Fuori era mattino, così luminoso che Lamia fu costretta a schermarsi gli occhi, mentre scendeva i gradini di pietra della Sfinge e poi risaliva il sentiero di terra battuta che immetteva nella valle. La tempesta era cessata. Il cielo di Hyperion era di un profondo, cristallino color lapislazzuli screziato di verde; il sole di Hyperion era una fonte di luce bianca e vivida appena sorta sopra la scoscesa parete orientale. Le ombre delle rocce si fondevano con i contorni proiettati dalle Tombe del Tempo sul fondo della valle. La Tomba di Giada scintillava. Si vedevano i mucchi di sabbia e le dune depositati dalla tempesta, sabbie bianche e vermiglie fuse in curve sinuose e striature intorno alla pietra. Non c'era traccia dell'accampamento della notte precedente. Il Console era seduto sopra una pietra, dieci metri più in basso. Fissava la valle e fumava la pipa, da cui si levava a spirale un filo di fumo. Lamia mise in tasca rivoltella e storditore e scese l'altura per raggiungerlo.
— Nessun segno del colonnello Kassad — disse il Console, mentre lei si avvicinava. Non si girò nemmeno.
Lamia guardò giù nella valle il Monolito di Cristallo: la sua superficie, un tempo scintillante, era pustolosa e butterata; la parte superiore, per una trentina di metri, pareva scomparsa e alla base i detriti fumavano ancora. Il mezzo chilometro di terreno fra la Sfinge e il Monolito era bruciato e pieno di crateri. — Pare che non se ne sia andato senza combattere — disse Lamia.
Il Console borbottò qualcosa. Il fumo della pipa fece venire fame a Lamia. — Ho fatto ricerche fino al Palazzo dello Shrike, due chilometri più avanti — disse poi il Console. — Pare che la zona dello scontro a fuoco sia stata il Monolito. Anche ora nell'edificio non c'è traccia di aperture a livello del suolo, ma dagli squarci più in alto si scorge la struttura ad alveare rivelata dal radar di profondità.
— E nessun segno di Kassad?
— Nessuno.
— Sangue? Ossa calcinate? Un biglietto in cui dica che tornerà dopo aver consegnato in lavanderia la roba sporca?
— Niente.
Con un sospiro Brawne Lamia si sedette sopra un masso, accanto al Console. Il sole era caldo, sulla pelle. Lei socchiuse gli occhi e fissò l'imboccatura della valle. — Be', al diavolo — disse. — Cosa facciamo, ora?
Il Console si tolse di bocca la pipa, la fissò, accigliato, scosse la testa. — Stamattina ho provato di nuovo il relè comlog, ma la nave è sempre bloccata. — Scosse la cenere. — Ho provato anche le bande d'emergenza, ma è chiaro che non possiamo metterci in contatto. O la nave non trasmette, o qualcuno ha ordine di non rispondere.
— Te ne saresti andato davvero?
Il Console si strinse nelle spalle. Si era tolto l'alta uniforme da diplomatico del giorno prima e indossava un pullover di lana grezza, calzoni di saia grigia, stivali alti. — Avere qui la nave ci darebbe… ti darebbe… la possibilità di andare via. E vorrei che gli altri la prendessero in considerazione. In fin dei conti, Masteen è scomparso, Hoyt e Kassad sono morti… non so cosa fare.
— Colazione, per esempio — disse una voce profonda.
Lamia si girò: Sol scendeva il sentiero e teneva appeso al petto il porta-neonati con dentro Rachel. La luce del sole scintillava sul cranio calvo dell'anziano studioso. — Non è una brutta idea — disse Lamia. — Ci rimangono provviste sufficienti?
— Sufficienti per la prima colazione — disse Weintraub. — Poi abbiamo ancora qualche razione per pasti freddi, nella sacca di scorta del colonnello. Dopo, mangeremo pirillipedi e alla fine ci sbraneremo l'un l'altro.
Il Console tentò un sorriso, rimise la pipa nel taschino della camicia. — Suggerisco di tornare a Castel Crono, prima d'arrivare a questo. Abbiamo consumato il contenuto del freezer della Benares, ma nel castello c'erano dispense.
— Mi piacerebbe… — cominciò Lamia, ma fu interrotta da un grido proveniente dall'interno della Sfinge.
