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Il ponte che danzava

Anche in quell'epoca di comunicazioni istantanee e di trasporti planetari velocissimi era opportuno avere un posto che potesse fungere da ufficio. Non tutto si poteva ridurre a impulsi elettronici; esistevano ancora cose come i cari vecchi libri, gli attestati professionali, i premi e le menzioni, i modellini di lavoro, i campioni di materiale, i disegni artistici dei progetti (non accurati come quelli d'un computer, ma molto ornamentali), e naturalmente il tappeto wall-to-wall" di cui ogni burocrate navigato aveva bisogno per ammorbidire l'impatto della realtà esterna.

L'ufficio di Morgan, che in media lui vedeva dieci giorni al mese, si trovava al sesto piano ("Terra") dell'enorme quartier generale della Terran Construction Corporation, a Nairobi. Il piano più sotto era quello del "Mare", quello più sopra l'"Amministrazione", il che significava il presidente Collins e il suo impero. L'architetto, preso da un simbolismo ingenuo, aveva dedicato l'ultimo piano allo "Spazio". Sul tetto c'era persino un minuscolo osservatorio, con un telescopio da trenta centimetri sempre rotto perché veniva usato solo durante i party d'affari, e spesso per scopi niente affatto astronomici. Le stanze in alto dell'hotel Triplanetario, lontane solo un chilometro, erano uno degli obiettivi preferiti, visto che non di rado ospitavano strane forme di vita, o almeno di comportamento.

Dato che Morgan si teneva continuamente in contatto con le sue due segretarie (una umana, l'altra elettronica) non si aspettava sorprese quando entrò in ufficio, dopo il breve volo di ritorno dal RANA. Stando ai costumi di un secolo o due prima, la sua organizzazione era estremamente piccola. Sotto il suo diretto controllo agivano meno di trecento fra uomini e donne; ma i computer e gli apparecchi per l'elaborazione delle informazioni di cui disponevano erano superiori all'intera popolazione umana del globo.

— Allora, com'è andata con lo sceicco? — gli chiese Warren Kingsley, suo vice e amico di lunga data, non appena restarono soli.

— Benissimo. Penso che l'affare sia fatto. Ma non riesco ancora a credere che un problema così stupido possa fermarci. Cosa dice l'ufficio legale?

— Dovremo senz'altro ricorrere alla Corte Mondiale. Se la Corte stabilisce che si tratta di una questione di preponderante interesse pubblico, i nostri reverendi amici dovranno andarsene… Però, se volessero intestardirsi, si creerebbe una situazione molto spiacevole. Forse dovresti organizzare un piccolo terremoto per spingerli a decidersi.

Il fatto che Morgan facesse parte del Comitato Generale Tettonico forniva da sempre materia per battute fra lui e Kingsley; ma il CGT, probabilmente per fortuna, non aveva mai scoperto il modo di controllare e dominare i terremoti, e nemmeno presumeva di riuscirci. La sua massima speranza era predirli e incanalare pacificamente le loro energie, prima che facessero disastri. Ma anche così, la percentuale di successi non andava molto oltre il 75 per cento.

— Buona idea — disse Morgan. — Ci penserò. E l'altro problema?

— È tutto pronto. Vuoi cominciare adesso?

— Va bene. Vediamoci il peggio.

Le finestre dell'ufficio si oscurarono, e una rete di linee luminose apparve al centro della stanza.

— Fai attenzione, Van — disse Kingsley. — È questo il regno che ci darà guai.

File di lettere e numeri si materializzarono per aria: velocità, carichi, accelerazioni, tempi di transito. Morgan le assimilò con un'occhiata. Il globo terrestre, coi cerchi di longitudine e latitudine, era sospeso appena sopra il tappeto; e dal pianeta, raggiungendo un'altezza di poco superiore a quella d'un uomo, partiva il filo luminoso che contrassegnava la posizione della torre orbitale.

— Velocità cinquecento volte superiore al normale. Ingrandimento della scala laterale cinquanta. Ci siamo.

Una forza invisibile aveva cominciato a muovere la linea di luce, allontanandola dalla verticale. La forza si spostava sempre più in alto. Rappresentava, attraverso i milioni di calcoli al secondo del computer, la salita di una capsula da carico attraverso il campo gravitazionale terrestre.

