Quindi la sonda era riuscita a entrare nell'atmosfera e a ridurre la velocità in eccesso. Ma era ancora troppo presto per cominciare a brindare. Restavano da percorrere non solo centocinquanta chilometri in verticale, ma anche trecento in orrizzontale, con la tempesta che complicava le cose. La sonda aveva ancora una piccola quantità di propellente, ma la sua libertà di manovra era molto limitata. Se l'operatore non centrava la montagna al primo tentativo, non avrebbe avuto la possibilità di riprovare.
— Altezza uno due zero. Per ora nessun effetto atmosferico.
La minuscola sonda scendeva giù dal cielo come un ragno che percorre la sua ragnatela di seta. "Spero" pensò Maxime "che abbiano abbastanza filo: chissà come si imbestialirebbero se finisse a pochi chilometri dal bersaglio!" Tragedie del genere erano successe coi primi cavi sottomarini, trecento anni addietro.
— Altezza otto zero. Avvicinamento nominale. Tensione cento per cento. Leggera resistenza atmosferica.
Gli strati superiori dell'atmosfera cominciavano a farsi sentire, anche se solo dai sensibili strumenti della sonda.
Un piccolo telescopio telecomandato era stato installato a fianco dell'autocarro di controllo, e stava già seguendo automaticamente la sonda per il momento invisibile. Morgan si incamminò in quella direzione. Il Remoto di Maxine lo seguì come un'ombra.
— Non si vede ancora niente? — sussurrò dolcemente Maxine dopo qualche secondo. Morgan, impaziente, scosse la testa e continuò a guardare nel telescopio.
— Altezza sei zero. Si sposta sulla sinistra. Tensione centocinque per cento. Mi correggo, centodieci.
"Siamo ancora nei limiti previsti" pensò Maxine. Ma dall'altra parte della stratosfera cominciava a succedere qualcosa. Ormai Morgan doveva aver individuato la sonda…
— Altezza cinque cinque. Diamo un impulso correttivo di due secondi.
— Eccola! — esclamò Morgan. — Vedo il getto!
— Altezza cinque zero. Tensione centocinque per cento. Difficile tenere la rotta. Ci sono spinte laterali.
Era inconcepibile che, ad appena cinquanta chilometri dal bersaglio, la sonda non riuscisse a completare il suo viaggio di trentaseimila chilometri. Però, a pensarci bene, quanti aerei e missili non erano precipitati negli ultimi metri?
— Altezza quattro zero. Vento ancora di rotta. Impulso di tre secondi.
— L'ho persa — disse Morgan, disgustato. — Si sono messe in mezzo le nuvole.
— Altezza quattro zero. Oscillazioni continue. La tensione arriva a centocinquanta, ripeto, centocinquanta per cento.
Orribile. Maxine sapeva che il limite di rottura era al duecento per cento. Uno spostamento di troppo, e l'esperimento sarebbe finito.
— Altezza tre cinque. Il vento peggiora. Impulso di un secondo. Riserva di propellente quasi terminata. La tensione continua a crescere, è al centosettanta per cento.
Ancora un trenta per cento, pensò Maxime, e persino quella fibra incredibile si sarebbe spezzata come un materiale qualsiasi al di là del proprio carico di rottura.
— Portata tre zero. La perturbazione peggiora. Notevoli oscillazioni sulla sinistra. Impossibile calcolare correzione. I movimenti sono troppo casuali.
— La vedo! — gridò Morgan. — Ha oltrepassato le nubi!
— Portata due cinque. Non c'è abbastanza propellente per rientrare in rotta. Stimo che sbaglieremo il bersaglio di tre chilometri.
— Non importa! — urlò Morgan. — Fatela atterrare dove potete!
— Al più presto. Portata due zero. La forza del vento aumenta. Perdiamo stabilità. La sonda comincia a girare su se stessa.
— Togliete i freni! Lasciate srotolare il filamento!
— Già fatto — rispose quella voce oscenamente calma. Maxine avrebbe pensato che stava parlando una macchina, se non avesse saputo che Morgan aveva assunto per quel compito uno dei migliori controllori di traffico spaziale. — Guasto al meccanismo di srotolamento. La sonda ruota su se stessa cinque volte al secondo. Il filamento probabilmente si è impigliato. Tensione uno otto zero per cento. Uno nove zero. Due zero zero. Portata uno cinque. Tensione due uno zero. Due due zero. Due tre zero.
