Kassad riportò l'attenzione sullo Shrike, che aveva ricominciato a muoversi in cerchio. Sentì il dolore e la debolezza nel tallone quasi tranciato… il piede destro era inutile, non riusciva a sostenere il peso; per metà zoppicò, per metà ruotò puntando la mano sul masso, per mantenere il proprio corpo fra lo Shrike e Moneta.
L'incitamento lontano parve interrompersi, come per un ansito.
Lo Shrike smise di essere là e si materializzò qui, accanto a Kassad, sopra Kassad, le braccia già intorno a lui in una stretta definitiva, spine e lame già a contatto della carne. Gli occhi si accesero di luce. Le fauci si spalancarono di nuovo.
Kassad urlò di rabbia, di sfida, e colpì lo Shrike.
Padre Paul Duré varcò la Porta del Papa e si trovò senza incidenti su Bosco Divino. Dalla penombra permeata di incenso degli appartamenti papali fu all'improvviso nella vivida luce del sole, sotto un cielo giallo limone, in mezzo al fogliame verdeggiante.
I Templari lo aspettavano. Quando Duré scese dal teleporter privato, vide il bordo della piattaforma di legno muir, a cinque metri alla sua destra, e al di là di essa, niente… o, piuttosto, tutto, perché le cime degli alberi di Bosco Divino si estendevano fino all'orizzonte, il tetto di foglie brillava e si muoveva come un oceano vivente. Duré capì di trovarsi in alto nell'Albero Mondo, il più grande e il più santo di tutti gli alberi sacri.
I Templari in attesa erano importanti, nella complicata gerarchia della Confraternita del Muir, ma ora si comportarono da semplici guide, lo accompagnarono dalla piattaforma del portale a un ascensore di liane tese che si alzava fra i livelli superiori e le terrazze dove pochi estranei erano mai saliti, e poi di nuovo fuori e su per una scalinata protetta da una ringhiera del più fine legno muir, che saliva a spirale verso il cielo intorno a un tronco che dalla base di duecento metri si assottigliava a meno di otto metri di diametro in prossimità della cima. La piattaforma di legno weir era squisitamente intagliata; le ringhiere mostravano un delicato merletto di liane scolpite a mano, di colonnine e di balaustre che esibivano facce di gnomi, di amadriadi, di fate e di altri spiritelli; il tavolo e le poltrone cui Duré si accostò erano scolpite nello stesso blocco di legno della piattaforma.
Due uomini aspettavano il gesuita. Il primo era Sek Hardeen, la Vera Voce dell'Albero Mondo, Gran Sacerdote del Muir, Portavoce della Confraternita Templare. Il secondo fu una sorpresa. Duré notò la tonaca rossa — il rosso del sangue arterioso — bordata di ermellino nero, il massiccio fisico lusiano coperto da quella tonaca, la faccia tutta mascella e grasso, tagliata in due da un formidabile naso a becco, gli occhietti che si perdevano sopra le guance paffute, le mani grassocce con un anello nero o rosso a ciascun dito. Capì che quello era il Vescovo della Chiesa della Redenzione Finale, il gran sacerdote del Culto Shrike.
Il Templare si alzò in tutta la sua altezza, quasi due metri, e tese la mano. — Padre Duré, siamo assai compiaciuti che si sia potuto unire a noi.
Duré gli strinse la mano, pensando che sembrava davvero una radice, con le dita lunghe e affusolate, color giallo marrone. La Vera Voce dell'Albero Mondo portava una tonaca con cappuccio, identica a quella che aveva indossato Het Masteen, il cui rozzo tessuto di fili verdi e marrone strideva con lo splendore dell'abbigliamento del Vescovo.
— La ringrazio di avermi ricevuto nonostante un preavviso così breve, signor Hardeen — disse Duré. La Vera Voce era il capo spirituale di milioni di seguaci del Muir, ma Duré sapeva che i Templari detestavano usare nella conversazione titoli onorifici. Rivolse al Vescovo un cenno di saluto. — Eccellenza, non pensavo che avrei avuto l'onore di trovarmi in sua presenza.
Il Vescovo del Culto Shrike mosse il capo quasi impercettibilmente. — Ero qui in visita. Il signor Hardeen ha suggerito che la mia partecipazione a questo incontro poteva essere di una certa utilità. Sono lieto di conoscerla, padre Duré. Abbiamo sentito parlare molto di lei, negli ultimi anni.
