Notte. Mi sveglio tossendo, sento dell'umido sul petto nudo; Hunt armeggia con la candela e alla luce vedo sangue sulla pelle, macchie sulle lenzuola.
— Oddio — mormora Hunt, inorridito. — Cos'è? Cosa succede?
— Emorragia — riesco a dire, dopo che un altro attacco di tosse mi lascia più debole e più sporco di sangue. Faccio per alzarmi, ricado sul guanciale, indico la bacinella di acqua e l'asciugamano sul comodino.
— Maledizione, maledizione — borbotta Hunt, cercando il mio comlog per avere una lettura medica. Non c'è comlog. Quel giorno stesso, durante la camminata, ho buttato via l'inutile strumento di Hoyt.
Hunt si toglie il comlog, regola il monitor, me lo lega al polso. Le letture non hanno significato, per lui, indicano solo la necessità di cure mediche immediate. Come molti della sua generazione, Hunt non ha mai visto malattie né morte… materia professionale trattata lontano dagli occhi della gente comune.
— Non ci badi — mormoro, non più assediato dalla tosse, ma appesantito dalla stanchezza come da una coltre di pietre. Indico di nuovo l'asciugamano; Hunt lo inumidisce, mi lava il sangue sul petto e sulle braccia, mi aiuta a sedermi nell'unica poltrona, cambia le lenzuola e le coperte macchiate.
— Sa che cosa le succede? — domanda, con preoccupazione genuina.
— Sì. — Tento un sorriso. — Accuratezza. Verosimiglianza. Ontogenesi che riassume filogenesi.
— Parli chiaro — sbotta Hunt. Mi aiuta a ridistendermi sul letto. — Cosa ha provocato l'emorragia? Come posso aiutarla?
— Mi dia un bicchiere di acqua, per favore. — Sorseggio l'acqua, sento il rimescolio nel petto e in gola, ma riesco a evitare un altro attacco di tosse. Mi sembra di avere il ventre in fiamme.
— Cosa le succede? — domanda di nuovo Hunt.
Parlo lentamente, con cura, mettendo ogni parola al suo posto come se posassi i piedi in un campo disseminato di mine. La tosse non torna. — Una malattia chiamata consunzione — dico. — Tubercolosi. All'ultimo stadio, a giudicare dalla gravità dell'emorragia.
Il viso da basset-hound di Hunt è livido. — Buon Dio, Severn. Non ho mai sentito parlare di tubercolosi. — Alza il polso come per consultare la memoria del comlog, ma il polso è nudo.
Gli restituisco il comlog. — La tubercolosi è scomparsa da secoli. Sconfitta. Ma John Keats ne era affetto. Ne morì. E questo corpo cìbrido appartiene a Keats.
Hunt sembra pronto a correre alla porta per chiamare aiuto. — Il Nucleo ci consentirà di tornare, adesso! Non possono tenerla qui, in questo mondo abbandonato, dove non esiste assistenza medica!
Poso la testa sul morbido guanciale, sentendo le piume sotto la fodera. — Forse è proprio questo, il motivo per cui mi tengono qui. Vedremo domani, quando arriveremo a Roma.
— Ma lei non può viaggiare! Non andremo da nessuna parte, domani.
— Vedremo — dico. Chiudo gli occhi. — Vedremo.
Al mattino, una vettura, una piccola carrozza, è in attesa all'esterno della locanda. Il cavallo, una grossa giumenta grigia, rotea gli occhi nel vederci avvicinare. Il suo fiato si condensa nell'aria fredda.
— E questo cos'è? — dice Hunt.
— Un cavallo.
Hunt tocca il fianco dell'animale, sembra aspettarsi che scoppi e svanisca come una bolla di sapone. Non succede niente. La giumenta muove la coda e Hunt ritira di scatto la mano.
— I cavalli sono estinti — dice. — Non sono mai stati ARNizzati, riportati in vita.
— Questo mi sembra abbastanza reale — dico. Salgo a fatica sulla carrozza e mi siedo sulla stretta panca.
Hunt si siede cautamente accanto a me, inquieto. — Chi guida? — dice. — Dove sono i comandi?
Non ci sono redini e il sedile del cocchiere è vuoto. — Vediamo se il cavallo conosce la strada — suggerisco. In quell'istante iniziamo a muoverci ad andatura tranquilla; la carrozza, priva di ammortizzatori, sobbalza sulle pietre e sui solchi della strada accidentata.
