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Morgan soffriva di pochi incubi, ma quello rientrava fra i pochi. Anche in quello stesso momento i computer della Terran Construction stavano cercando d'esorcizzarlo.

Ma tutti i computer dell'universo non potevano offrirgli protezione dai problemi che "non" aveva previsto, dagli incubi che dovevano ancora nascere.

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Le farfalle d'oro

Nonostante lo splendore del sole e il paesaggio magnifico che lo cingeva da ogni lato, Morgan cadde in un sonno profondo prima che l'auto raggiungesse la pianura. Nemmeno le innumerevoli curve a gomito riuscirono a tenerlo sveglio; ma riaprì d'improvviso gli occhi quando l'autista schiacciò i freni e lui si trovò proiettato in avanti.

In un attimo di confusione assoluta pensò di essere ancora prigioniero del sogno. La brezza che entrava dai finestrini era così calda e umida che pareva uscita da un bagno turco; eppure la macchina, a quanto sembrava, si era fermata nel mezzo di un'accecante tempesta di neve.

Morgan sobbalzò, si sfregò gli occhi, li riaprì sulla realtà. Era la prima volta che vedeva una neve dorata…

Uno sciame densissimo di farfalle stava traversando la strada, diretto a est in una migrazione esatta, decisa. Qualche farfalla era stata risucchiata dall'auto e continuava a volare freneticamente, finché Morgan non la scacciò; molte altre si erano spiaccicate sul parabrezza. Mormorando quelle che dovevano essere senza dubbio alcune delle migliori bestemmie in taprobani, l'autista scese e ripulì il vetro. Quando ebbe finito, lo sciame si era ridotto a una manciata di esemplari isolati.

— Vi hanno raccontato la leggenda? — chiese poi, gettando un'occhiata al passeggero.

— No — rispose bruscamente Morgan. La cosa non gl'interessava affatto; era ansioso di rimettersi a dormire.

— Le Farfalle d'Oro. Sono le anime dei guerrieri di Kalidas, dell'esercito che il re perse a Yakkagala.

Morgan emise un gemito scarsamente entusiasta, nella speranza che l'autista raccogliesse il messaggio; ma l'altro continuò implacabile.

— Ogni anno, all'incirca in questo periodo, si dirigono verso la Montagna, e muoiono tutte ai primi contrafforti. A volte si incontrano a metà del percorso della funivia, ma più in alto non arrivano. Fortunatamente per il Vihara.

— Il Vihara? — chiese Morgan, insonnolito.

— Il Tempio. Se le farfalle riuscissero a raggiungerlo, Kalidas avrebbe vinto, e i bhikkus, i monaci, dovrebbero abbandonarlo. Così dice la profezia incisa su una lastra di pietra che si trova al museo di Ranapur. Posso mostrarvela.

— Un'altra volta — rispose pigramente Morgan, adagiandosi sul sedile imbottito. Ma passarono molti chilometri prima che lui riuscisse ad addormentarsi di nuovo, perché nell'immagine evocata dall'autista c'era qualcosa d'inquietante.

Nei mesi che lo attendevano l'avrebbe ricordata spesso: quando si svegliava, oppure nei momenti di stanchezza e di crisi. Si sarebbe trovato di nuovo immerso in quella tempesta di neve dorata, tra i milioni di farfalle destinate a morire che sprecavano le loro energie in un vano assalto alla montagna e a tutto ciò che simboleggiava. Persino in quel momento, all'inizio delle sue battaglie, l'immagine era troppo forte per concedergli il riposo.

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Sulle rive del Lago Saladino

"Quasi tutte le simulazioni computerizzate di Storia Alternativa lasciano intendere che la battaglia di Tours (732 d.C.) sia stata uno dei disastri più cruciali per l'umanità. Se Carlo Martello fosse stato sconfitto, l'Islam poteva risolvere i conflitti interni che lo stavano divorando e proseguire la conquista dell'Europa. Così si sarebbero evitati secoli di barbarie cristiana, la rivoluzione industriale sarebbe iniziata almeno con mille anni d'anticipo, e oggi avremmo raggiunto le stelle più vicine, anziché i pianeti più vicini…

"…Ma il fato ha voluto altrimenti, e gli eserciti del Profeta sono tornati in Africa. L'Islam è sopravvissuto, come un affascinante fossile, quasi sino alla fine del ventesimo secolo. Poi, improvvisamente, si è dissolto nel petrolio…"

(Allocuzione del Presidente del Simposio per il bicentenario di Toynbee, Londra, 2089).

