— C'è un modo migliore — dice il consulente Albedo, rivolto a Gladstone e al Consiglio di Guerra.
Il PFE si gira verso l'ambasciatore del TecnoNucleo.
— Un'arma che eliminerà gli Ouster senza danneggiare i beni dell'Egemonia — continua Albedo. — E neppure i beni degli Ouster, a dire il vero.
Il generale Morpurgo lancia fiamme dagli occhi. — Lei parla della bomba equivalente alla neuroverga — dice. — Non funzionerà. I ricercatori della FORCE hanno dimostrato che si propaga all'infinito. Oltre a essere disonorevole e contraria al codice Neo-Bushido, spazzerebbe via la popolazione dei pianeti, insieme con gli invasori.
— Nient'affatto — ribatte Albedo. — Se i cittadini dell'Egemonia saranno schermati nel giusto modo, non ci saranno vittime. Come lei sa, le neuroverghe possono essere calibrate su specifiche lunghezze d'onda cerebrali. Lo stesso vale per una bomba basata sul medesimo principio della neuroverga. Animali d'allevamento, animali selvatici e perfino altre specie antropoidi non subiranno conseguenze.
Il generale Van Zeidt della FORCE:Marines si alza. — Ma non esiste il modo di schermare la popolazione! Le nostre prove hanno dimostrato che i neutrini pesanti della neurobomba penetrano nella roccia compatta o nel metallo fino a una profondità di sei chilometri. Nessuno ha rifugi del genere!
La proiezione del consulente Albedo congiunge le mani. — Esistono nove mondi con rifugi sufficienti a contenere miliardi di persone — replica piano.
Gladstone annuisce. — I mondi labirinto — mormora. — Però un simile trasferimento di popolazione sarebbe impossibile.
— No — dice Albedo. — Ora che Hyperion è entrato a fare parte del Protettorato, ogni mondo labirinto ha attrezzature teleporter. Il Nucleo può organizzare il trasferimento della popolazione direttamente nei rifugi sotterranei.
Intorno al tavolo si alzano mormorii d'entusiasmo, ma lo sguardo intenso di Meina Gladstone non abbandona il viso di Albedo. Il PFE chiede silenzio e l'ottiene. — Ci illustri meglio la proposta — dice. — Siamo interessati.
Il Console siede nell'ombra a chiazze di un basso albero neville e aspetta la morte. Ha le mani legate dietro la schiena, con un giro di fibroplastica. Gli abiti, ridotti a stracci, sono ancora bagnati; il velo di umidità che gli copre il viso proviene in parte dal fiume, ma soprattutto dal sudore.
I due uomini che incombono su di lui hanno finito di perquisire la sacca da viaggio. — Merda — dice uno dei due — qui non c'è niente che valga un cazzo, a parte questa merdosa rivoltella antiquata. — S'infila nella cintura l'arma del padre di Brawne Lamia.
— Peccato non aver preso quel maledetto tappeto volante — dice l'altro.
— Non volava poi tanto bene, verso la fine! — commenta il primo. Tutte due scoppiano a ridere.
Il Console guarda a occhi socchiusi le due massicce figure, i corpi corazzati messi in rilievo dal sole calante. Dal modo di parlare presume che siano indigeni; dall'aspetto — pezzi fuori moda di armatura personale della FORCE, fucili pesanti di assalto multiuso, brandelli di quella che un tempo era stoffa di polimero mimetico — immagina che siano disertori di qualche reparto delle Forze di Autodifesa di Hyperion.
Dal comportamento nei suoi confronti, è sicuro che lo uccideranno. All'inizio, stordito per la caduta nell'Hoolie, ancora impigliato nella fune che lo legava alla sacca da viaggio e all'ormai inutile tappeto Hawking, aveva pensato che fossero i suoi salvatori. Il Console aveva colpito duramente l'acqua, era rimasto sotto la superficie per molto più tempo di quanto non avrebbe creduto possibile senza annegare, era riemerso solo per essere spinto di nuovo sotto da una forte corrente, poi era stato tirato a fondo dall'intrico di corde e dal tappeto. Una battaglia coraggiosa, ma persa in partenza; il Console si trovava ancora a dieci metri dalla zona di acqua più bassa, quando uno dei due uomini, sbucando dalla foresta di neville e di alberi-rovo, gli aveva gettato una corda. Poi i due l'avevano picchiato, derubato, legato e ora, a giudicare dai commenti, si preparano a tagliargli la gola e a lasciarlo lì come cibo per gli araldi.