— È una sorta di scherzo, vero? — dice Hunt, fissando il cielo azzurro e perfetto, i campi lontani.
Tossisco, per quanto possibile piano e brevemente, nel fazzoletto che mi sono fatto con l'asciugamano preso in prestito dalla locanda. — Può darsi — rispondo. — Ma allora, cosa non lo è?
Hunt non bada alla mia sofisticheria. Continuiamo a procedere fra scosse e sobbalzi verso chissà quale destinazione e chissà quale destino.
— Dove sono Hunt e Severn? — domandò Meina Gladstone.
Sedeptra Akasi, una giovane donna nera, il secondo aiutante di Gladstone in ordine di importanza, si sporse verso il PFE per non interrompere la conferenza informativa militare. — Ancora nessuna notizia, signora.
— Impossibile. Severn aveva un tracciatore e Leigh è andato su Pacem quasi un'ora fa. Dove diavolo sono?
Akasi diede un'occhiata al fax-notes aperto sul piano del tavolo.
— La sicurezza non riesce a trovarli. La polizia di transito non riesce a localizzarli. L'unità teleporter ha registrato solo che hanno battuto il codice di TC2, che sono entrati ma non sono mai giunti.
— Impossibile.
— Sì, signora.
— Voglio parlare con Albedo o un altro consulente IA, appena la riunione si conclude.
— Sì.
Le due donne riportarono l'attenzione alla conferenza informativa. Il Centro Tattico della Casa del Governo era stato collegato alla Sala di Guerra del Centro Comando Olympus e alla più vasta sala conferenze del Senato, mediante portali di quindici metri quadrati, visualmente aperti: i tre locali formavano un ambiente cavernoso e asimmetrico. Gli ologrammi della Sala di Guerra parevano alzarsi all'infinito sul lato display e colonne di dati galleggiavano dappertutto lungo le pareti.
— Quattro minuti all'incursione cislunare — disse l'ammiraglio Singh.
— Le loro armi a lungo raggio potevano entrare in azione su Porta del Paradiso già da tempo — disse il generale Morpurgo. — Si direbbe che mostrino una certa reticenza.
— Non hanno mostrato alcuna reticenza, contro le nostre navi torcia — replicò Garion Persov, della Diplomazia. Il gruppo si era riunito un'ora prima, quando la sortita della flotta composta da una decina di navi torcia dell'Egemonia radunate in fretta e furia era stata sbrigativamente rintuzzata dallo Sciame in arrivo. Sensori a lungo raggio avevano ritrasmesso brevissime immagini dello Sciame, un grappolo di faville con code di fusione simili a comete, prima che i telemeccanismi automatici delle navi torcia smettessero di funzionare. C'erano state molte, molte faville.
— Quelle erano navi da guerra — disse il generale Morpurgo. — Ormai da ore trasmettiamo che Porta del Paradiso adesso è un pianeta aperto. Possiamo augurarci una certa reticenza.
Le immagini olografiche di Porta del Paradiso li circondarono: le vie silenziose di Piana Fangosa, immagini aeree della linea costiera, immagini orbitali del mondo grigiomarrone con la costante coltre di nuvole, immagini cislunari del barocco dodecaedro della sfera di anomalia che legava insieme tutti i teleporter, immagini telescopiche, a ultravioletti e a raggi X dello Sciame in arrivo… ora molto più grande di puntini e di faville, a meno di una unità astronomica. Gladstone guardò le code di fusione delle navi da guerra Ouster, le sagome massicce e scintillanti per i campi di contenimento delle fattorie-asteroide e dei mondi-bolla, i complessi intricati e bizzarramente non umani delle città a gravità zero, e pensò: "E se mi sbaglio?"
La vita di miliardi di individui dipendeva dalla sua convinzione che gli Ouster non avrebbero distrutto i mondi dell'Egemonia solo per capriccio.
— Due minuti all'incursione — disse Singh, con il tono inespressivo del soldato di mestiere.
— Ammiraglio — disse Gladstone — è proprio necessario distruggere la sfera di anomalia appena gli Ouster superano il nostro cordon sanitaire? Non si può attendere qualche minuto per stabilire le loro intenzioni?