— Lo sapevi — disse lo sceicco Farouk Abdullah — che mi sono proclamato Grande Ammiraglio della Flotta del Sahara?

— La cosa non mi sorprenderebbe, signor presidente — rispose Morgan, scrutando l'immensità blu del Lago Saladino. — Se non è un segreto navale, quante navi possedete?

— Dieci, per il momento. La più grande è una nave a cuscino d'aria da trenta metri che batte la bandiera dell'Islam. Passa ogni weekend a salvare marinai incompetenti. La mia gente non ha ancora molta familiarità con l'acqua… Guarda quell'idiota che cerca di virare di bordo! Dopo tutto, duecento anni non sono poi molti per passare dai cammelli alle navi.

— Però fra una cosa e l'altra avete avuto Rolls Royce e Cadillac. Dovrebbero aver facilitato la metamorfosi.

— E le abbiamo ancora. La Silver Ghost del mio bis-bis-bisnonno è come nuova. Ma devo essere onesto: sono i visitatori di altri paesi che si mettono nei guai perché vogliono sfruttare i nostri venti. Noi usiamo barche a motore. E l'anno prossimo mi arriverà un sottomarino garantito in grado di raggiungere la profondità massima del lago, settantotto metri.

— A cosa vi serve?

— Ora ci sono venuti a dire che l'Erg era pieno di tesori archeologici. Ovviamente nessuno se n'è preoccupato prima che tutto fosse sommerso dall'acqua.

Era inutile cercare di mettere fretta al presidente del RANA (Repubbliche Autonome Nord Africa), e Morgan non aveva nessuna intenzione di provarci. Qualunque cosa dicesse la Costituzione, lo sceicco Abdullah controllava più poteri e ricchezze di ogni altro individuo esistente, o quasi. E, fatto ancor più importante, capiva gli usi di entrambe le cose.

Proveniva da una famiglia che non aveva mai temuto di affrontare rischi, e che molto di rado se n'era dovuta pentire. Il loro primo e più famoso azzardo, che per quasi mezzo secolo aveva scatenato l'odio dell'intero mondo arabo, era stato l'investimento di una cospicua massa di petrodollari nella scienza e tecnologia d'Istraele. Quell'atto di preveggenza aveva portato direttamente al drenaggio del Mar Rosso, alla sconfitta dei deserti, e, molto più tardi, al Ponte di Gibilterra.

— Non c'è bisogno che ti dica, Van — disse lo sceicco dopo una pausa — quanto mi affascina il tuo nuovo progetto. E dopo tutto ciò che abbiamo passato assieme durante la costruzione del Ponte, so che tu potresti farcela, se avessi i mezzi.

— Grazie.

— Però ho qualche domanda. Non capisco ancora bene perché c'è la Stazione di Mezzo, e perché si trova a un'altezza di venticinquemila chilometri.

— I motivi sono molti. Circa a quel livello ci è necessaria una grande centrale elettrica, e quindi in ogni caso bisognerà costruire parecchio. Poi ci è venuto in mente che sette ore sono troppe per starsene chiusi in una cabina piuttosto piccola, e interrompere il viaggio offre diversi vantaggi. Non saremo costretti a dar da mangiare ai passeggeri sulle capsule; potranno rifocillarsi e sgranchirsi le gambe alla Stazione. Inoltre potremo portare a livello ottimale il disegno dei veicoli; solo le capsule della sezione inferiore dovrebbero essere aerodinamiche. Quelle che ripartono dalla Stazione potrebbero essere molto più semplici e leggere. La Stazione di Mezzo non servirebbe solo come punto intermedio, ma anche come centrale operativa e di controllo; e col tempo, crediamo, diventerebbe un'attrazione turistica, un ottimo investimento.

— Ma non è a mezza strada! È quasi… a… due terzi del percorso per l'orbita stazionaria.

— Esatto. La metà del percorso si trova a diciottomila chilometri, non a venticinquemila. Ma entra in ballo un altro fattore: la sicurezza. Se la sezione superiore dovesse staccarsi, la Stazione di Mezzo non ricadrebbe sulla Terra.

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