Il più alto dei due, con i capelli che sembrano una massa di punte lustre di brillantina, si siede sui talloni davanti al Console e toglie dal fodero un coltello di ceramica filo-zero. — Ultime parole, nonnetto?
Il Console si umetta le labbra. Ha visto migliaia di film e di olo-drammi dove a quel punto l'eroe sgambetta il primo avversario, con un calcio stordisce l'altro, afferra l'arma e li elimina, sparando con le mani sempre legate, e prosegue l'avventura. Ma il Console non si sente un eroe: è sfinito, di mezz'età, dolorante per la caduta nel fiume. Ciascuno dei due banditi è più snello, più robusto, più rapido e chiaramente più spietato di lui. Il Console conosce la violenza, una volta ha perfino ucciso, però ha dedicato la vita e l'addestramento ai sentieri difficili ma tranquilli della diplomazia.
Si umetta di nuovo le labbra e dice: — Posso pagarvi.
L'uomo accovacciato sorride, muove avanti e indietro la lama a filo-zero, cinque centimetri davanti agli occhi del Console. — Con cosa, nonnetto? Abbiamo la tua carta universale e quassù non vale una merda.
— Oro — dice il Console, sapendo che è l'unica parola che abbia mantenuto potere attraverso i secoli.
L'uomo accovacciato non reagisce, ha negli occhi una luce malata, mentre osserva la lama, ma l'altro si fa avanti e posa la mano sulla spalla del socio. — Di cosa parli, amico? Dove ce l'hai, l'oro?
— La mia nave — dice il Console. — La Benares.
L'altro si alza, tiene la lama vicino alla guancia. — Mente, Chez. La Benares è quel barcone a fondo piatto, tirato da mante, che avevano i pelleblù che abbiamo fatto fuori tre giorni fa.
Il Console chiude gli occhi per un secondo, in preda alla nausea, ma non si lascia andare. A. Bettik e gli altri androidi dell'equipaggio hanno lasciato la Benares in una scialuppa, meno di una settimana prima, puntando a valle verso la "libertà". Evidentemente hanno trovato altro. — A. Bettik — dice. — Il capo dell'equipaggio. Non ha parlato dell'oro?
L'uomo col coltello sogghigna. — Ha fatto un mucchio di casino, ma non ha detto molto. Ha detto che la nave era risalita a Limito. Tròppo lontano, per una chiatta senza mante, penso io.
— Chiudi il becco, Obem. — L'altro si siede sui talloni di fronte al Console. — Per quale motivo tieni oro in quella vecchia chiatta, amico?
Il Console alza il viso. — Non mi riconosci? Per anni sono stato il Console dell'Egemonia su Hyperion.
— Ehi, chi credi di fregare… — incomincia l'uomo col coltello, ma l'altro lo interrompe. — Già, amico, ricordo la tua faccia nell'olo da campo, quand'ero ragazzo. Allora, amico dell'Egemonia, perché porti oro su per il fiume, adesso che pure il cielo crolla?
— Cercavamo rifugio… Castel Crono — dice il Console, cercando di non mostrarsi troppo ansioso, ma grato per ogni secondo di vita in più. "Perché?" pensa una parte della sua mente. "Eri stanco di vivere. Pronto a morire." Ma non così. Quando Sol e Rachel e gli altri hanno bisogno del suo aiuto.
— Alcuni fra i più ricchi cittadini di Hyperion — dice. — Le autorità di evacuazione non avrebbero permesso il trasferimento dei lingotti di oro, così ho convenuto di depositarli nei sotterranei di Castel Crono, il vecchio castello a nord della Briglia. In cambio di una percentuale.
— Sei un pazzo fottuto! — sghignazza l'uomo col coltello. — A nord di qui ormai è tutto territorio dello Shrike.
Il Console china la testa. Non ha bisogno di fingersi esausto e sconfitto. — Ce ne siamo accorti. Una settimana fa, l'equipaggio androide ci ha abbandonati. Alcuni passeggeri sono stati uccisi dallo Shrike. Scendevo il fiume da solo.