"Stellaplano ci ha mostrato molti strani mondi e razze, ma non ci ha svelato i segreti di tecnologie più avanzate, per cui ha avuto un impatto minimo sugli aspetti tecnologici della nostra cultura. Si è trattato di un caso o del risultato di un piano deliberato? Sono molte le domande che vorremmo rivolgere a Stellaplano, ora che è troppo tardi, o troppo presto.
"D'altra parte, ha discusso ampiamente di filosofia e religione, e in questi campi la sua influenza è stata profonda. Per quanto la frase non compaia in nessuna delle trascrizioni, a Stellaplano viene generalmente attribuito il famoso aforisma: 'La fede in Dio sembra essere un prodotto psicologico della riproduzione dei mammiferi'.
"E se fosse vero? La cosa non ha il minimo rilievo nei confronti del problema della 'reale' esistenza di Dio, come procederò a dimostrare…"
Swami Krisnamurthi (dottor Choam Goldberg)
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Cielo crudele
L'occhio riusciva a seguire il nastro molto meglio di notte che di giorno. Al tramonto, quando si accendevano le luci di segnalazione, diventava un sottile filo incandescente, sempre meno distinguibile; finché, in un punto indefinito, si perdeva sullo sfondo delle stelle.
Era già la maggiore meraviglia del mondo. Prima che Morgan si decidesse a proibire l'accesso ai non addetti ai lavori, si verificava un continuo afflusso di turisti ("pellegrini", li aveva definiti ironicamente qualcuno) che venivano a rendere omaggio all'ultimo miracolo della montagna.
Si comportavano tutti allo stesso modo. Per prima cosa tendevano la mano a toccare dolcemente il nastro largo cinque centimetri, lasciandovi scorrere sopra la punta delle dita con qualcosa di simile alla riverenza. Poi si mettevano in ascolto: appoggiavano le orecchie al materiale liscio, freddo, di cui era fatto il nastro, quasi sperassero di udire la musica delle sfere. Alcuni, anzi, sostenevano di aver sentito una nota bassissima, al limite estremo di udibilità, ma erano solo degli illusi. Anche le armoniche più alte della frequenza naturale del nastro erano molto al di sotto dei livelli umani d'udibilità. E alcuni si allontanavano scuotendo la testa, dicendo: — Nessuno riuscirà mai a farmi salire su quella cosa! — Ma erano il tipo di persone che avevano detto la stessa cosa dei razzi a fusione, della navetta spaziale, dell'aeroplano, dell'automobile, persino della locomotiva a vapore…
La risposta consueta per quegli scettici era: — Non preoccuparti. Questa è solo una parte dell'impalcatura, uno dei quattro nastri che guideranno la Torre fino alla Terra. Quando la costruzione sarà completata, viaggiarci sopra sarà come prendere l'ascensore in un palazzo un po' alto. Solo che il viaggio sarà più lungo, e molto più comodo.
Il viaggo di Maxine Duval, invece, sarebbe stato brevissimo, e non particolarmente comodo. Però, dopo aver capitolato, Morgan aveva fatto del suo meglio per assicurarsi che procedesse senza incidenti.
Il sottile "Ragno" (un prototipo di prova che somigliava a un'assicella da muratore motorizzata) era già salito una dozzina di volte fino a venti chilometri, trasportando il doppio del peso che avrebbe accolto ora. Si erano verificati i soliti piccoli problemi d'aggiustamento, ma niente di serio; gli ultimi cinque viaggi erano andati alla perfezione. E cosa poteva andare storto? Se fosse venuta a mancare la corrente (il che era quasi impensabile in un veicolo così semplice, azionato a batteria) la gravità avrebbe riportato a terra Maxine, e i freni automatici avrebbero smorzato la velocità di discesa. L'unico vero rischio era che il meccanismo di guida potesse bloccarsi, intrappolando Ragno e passeggera negli strati alti dell'atmosfera. E Morgan aveva una soluzione anche per quell'eventualità.
— Solo quindici chilometri? — aveva protestato Maxine. — Basterebbe un aliante per arrivare più in alto!
— Ma tu non ci arriveresti con una semplice maschera a ossigeno. Naturalmente, se vuoi aspettare un anno, per allora avremo pronto il veicolo dotato di sistema di sopravvivenza…
— Non andrebbe bene una tuta spaziale?