— Di quant'è lo spostamento? — chiese Morgan, tendendo lo sguardo per seguire ogni particolare della simulazione.

— Al momento di circa duecento metri. Arriva a trecento prima…

Il filo di luce si spezzò. Con un movimento lentissimo equivalente a velocità reali di migliaia di chilometri orari, i due segmenti della torre infranta presero ad allontanarsi l'uno dall'altro. Uno ricadde verso Terra, il secondo si tese nello spazio come una frusta… Ma Morgan non era più pienamente conscio di quel computer. Adesso a quelle immagini si sovrapponeva la realtà che lo ossessionava da anni.

Aveva visto almeno cinquanta volte quel filmato vecchio di due secoli, e in certi punti lo aveva studiato fotogramma per fotogramma, fino a conoscere a memoria tutti i particolari. Dopo tutto era il filmato più costoso mai girato, almeno in tempo di pace. Era costato allo stato di Washington diversi milioni di dollari al minuto.

C'era il ponte snello (troppo snello!) e aggraziato, teso al di sopra del canyon. Non c'era traffico; una sola automobile era stata abbandonata a metà dall'autista. Il che non era strano, dal momento che il ponte, si stava comportanto come mai nessun ponte, nell'intera storia dell'ingegneria, si era comportato.

Sembrava impossibile che migliaia di tonnellate di metallo potessero eseguire un balletto aereo di quel tipo. Era più facile credere che il ponte fosse fatto di gomma, non d'acciaio. Ondulazioni enormi, lente, di metri d'ampiezza, percorrevano l'intera lunghezza della campata; l'autostrada sospesa fra i piloni avanzava e si ritraeva come un serpente infuriato. Il vento che soffiava nel canyon intonava una nota troppo bassa perché orecchie umane la percepissero, e raggiungeva la frequenza naturale di quella struttura bellissima, condannata a morte. Erano ore che le vibrazioni di torsione aumentavano, ma nessuno sapeva quando sarebbe giunta la fine. E quei lunghi spasimi d'agonia erano testimoni di una resistenza a cui gli sfortunati progettisti avrebbero rinunciato volentieri.

D'improvviso i cavi di supporto si spezzarono, volando in alto come micidiali fruste d'acciaio. Contorcendosi, capovolgendosi, l'autostrada precipitò nel fiume, e frammenti della costruzione si scagliarono in ogni direzione. Anche se il filmato veniva proiettato a velocità normale, sembrava che il cataclisma finale si svolgesse al rallentatore: la scala del disastro era talmente ampia che la mente umana non possedeva metri di paragone. In realtà tutto durò forse cinque secondi; dopo i quali, il ponte di Tacoma Narrows si guadagnò un posto perenne nella storia dell'ingegneria. Duecento anni più tardi, sulla parete dell'ufficio di Morgan c'era una foto dei suoi ultimi momenti, con la didascalia: "Uno dei nostri prodotti di minor successo".

Per Morgan quella non era una battuta, bensì il monito indimenticabile che l'imprevisto poteva sempre colpire all'improvviso. Durante la progettazione del Ponte di Gibilterra aveva studiato a fondo la classica analisi di von Karman del disastro di Tacoma Narrows, imparando tutto il possibile da uno dei più costosi errori del passato. Nemmeno le peggiori tempeste arrivate dall'Atlantico avevano creato seri problemi di vibrazione, anche se il piano stradale si era spostato di cento metri dalla linea centrale, esattamente come previsto.

Ma l'elevatore spaziale costituiva un tale salto nel buio che le sorprese spiacevoli erano praticamente una certezza. Era facile stimare la forza dei venti sulla sezione atmosferica, ma era anche necessario tener conto delle vibrazioni prodotte dalla partenza e dall'arresto delle capsule; e poi, su una struttura così enorme, degli effetti di marea della luna e del sole. E nessuno di quei fattori si presentava da solo, agivano tutti assieme; poi, magari, di tanto in tanto si sarebbe presentato un terremoto a complica re il quadro, nella cosiddetta analisi del "peggiore dei casi".

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