Литмир - Электронная Библиотека
A
A

– Aiuto! Chiunque mi senta mi raggiunga subito! Questo è un allarme CORA! Aiuto! Chiunque mi senta mi raggiunga subito!

CORA gridava ancora quando nacque il giorno, e i suoi primi raggi carezzarono la cima della montagna un tempo sacra. Molto più sotto, il cono d'ombra di Sri Kanda spuntò fra le nubi, ancora perfettamente intatto nonostante tutto quello che l'uomo aveva compiuto.

Adesso non c'erano più pellegrini ad ammirare quel simbolo di eternità che si stendeva sulla terra al risveglio. Ma milioni di uomini lo avrebbero visto, nei secoli futuri, mentre correvano comodamente e tranquillamente verso le stelle.

58

Epilogo: il trionfo di Kalidas

Negli ultimi giorni di quell'ultima, breve estate, prima che la morsa di ghiaccio si chiudesse attorno all'equatore, uno degli inviati di Stellisola giunse a Yakkagala.

Era un Signore degli Sciami, e ultimamente si era coniugato sotto forma umana. A parte un minimo particolare, la somiglianza era eccellente; ma la dozzina di bambini che avevano accompagnato l'Isolano sull'autoelicottero erano rimasti in uno stato d'isterismo continuo. I più piccoli scoppiavano spesso a ridere.

— Cosa c'è di così buffo? — aveva chiesto nel Suo solare perfetto. — O si tratta di uno scherzo segreto?

Ma i bambini non avevano spiegato allo Stellisolano, la cui normale visione dei colori comprendeva solo gli infrarossi, che la pelle umana non era un accostamento casuale di verdi e rossi e blu. Persino quando Lui aveva minacciato di trasformarsi in un "Tyrannosaurus Rex" e di mangiarli tutti si erano rifiutati di soddisfare la Sua curiosità. Anzi, Gli fecero subito notare (e Lui era una creatura che aveva percorso centinaia di anni luce e raccolto conoscenza per trenta secoli) che una massa di cento chilogrammi soltanto avrebbe dato vita a un dinosauro poco impressionante.

L'Isolano non si turbò. Era paziente, e i bambini della Terra erano infinitamente affascinanti, sia come biologia che come psicologia. Come lo erano i piccoli di ogni creatura; ovviamente, delle creature che "avevano" piccoli. Dopo aver studiato nove specie del genere, Lui poteva quasi immaginare cosa significasse crescere, maturare e morire… Quasi, ma non del tutto.

Davanti ai dodici umani e al non-umano si stendeva la terra deserta, un tempo ricca di campi e foreste che i freddi provenienti da nord e da sud avevano distrutto. Le graziose palme da cocco erano scomparse da tempo, e anche i pini che le avevano sostituite ormai erano solo nudi scheletri, con le radici avvizzite dal gelo che avanzava. Sulla superficie della Terra non restava più vita; solo negli abissi degli oceani, dove il calore interno del pianeta teneva lontani i ghiacci, poche creature cieche, destinate all'estinzione, si muovevano e nuotavano e si divoravano a vicenda.

Eppure, a un essere il cui pianeta gravitava attorno a una debole stella rossa, il sole che risplendeva nel cielo senza nubi sembrava insopportabilmente luminoso. Tutto il suo calore era scomparso, risucchiato dalla malattia che ne aveva colpito il nucleo mille anni prima; ma la sua! luce potente, fredda, svelava ogni particolare della terra desolata e si rifletteva splendida sui ghiacciai vicini.

Per i bambini, pieni di gioia al risveglio delle loro forze intellettuali, le temperature sotto zero erano una sfida eccitante. Danzavano nudi nel turbinio di neve, e i loro piedi traevano scricchiolii da quei cristalli di ghiaccio secchi, scintillanti. I loro simbioti furono costretti a ripetere spesso: — Non spegnete gli allarmi di congelamento! — Non erano ancora abbastanza cresciuti da poter creare nuovi organi senza l'aiuto dei loro simili più anziani.

Il più vecchio dei bambini si stava mettendo in mostra. Aveva lanciato una sfida al freddo, dichiarando, tutto fiero, di essere un elementale del fuoco (lo Stellisolano registrò il vocabolo per indagarne l'origine in futuro, il che Gli avrebbe causato molta perplessità). Di quel piccolo esibizionista si vedeva solo una colonna di fuoco e vapore che danzava su e giù lungo l'antica pavimentazione. Gli altri bambini ignorarono completamente quella rozza esibizione.

