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Il ricordo di Instanbul svanì. Si trovava nuovamente sulla montagna, più perplesso e confuso che mai.

Cosa gli aveva raccontato il monaco? Che il dono indesiderato di Kalidas era rimasto in silenzio per secoli, e poteva suonare solo in tempi di disastro? Ma non c'era stato nessun disastro; anzi, dal punto di vista del tempio era accaduto esattamente il contrario. Per un attimo, a Morgan venne in mente l'imbarazzante possibilità che la sonda fosse caduta all'interno del terreno del monastero. No, la cosa era fuori discussione: la sonda aveva evitato la cima di alcuni chilometri. E poi, in ogni caso, era un oggetto troppo piccolo per procurare danni seri anche se fosse precipitato, con scarsa forza, dal cielo.

Fissò il tempio. La voce della grande campana continuava a sfidare la tempesta. Tutte le tuniche arancioni erano svanite dai parapetti; non si vedeva nemmeno un monaco.

Qualcosa sfiorò dolcemente la guancia di Morgan, e lui l'allontanò soprappensiero. Era difficile persino pensare mentre quel suono doloroso riempiva l'aria e gli martellava il cervello. Forse era meglio raggiungere il monastero e chiedere cortesemente al Maha Thero cos'era successo.

Di nuovo quel tocco morbido, serico, sulla sua faccia, e questa volta Morgan vide con la coda dell'occhio un lampo giallo. I suoi riflessi erano sempre stati veloci: mosse la mano, e non sbagliò.

L'insetto giaceva raggrinzito nel palmo della sua mano, viveva gli ultimi secondi della sua vita effimera sotto gli occhi di Morgan; e l'universo che lui conosceva da sempre parve tremare e dissolversi. La sua sconfitta miracolosa si era trasformata in una vittoria ancora più inesplicabile, eppure lui non provava la minima sensazione di trionfo. Sentiva solo confusione e sorpresa.

Perché adesso ricordava la leggenda delle farfalle d'oro. Guidate dalla tempesta, a centinaia e migliaia, risalivano la montagna per morire sulla cima.

Le legioni di Kalidas avevano finalmente ottenuto il loro sahgue, e, nello stesso tempo, la loro vendetta.

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L'esodo

— Cos'è successo? — chiese lo sceicco Abdullah.

" Ecco una domanda a cui non sarò mai capace di rispondere" pensò Morgan. Ma disse: — La Montagna è nostra, signor presidente. I monaci hanno già cominciato ad andarsene. È incredibile. Com'è possibile che una leggenda antica di duemila anni…? — Scosse la testa, stupefatto, perplesso.

— Se ci sono abbastanza uomini che credono in una leggenda, diventa vera.

— Suppongo di sì. Ma qui c'è in ballo qualcosa di più. L'intera serie di avvenimenti mi pare incredibile.

— È sempre rischioso usare questo aggettivo. Permettimi di raccontarti una modesta storia. Un caro amico, un grande scienziato ormai morto, mi prendeva in giro sostenendo che siccome la politica è la scienza del possibile, sembra attraente solo a cervelli di seconda categoria. Perché quelli di prima categoria, diceva, s'interessano solo all'impossibile. E lo sai cosa gli ho risposto?

— No — disse Morgan, cortesemente e prevedibilmente.

— È una fortuna che siamo in tanti, perché qualcuno deve governare il mondo… E… se è successo l'impossibile, dovresti accettarlo con gratitudine.

"Lo accetto con riluttanza" pensò Morgan. "C'è qualcosa di molto strano in un universo dove qualche cadavere di farfalla può controbilanciare una torre da un miliardo di tonnellate."

E a quel punto entrava in gioco il ruolo ironico del Venerabile Parakarma, che ormai doveva sentirsi una pedina nelle mani di qualche dio malizioso. Il direttore del Controllo Monsoni si era dimostrato molto dispiaciuto, e Morgan aveva accettato le sue scuse con una cortesia insolita. Non gli era difficile credere che il brillante dottor Choam Goldberg avesse rivoluzionato la micrometeorologia, che nessuno avesse capito sino in fondo cosa stava facendo, e che per finire gli fosse capitato un esaurimento nervoso mentre conduceva i suoi esperimenti. Non sarebbe mai più successo. Morgan aveva espresso i suoi auguri, del tutto sinceri, per una veloce guarigione dello scienziato; e i suoi istinti di burocrate gli avevano lasciato capire che, a tempo debito, avrebbe ricevuto l'attenzione del Controllo Monsoni. Il direttore era scomparso fra una profusione di ringraziamenti, senza dubbio perplesso dalla sorprendente magnanimità di Morgan.