Fu la prima a raggiungere la tomba e aveva in pugno l'automatica ancora prima di varcare l'ingresso. Il corridoio era buio, la stanza dove avevano dormito era ancora più buia; a Brawne occorse un secondo per capire che lì non c'era nessuno. Si acquattò e tenne sotto tiro la curva del corridoio, anche quando Sileno, da un punto fuori vista, gridò di nuovo: — Ehi! Venite qui!
Da sopra la spalla Brawne guardò il Console varcare l'ingresso.
— Aspetta qui! — gli ordinò. Percorse senza far rumore il corridoio, tenendosi contro la parete, rivoltella tesa, colpo in canna, senza la sicura. Si soffermò accanto al vano aperto dello stanzino dove giaceva il corpo di Hoyt, si acquattò, entrò con una mezza giravolta, tenendo sempre l'arma puntata.
Martin Sileno, seduto sui talloni accanto al cadavere, alzò gli occhi. Aveva accartocciato e tolto via il foglio di fibroplastica usato per coprire il corpo del prete. Guardò Lamia, diede un'occhiata priva d'interesse alla rivoltella, tornò a fissare il corpo. — Non è incredibile? — disse piano.
Lamia abbassò la rivoltella e si accostò. Dietro di loro, il Console scrutò nello stanzino. Sol Weintraub era nel corridoio: la piccina piangeva.
— Dio mio! — disse Brawne Lamia. Si piegò accanto al corpo di padre Lenar Hoyt. I lineamenti sconvolti dalla sofferenza del giovane prete erano stati scolpiti a nuovo nel viso di un uomo sulla settantina: fronte alta, naso aristocratico, labbra sottili piacevolmente sollevate agli angoli, zigomi sporgenti, orecchie appuntite sotto una frangia di capelli grigi, occhi grandi sotto palpebre pallide e sottili come pergamena.
Il Console si accoccolò accanto a loro. — Ho visto le olografie. Questo è padre Paul Duré.
— Guardate — disse Martin Sileno. Scostò ancora il telo, esitò, poi girò sul fianco il cadavere. Sul petto dell'uomo pulsavano, rosei, due piccoli crucìmorfi simili a quello di Hoyt, ma la schiena ne era priva.
Sol, in piedi accanto allo stipite, cercava di calmare Rachel cullandola dolcemente e mormorandole parole dolci. Quando la piccina si zittì, Sol disse: — Credevo che ai Bikura occorressero tre giorni per… per rigenerarsi.
Martin Sileno sospirò. — I Bikura sono stati risuscitati dai parassiti crucimorfi per più di due secoli standard. Forse la prima volta è più facile.
— È… — cominciò Lamia.
— Vivo? — Sileno le prese la mano. — Senti qui.
Per quanto lievemente, il petto dell'uomo s'alzava e s'abbassava. La pelle era tiepida al tocco. Il calore dei crucimorfi sotto la pelle era palpabile. Brawne Lamia ritrasse di scatto la mano.
La cosa che sei ore prima era stata il cadavere di padre Lenar Hoyt aprì gli occhi.
— Padre Duré? — disse Sol, facendosi avanti.
L'uomo girò la testa. Batté le palpebre come se la luce, per quanto fioca, gli facesse male agli occhi ed emise un suono incomprensibile.
— Acqua — disse il Console; tolse di tasca la piccola borraccia di plastica. Martin Sileno resse la testa all'uomo, mentre il Console gli dava da bere.
Sol si accostò e si chinò a toccare l'avambraccio dell'uomo. Perfino gli occhietti neri di Rachel parvero curiosi. Sol disse: — Se non può parlare, batta due volte le palpebre per dire "sì" e una volta per dire "no". Lei è Duré?
L'uomo girò la testa verso lo studioso. — Sì — disse piano, con voce profonda, colta. — Sono padre Paul Duré.
La colazione consisteva dell'ultimo caffè, pezzetti di carne fritti sopra l'unità di riscalamento portatile, una manciata di fiocchi di granturco mescolati a latte reidratato e l'ultima pagnotta tagliata in cinque parti. A Lamia parve deliziosa.
Seduti nella striscia d'ombra sotto l'ala protesa della Sfinge, usarono come tavolino una pietra bassa e piatta. Il sole saliva verso metà mattino e il cielo era sereno. Si udivano solo l'occasionale acciottolio di un cucchiaio o di una forchetta e lo scambio di frasi in tono sommesso.
— Si ricorda… di prima? — domandò Sol. Il prete indossava un abito di bordo del Console, una tuta grigia con il simbolo dell'Egemonia a sinistra sul petto. L'uniforme era un briciolo troppo stretta.