupidità della mia razza — e vuotai la coppa di champagne. Era insipido.

In alto, le navi più importanti della flotta si erano teleportate all'interno del sistema. Grazie a un brevissimo contatto con la sfera dati, la cui superficie adesso era agitata da fiotti di dati fino a sembrare un mare in tempesta, seppi che la flotta della FORCE:spazio consisteva di più di cento spin-navi importanti : assaltatori di un nero metallico, simili a lance, con i bracci di lancio ripiegati; navi comando Tre-C, belle e goffe come meteore di cristallo nero; cacciatorpediniere a forma di bulbo, che sembravano navi torcia ipersviluppate, quali in realtà erano; vedette per la difesa perimetrale, più energia che materia, con i massicci campi di contenimento predisposti era per la riflessione totale… lucenti specchi che riflettevano Tau Ceti e le centinaia di scie di fiamma tutt'intorno; incrociatori rapidi, che si muovevano come squali fra banchi di navi più lente; sgraziati trasporti truppe, che portavano nelle stive a gravità zero migliaia di FORCE:marines, e decine e decine di navi appoggio: fregate, cacciatorpediniere d'assalto, lanciasiluri, vedette di relè astrotel e le stesse Balzonavi teleporter, massicci dodecaedri con un fantastico spiegamento di antenne e di sonde.

Tutt'intorno alla flotta, mantenuti a distanza di sicurezza dal controllo del traffico, svolazzavano yacht e imbarcazioni private, la cui velatura raccoglieva la luce del sole e rifletteva lo splendore delle navi da guerra.

Gli ospiti della Casa del Governo esultarono e applaudirono. Il tizio in divisa nera della FORCE piangeva in silenzio. Lì accanto, tele e olocamere ad ampia banda, nascoste, portavano su centinaia di mondi della Rete e, tramite astrotel, su decine di mondi al di fuori della Rete quello storico momento.

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