Morgan si era rifiutato di cedere, per ottimi motivi. Per quanto sperasse che non fosse necessario, una piccola gru a reazione era pronta ai piedi di Sri Kanda. I gruisti, altamente specializzati, erano pratici di lavori insoliti; non avrebbero avuto la minima difficoltà a recuperare Maxine anche a un'altezza di venti chilometri.
Ma non esisteva nessun tipo di veicolo che potesse raggiungerla a un'altezza doppia. Al di sopra dei quaranta chilometri era terra di nessuno: troppo in basso per i razzi, troppo in alto per i palloni aerostatici.
In teoria, certo, un razzo poteva affiancarsi al nastro e restare immobile per qualche minuto, prima di esaurire tutto il propellente. Ma i problemi di navigazione e di contatto effettivo col Ragno erano talmente orrendi che Morgan non si era nemmeno preoccupato di riflettervi sopra. Nella realtà non sarebbe mai accaduto, e lui sperava che nessun produttore di videodrammi decidesse che si trattava di un buon soggetto per uno spettacolo di successo. Di quel tipo di pubblicità poteva proprio farne a meno.
Maxine Duval sembrava la tipica turista in visita all'Antartico: avvolta dalla scintillante termotuta a lamine metalliche, s'incamminò verso il Ragno e il gruppo di tecnici che gli stavano attorno.
Aveva scelto con molta cura l'ora: il sole si era alzato da sessanta minuti appena, e i suoi raggi non ancora troppo forti avrebbero illuminato magnificamente il paesaggio di Taprobane. Il suo Remoto, ancora più giovane e piacente di quello impiegato nell'ultima memorabile occasione, riprendeva il succedersi degli eventi per i suoi moltissimi spettatori.
Come sempre, aveva provato tutto alla perfezione. Non indugiò, non esitò quando salì a bordo, schiacciò il pulsante di BATTERIA IN FUNZIONE, tirò una profonda boccata d'ossigeno dalla maschera e controllò i monitor di tutti i canali video e audio. Poi, come i piloti degli antichi film di guerra, alzò il pollice verso gli altri e spinse dolcemente in avanti il comando d'accelerazione.
I tecnici raccolti attorno, molti dei quali si erano già divertiti a viaggiare fino all'altezza di qualche chilometro, scoppiarono in un applauso ironico. Qualcuno urlò: — Accensione! Decolliamo! — e, muovendosi all'incirca con la stessa velocità di uno di quegli enormi ascensori in voga sotto il regno di Vittoria I, il Ragno cominciò a salire.
"Dev'essere come andare in pallone" si disse Maxine. Tutto liscio, tranquillo, silenzioso. No, non completamente silenzioso: udiva il ronzio dolce dei motori che facevano girare le molte ruote in movimento sulla superficie piatta del nastro. Non c'erano assolutamente le oscillazioni e le vibrazioni che in parte si aspettava: quell'incredibile nastro lungo cui stava salendo era sottilissimo ma rigido come una sbarra d'acciaio, e i giroscopi del veicolo tenevano il Ragno immobile come una roccia. Chiudendo gli occhi, era facile immaginare di viaggiare già sulla Torre finita. Ma, naturalmente, non li avrebbe chiusi; c'erano troppe cose da vedere e registrare. C'erano anche molte cose da udire; era incredibile con quanta nitidezza viaggiasse il suono, perché udiva ancora benissimo le conversazioni sotto di sé.
Salutò con la mano Vannevar Morgan, poi cercò Warren Kingsley. Fu sorpresa di non riuscire a trovarlo; l'aveva aiutata a salire sul Ragno ed era scomparso. Poi ricordò la sua franca ammissione (a volte lo faceva quasi sembrare un fatto di cui vantarsi) che il miglior ingegnere strutturale del mondo non sopportava l'altezza… Tutti possiedono qualche paura segreta, a volte non troppo segreta. Maxine, ad esempio, non amava i ragni, e avrebbe desiderato che il veicolo su cui viaggiava avesse un altro nome; però, se proprio era necessario, coi ragni riusciva a cavarsela. La creatura che non avrebbe mai sopportato di toccare, per quanto l'avesse incontrata abbastanza spesso durante le sue scorrerie in mare, era il timido e innocuo polipo.