Per lo Stellisolano, però, la cosa rappresentava un paradosso interessante. "Perché mai" quelle creature si erano ritirate sui pianeti interni, quando avrebbero potuto sconfiggere il freddo grazie alla scienza che possedevano, come stavano facendo i loro cugini di Marte? A quella domanda Lui non aveva ancora ottenuto una risposta soddisfacente. Meditò di nuovo sull'enigmatica spiegazione che aveva ricevuto da ARISTOTELE, l'entità con cui Lui trovava più facile comunicare.

"C'è una stagione per tutto" gli aveva detto il cervello globale. "Viene il tempo di combattere la natura, e viene il tempo di assecondarla. La vera saggezza sta nell'operare la scelta esatta. Quando il lungo inverno sarà terminato, l'uomo tornerà a una Terra rinnovata e ringiovanita."

E così, negli ultimi secoli, l'intera popolazione terrestre si era recata alle Torri equatoriali ed era partita verso il Sole, raggiungendo i giovani oceani di Venere, le fertili pianure della zona temperata di Mercurio. Fra cinquecento anni, quando il sole fosse guarito, gli esuli sarebbero tornati. Mercurio sarebbe stato abbandonato, tranne che nelle regioni polari; ma Venere sarebbe diventato una seconda patria stabile. L'indebolirsi del Sole aveva offerto l'incentivo, e l'opportunità, di domare quel mondo infernale.

Per quanto fossero importanti, quelle cose interessavano l'Isolano solo indirettamente. Il Suo interesse si puntava su aspetti più sottili della cultura e della società umana. Ogni specie era unica, offriva le proprie sorprese, le proprie idiosincrasie. I terrestri avevano donato agli Stellisolani il concetto stupefacente dell'informazione negativa, che, secondo la terminologia locale, rispondeva ai nomi di "humour", "fantasia", "mito".

Alle prese con quegli strani fenomeni, talvolta disperato, lo Stellisolano aveva mormorato fra sé: — Non capiremo "mai" gli esseri umani. — Certe volte Si era sentito talmente frustrato da temere una coniugazione involontaria, con tutti i rischi che comportava. Ma adesso aveva fatto molti progressi. Ricordava ancora la Propria soddisfazione la prima volta che aveva inventato una battuta di spirito, e tutti i bambini avevano riso.

Stare a fianco dei bambini era la chiave di tutto, ancora una volta suggerita da ARISTOTELE. "Esisteva un vecchio proverbio: 'Il bambino è il padre dell'uomo'. Per quanto il concetto biologico di 'padre' sia estraneo a tutti e due, in questo contesto la frase assume un doppio significato…"

Per cui Lui era lì, sperando che i bambini Lo aiutassero a comprendere gli adulti in cui finivano col trasformarsi. A volte dicevano la verità; ma anche quando giocavano (un altro concetto difficile) e Gli offrivano informazioni negative, ormai Lui riusciva a riconoscere i segni.

Eppure, in certi momenti né i bambini, né gli adulti, e nemmeno ARISTOTELE, conoscevano la verità. Sembrava che esistesse una continuità perfetta tra la fantasia totale e i fatti storici documentati, con tutte le possibili gradazioni intermedie. A un lato dello spettro c'erano figure come Colombo e Leonardo e Einstein e Lenin e Newton e Washington, di cui spesso si conservavano ancora le voci e l'immagine. All'estremo opposto si trovavano Zeus e Alice e King Kong e Gulliver e Sigfrido e Merlino, che "senz'altro" non potevano essere esistiti nel mondo reale. Ma che dire di Robin Hood o Tarzan o Cristo o Sherlock Holmes o Ulisse o Frankenstein? Data per scontata una certa dose d'esagerazione, potevano anche essere stati veri personaggi della storia umana.

Il Trono a Elefante era cambiato ben poco in tremila anni, ma non aveva mai retto il peso di un visitatore così "alieno". Lui fissò lo sguardo a sud e paragonò la colonna di mezzo chilometro di diametro che si alzava dalla cima della montagna con i massimi risultati d'ingegneria che aveva visto su altri mondi. Per una razza così giovane, era un risultato davvero impressionante. Sembrava sempre sul punto di cadere giù dal cielo, ma si trovava lì da quindici secoli. Naturalmente, non nella forma originaria. Adesso i primi cento chilometri costituivano una città verticale (ancora abitata in alcuni dei suoi spaziosi livelli); e, attraverso la città, le sedici paia di binari avevano trasportato spesso un milione di passeggeri al giorno.

61
{"b":"119995","o":1}