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La voce femminile, calma ma autoritaria, che lo interruppe diede a Morgan un colpo tale che quasi lasciò andare la preziosa fibra. La voce era un po' soffocata dalla tuta, ma non importava. Conosceva sin troppo bene quelle parole, anche se erano passati mesi dall'ultima volta che le aveva udite.

— Dottor Morgan — disse CORA — per favore sedetevi a riposare per dieci minuti.

— Ti accontenti di cinque? — la pregò. — In questo momento ho parecchio da fare.

CORA non si degnò di rispondere. Esistevano apparecchi in grado di sostenere una conversazione semplice, ma il suo non era di quel tipo.

Morgan tenne fede alla promessa: respirò a fondo, con regolarità, per cinque minuti pieni. Poi si rimise a segare. Tirava il filo avanti e indietro, avanti e indietro, accucciato sopra la griglia e sopra la Terra lontana quattrocento chilometri. Sentiva una resistenza considerevole, per cui doveva per forza fare qualche progresso con quell'acciaio durissimo. Ma era impossibile capire l'entità del progresso.

— Dottor Morgan — disse CORA — dovete proprio coricarvi per mezz'ora.

Morgan bestemmiò fra sé.

— Ti sbagli, dolce signora — ribatté. — Mi sento benissimo. — Ma mentiva: CORA sapeva del dolore al suo petto…

— Con chi diavolo stai parlando, Van? — chiese Kingsley.

— È solo un angelo di passaggio — rispose Morgan. — Scusa se non ho spento il microfono. Mi riposo ancora un po'.

— Che progressi stai facendo?

— Non so. Però sono certo che ormai il taglio è piuttosto profondo. "Deve" esserlo…

Avrebbe voluto poter spegnere CORA, ma la cosa era impossibile, anche se non fosse stata incastrata tra lo sterno e il tessuto della tuta. Un monitor cardiaco che si potesse spegnere era peggio che inutile; era pericoloso.

— Dottor Morgan — disse CORA, ormai decisamente irritata — "devo" proprio insistere. Almeno mezz'ora di riposo "completo".

Questa volta Morgan non se la sentì di rispondere. Sapeva che CORA aveva ragione; ma ovviamente non si poteva pretendere che capisse quante vite erano in gioco. E poi lui era sicuro che, come tutti i suoi punti, anche quell'apparecchio possedesse un ampio margine di sicurezza. La sua diagnosi doveva per forza tendere a essere pessimistica; le sue condizioni non potevano essere così gravi. O almeno lo sperava ardentemente.

Sembrava che il dolore al petto non peggiorasse; decise di ignorare sia quello sia CORA, e ricominciò a segare, piano ma a ritmo costante, col cappio di iperfilamento. Avrebbe continuato, si disse decisamente, finché era necessario.

Non ci furono i segni premonitori su cui contava. Il Ragno sobbalzò violentemente quando duecentocinquanta chili di peso morto si staccarono, e Morgan venne quasi scagliato nell'abisso. Lasciò cadere la filiera, cercò di afferrare la cintura di sicurezza.

Tutto accadde con la lentezza di un sogno. Non provava paura, era solo assolutamente deciso a non arrendersi alla gravità senza combattere. Ma non riusciva a trovare la cintura di sicurezza; doveva essere rientrata in cabina…

Non si accorse nemmeno di usare la sinistra, ma d'improvviso capì che era serrata sulle cerniere del portello spalancato. Eppure non rientrò subito in cabina; era ipnotizzato dallo spettacolo della batteria che precipitava e scompariva in basso, roteando lentamente come uno strano corpo celeste. Ci volle molto tempo prima che svanisse del tutto; e solo allora Morgan si mise al sicuro, sprofondando nel sedile.

Restò immobile per molto tempo, col cuore che batteva forte, in attesa di un'altra indignata protesta di CORA. Invece scoprì, sorpreso, che restava in silenzio, come se anche lei fosse sorpresa quanto lui. Ad ogni modo non le avrebbe più dato motivo di lamentarsi: da quel momento in poi sarebbe rimasto seduto tranquillo davanti ai comandi, cercando di calmare i suoi nervi sconvolti.

Quando fu di nuovo padrone di sé chiamò la montagna.