— A puro titolo di curiosità — chiese lo sceicco — dove sono diretti i monaci? Potrei ospitarli qui. La nostra cultura ha sempre dato il benvenuto a fedi diverse.

— Non so, e non lo sa nemmeno l'Ambasciatore Rajasinghe. Ma quando gliel'ho chiesto mi ha risposto che si troveranno bene. Un ordine religioso che è sopravvissuto frugalmente per tremila anni non dovrebbe essere del tutto sprovveduto.

— Hmm. Forse ci farebbero comodo un po' delle loro ricchezze. Questo tuo modesto progetto diventa più costoso ogni volta che ci vediamo.

— Non è esatto, signor presidente. L'ultima stima comprende una cifra destinata esclusivamente alla contabilità. Si tratta di operazioni nello spazio profondo che la Banca di Marte ha accettato di finanziare. Saranno loro a scovare un satellite carbonoso e a trasportarlo nell'orbita terrestre. Sono molto più pratici di noi di lavori del genere, e questo risolve uno dei problemi principali.

— E il carbonio per la loro torre?

— Ne possiedono riserve illimitate su Deimos, esattamente dove occorre. Marte ha già iniziato a cercare d'individuare i punti più adatti allo scavo, anche se i processi di lavorazione non potranno aver luogo sulla Luna.

— Posso chiedere perché?

— A causa della gravità. Anche Deimos possiede un certo grado di gravità. L'iperfilamento si può produrre solo in condizioni di assoluta mancanza di gravità. Altrimenti è impossibile garantire una struttura cristallina perfetta, rispondente ai nostri standard di resistenza.

— Grazie, Van. Posso chiederti perché hai cambiato il progetto originario? Non mi spiacevano quelle quattro tubature, due per salire e due per scendere. Quella specie di metropolitana era qualcosa che riuscivo a comprendere, anche se saliva verso l'alto in verticale.

Non per la prima volta, e indubbiamente neanche per l'ultima, Morgan restò sorpreso davanti alla capacità straordinaria del vecchio di ricordare anche il particolare più insignificante. Con lui non si doveva mai dare niente per scontato. A volte le sue domande erano dettate dalla pura curiosità (spesso la curiosità di chi è talmente sicuro di sé da non aver bisogno di fingere di sapere, per dignità), ma certo non trascurava mai nessun dettaglio.

— Temo che i nostri progetti iniziali fossero un po' troppo terreni. Abbiamo fatto come i primi disegnatori d'automobili, che continuavano a creare carri senza cavalli. Adesso il nostro progetto è quello di una torre cava, quadrata, con un binario su ogni facciata. Immaginate che si tratti di quattro binari verticali. Si parte dall'orbita con un lato di quaranta metri, che si riduce a venti arrivando sulla Terra.

— Come una stalag… Stalatt…

— Stalattite. Sì, anch'io ho dovuto controllare. Dal punto di vista tecnico, una buona analogia potrebbe essere la vecchia Torre Eiffel, capovolta e allungata di circa centomila volte.

— Così tanto?

— Più o meno.

— D'accordo. Immagino che nessuna legge proibisca a una torre di pendere verso il basso.

— Ne avremo anche una che va "in alto", non scordatevene: dall'orbita sincrona alla massa d'ancoraggio che tiene in tensione l'intera struttura.

— E la Stazione di Mezzo? Spero che non avrai cambiato anche quella.

— No. Si trova ancora nello stesso punto, a venticinquemila chilometri d'altezza.

— Bene. So che non la vedrò mai, ma mi piace pensarci… — Lo sceicco mormorò qualcosa in arabo. — C'è un'altra leggenda, sai. La bara di Maometto, sospesa fra cielo e terra. Proprio come la Stazione di Mezzo.

— Vi prepareremo un banchetto lì, signor presidente, quando inaugureremo la linea.

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