Il Templare indicò una poltrona dall'altra parte del tavolo e Duré si accomodò, congiunse le mani sopra il piano levigato e rifletté intensamente mentre fingeva di esaminare la magnifica grana del legno. Metà dei servizi di sicurezza della Rete dava la caccia al Vescovo del Culto Shrike. La presenza di quell'uomo indicava complicazioni molto superiori a quelle che il gesuita si era preparato ad affrontare.
— Interessante, vero — disse il Vescovo — che tre rappresentanti delle più profonde religioni dell'umanità siano presenti qui oggi?
— Sì — rispose Duré. — Profonde, ma non rappresentative delle convinzioni religiose dalla maggioranza. Su quasi centocinquanta miliardi di anime, la Chiesa Cattolica ne conta meno di un milione. Il Culto dello… ah… la Chiesa della Redenzione Finale ne conta forse da cinque a dieci milioni. E quanti sono, i Templari, signor Hardeen?
— Ventitré milioni — disse piano il Templare. — Parecchi altri sostengono le nostre battaglie ecologiche e forse vorrebbero unirsi a noi, ma la Confraternita non è aperta ai forestieri.
Il Vescovo si strofinò uno dei molti menti. Aveva la pelle molto pallida e socchiudeva gli occhi come se non fosse abituato alla luce del giorno. — Gli gnostici zen sostengono di avere quaranta miliardi di seguaci — brontolò. — Ma che genere di religione è quella? Non ha chiese. Non ha sacerdoti. Non ha libri sacri. Non ha concetto di peccato.
Duré sorrise. — Sembra la fede più intonata ai tempi. Ed esiste da parecchie generazioni.
— Bah! — Il Vescovo batté sul tavolo la mano aperta. Duré trasalì nell'udire il rumore degli anelli metallici contro il legno di muir.
— Come mai mi conoscete? — domandò.
Il Templare sollevò la testa incappucciata quanto bastava perché Duré vedesse la luce del sole colpire il naso, le guance e la lunga linea del mento. Non rispose.
— Siamo stati noi, a sceglierla — brontolò il Vescovo. — Lei, e gli altri pellegrini.
— Noi, nel senso del Culto Shrike? — replicò Duré.
A questo termine il Vescovo si accigliò, ma annuì senza far parola.
— Perché le sommosse? — domandò Duré. — Perché questi disordini, ora che l'Egemonia è minacciata?
Il Vescovo si strofinò il mento: pietre rosse e nere scintillarono nella luce della sera. Dietro di lui, milioni di foglie frusciarono nella brezza che portava il profumo di vegetazione umida di pioggia. — I Giorni Finali sono arrivati, prete. Le profezie che l'Avatar ci diede, secoli fa, si dispiegano sotto i nostri occhi. Quelle che lei chiama sommosse sono i primi spasmi di agonia di una società che merita di morire. I Giorni della Redenzione incombono. Presto il Signore della Sofferenza camminerà fra noi.
— Il Signore della Sofferenza — ripeté il gesuita. — Lo Shrike.
Il Templare mosse la mano come per smussare in parte l'asprezza delle parole del Vescovo. — Padre Duré, siamo a conoscenza della sua miracolosa rinascita.
— Non è un miracolo. È il capriccio di un parassita chiamato crucimorfo.
Altro gesto delle lunghe dita giallo-marrone. — In qualsiasi modo lei la consideri, padre, la Confraternita si rallegra che sia di nuovo con noi. Prego, avanzi la richiesta cui accennava quando si è messo in contatto con noi, poco fa.
Duré strofinò le mani contro il legno della poltrona, lanciò un'occhiata al Vescovo seduto di fronte, in tutta la sua mole rossa e nera. — I vostri gruppi hanno lavorato insieme per qualche tempo, vero? — disse. — La Confraternita dei Templari e la Chiesa dello Shrike.
— La Chiesa della Redenzione Finale — rettificò il Vescovo, con un brontolio cupo.
Duré annuì. — Perché? Cosa avete in comune?
La Vera Voce dell'Albero Mondo si sporse in modo che l'ombra riempisse di nuovo il cappuccio. — Deve capire, padre, che le profezie della Chiesa della Redenzione Finale hanno punti di contatto con la nostra missione indicata dal Muir. Solo queste profezie contenevano la chiave di quale castigo avrebbe colpito l'umanità per l'uccisione del proprio mondo.