— Ho liberato la batteria — disse, e da Terra udì salire esclamazioni di gioia. — Chiudo il portello e riparto. Dite a Sessui e soci di aspettarmi entro un'ora circa. E ringraziate Kinte per l'illuminazione. Non mi serve più.

Ripressurizzò la cabina, aprì l'elmetto della tuta, e si concesse una lunga, fresca sorsata di succo d'arancia vitaminizzato. Poi accese il motore e disinserì i freni, e un senso di profondo sollievo lo sommerse quando il Ragno riprese a salire a velocità piena.

Stava viaggiando da diversi minuti prima di rendersi conto cosa mancava. Gettò un'occhiata di ansiosa speranza alla griglia: no, non c'era. Be', poteva sempre procurarsi un'altra filiera, per sostituire quella che adesso stava piombando sulla Terra con la batteria esaurita; era un sacrificio modesto per un risultato così grande. Strano, quindi, che si sentisse tanto sconvolto, incapace di gustare a fondo il trionfo… Gli sembrava d'aver perso un vecchio amico fedele.

53

Perdita d'energia

Il fatto che il ritardo fosse di soli trenta minuti sembrava troppo bello per essere vero. Morgan era pronto a giurare che la capsula si era fermata almeno per un'ora. Su nella Torre, ormai lontana molto meno di duecento chilometri, il comitato di festeggiamenti si stava senz'altro preparando a riceverlo. E lui rifiutava la sola idea di prendere in considerazione problemi ulteriori. Quando oltrepassò il segnale posto al cinquecentesimo chilometro, continuando a viaggiare a tutta birra, da Terra gli giunse un messaggio di congratulazioni. — Fra l'altro — aggiunse Kingsley — il guardiano del santuario di Ruhana ha segnalato la caduta d'un aereo. Lo abbiamo rassicurato. Se troviamo la buca, potremo offrirti un ricordino. — Morgan non ebbe difficoltà a frenare l'entusiasmo: non voleva rivedere mai più quella batteria. Certo, se riuscivano a trovare la filiera… Ma quello era un compito impossibile.

Il primo segno di guai arrivò al chilometro cinquecentocinquanta. Ormai la velocità di salita avrebbe dovuto essere superiore ai duecento chilometri orari, invece raggiungeva appena i centonovantotto. Era una differenza minima, che non avrebbe influito in maniera apprezzabile sul tempo d'arrivo; però lo preoccupava.

A soli trenta chilometri dalla Torre aveva diagnosticato il problema, e sapeva che questa volta non poteva farci assolutamente niente. La riserva d'energia avrebbe dovuto essere piuttosto ampia, ma la batteria cominciava a scaricarsi; forse i delicati elementi che la componevano avevano subito qualche danno. Qualunque fosse la spiegazione, il flusso di corrente e la velocità della capsula diminuivano gradualmente.

Quando Morgan riferì a Terra le cifre che apparivano sul pannello, scoppiò la costernazione.

— Temo che tu abbia ragione — rispose Kingsley, che sembrava sul punto di piangere. — Ti suggeriamo di abbassare la velocità fino a cento chilometri orari. Cercheremo di calcolare il tempo di vita della batteria, anche se si tratterà solo di una valutazione approssimativa.

Ancora venticinque chilometri; solo quindici minuti, anche a quella velocità minima! Se Morgan fosse stato capace di pregare, avrebbe pregato.

— Riteniamo che tu abbia ancora a disposizione fra i dieci e i venti minuti, a giudicare dal tasso di diminuzione dell'energia. Ci mancherà un pelo, temo.

— Devo ridurre ancora la velocità?

— Per ora no. Stiamo cercando di sfruttare al massimo l'energia, e meglio di così non ci sembra possibile.

— Be', adesso potete accendere il proiettore. Se non posso raggiungere la Torre, almeno voglio vederla.

Né Kinte né le altre stazioni potevano essergli d'aiuto, adesso che voleva ammirare la base della Torre. Quello era un lavoro per il proiettore di Sri Kanda, puntato in verticale verso lo zenit.

Un attimo dopo, la capsula fu trafitta da un raggio di luce luminosissimo che giungeva dal cuore di Taprobane. A soli pochi metri di distanza, così vicini che gli pareva di poterli toccare, gli altri tre nastri erano fasci di luce che convergevano verso la Torre. Seguì il loro percorso, e vide le fondamenta…

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