"Non durerà molto" pensò Maxine. Restavano solo una dozzina di chilometri e quel filo maledetto s'era impigliato nella sonda che girava su se stessa.
— Tensione zero, ripeto, "zero".
Era fatta. Il filo si era spezzato e adesso si tendeva lentamente verso le stelle. Senz'altro i tecnici di Ashoka lo avrebbero recuperato, ma ormai Maxine capiva abbastanza della teoria per sapere che si trattava di un compito lungo e complesso. E la sonda sarebbe caduta lì, da qualche parte, fra i campi e le giungle di Taprobane. Comunque, come aveva detto Morgan, il successo era superiore al novantacinque per cento. La prossima volta, se non c'era vento…
— Eccola! — gridò qualcuno. Fra due galeoni di nuvole che solcavano il cielo s'era accesa una stella brillante. Sembrava una meteora luminosissima che cadesse a terra. Per ironia, quasi a prendere in giro gli uomini che l'avevano progettato, il segnale luminoso installato sulla sonda per rendere più facili le ultime fasi del volo si era acceso automaticamente. Sarebbe ancora servito a qualcosa: avrebbe reso meno difficoltoso il recupero del missile.
Il Remoto di Maxine compì una lenta rivoluzione, in modo che lei potesse vedere quella stella luminosissima superare le montagne e scomparire a est. Maxine stimò che dovesse atterrare a meno di cinque chilometri di distanza. Poi disse: — Ridammi il dottor Morgan. Vorrei parlargli.
Voleva complimentarsi con lui, a voce abbastanza alta perché il banchiere marziano potesse sentirli, e dirgli che era sicura che la prossima volta il lancio avrebbe avuto un successo totale. Maxine stava ancora preparando quel piccolo discorso di congratulazioni quando, all'improvviso, le parole le uscirono di mente. Avrebbe rivisto gli avvenimenti dei trenta secondi successivi fino a conoscerli a memoria. Ma non sarebbe mai stata certa di averli capiti sino in fondo.
30
Le legioni del re
Vannevar Morgan aveva fatto il callo alle sconfitte, persino ai disastri, e sperava che quello fosse un disastro non troppo grande. La sua vera preoccupazione, mentre osservava il segnale luminoso che svaniva oltre il giogo della montagna, era che la Banca di Marte considerasse sprecati i suoi soldi. L'osservatore dagli occhi impassibili, seduto sulla sedia a rotelle, si era dimostrato estremamente chiuso. A quanto pareva, la gravità terrestre gli aveva paralizzato arti e lingua. Ma questa volta interpellò Morgan prima che l'ingegnere potesse rivolgergli la parola.
— Una sola domanda, dottor Morgan. So che questa tempesta è senza precedenti, eppure si è verificata. Per cui potrebbe verificarsi di nuovo. E se succedesse quando la Torre è già costruita?
Morgan pensò in fretta. Era impossibile così, su due piedi, formulare una risposta esatta, e ancora non riusciva a credere a quello che era successo.
— Nella peggiore delle ipotesi dovremo sospendere per un po' le operazioni. I binari potrebbero subire una lieve distorsione. La forza dei venti che in genere spirano a questa altezza non riuscirebbero a danneggiare la struttura della Torre. Anche la nostra fibra sperimentale non avrebbe subito danni, se fossimo riusciti ad ancorarla.
Sperava che fosse un'analisi esatta. Entro pochi minuti Warren Kingsley gli avrebbe fatto sapere se era vera o no. Per fortuna, apparentemente soddisfatto, il marziano replicò: — Grazie. Non desideravo sapere altro.
Morgan, però, era deciso ad andare sino in fondo.
— E su Mons Pavonis, naturalmente, un problema del genere non verrebbe mai a crearsi. Lì la densità atmosferica è meno di un centesimo…
Da decenni non udiva il suono che in quel momento irruppe nelle sue orecchie, eppure era un suono che nessuno avrebbe mai scordato. Il suo richiamo imperioso, più forte del ruggito della tempesta, trasportò Morgan lungo metà del globo. Non si trovava più su una montagna battuta dai venti; era sotto la cupola dell'Hagia Sophia, e i suoi occhi scrutavano, stupefatti e ammirati, il lavoro di uomini morti sedici secoli prima. E nelle sue orecchie risuonava il richiamo dell'immensa campana che un tempo aveva invitato i fedeli alla preghiera.