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Lundozer

— Il vostro guaio, dottor Morgan — disse l'uomo sulla sedia a rotelle — è che vi trovate sul pianeta sbagliato.

— Non posso impedirmi di pensare — ribatté Morgan, gettando un'occhiata penetrante all'apparecchiatura di cui si serviva il suo ospite — che anche di voi si possa dire lo stesso.

Il vice presidente (Investimenti) della Narodny Marte uscì in una risatina compiaciuta.

— Per lo meno io resto qui una sola settimana; poi torno sulla Luna, a una gravità decente. Oh, se proprio ci sono costretto riesco a camminare. Ma preferisco di no.

— Se posso chiederlo, come mai siete venuto sulla Terra?

— Ci vengo il meno possibile, ma a volte la presenza fisica è indispensabile. Nonostante quello che si dice, i remoti non possono fare tutto. Sono certo che lo saprete.

Morgan annuì. Era abbastanza vero. Ripensò a tutte le volte che la consistenza di qualche materiale, il tocco della roccia o del suolo sotto i suoi piedi, il profumo d'una giungla, l'umidità della schiuma sulla faccia avevano giocato un ruolo decisivo in uno dei suoi progetti. Un giorno, forse, sarebbe stato possibile trasmettere elettronicamente anche quelle sensazioni; anzi, in via sperimentale era già stato fatto, in modo molto rozzo e con costi enormi. Ma la realtà non ha surrogati; non bisogna fidarsi delle imitazioni.

— Se siete venuto sulla Terra per vedere me — disse Morgan — apprezzo l'onore. Ma se volete offrirmi un lavoro su Marte state perdendo tempo. In pensione mi diverto, vedo amici e parenti che non incontravo da anni, e non ho intenzione di iniziare una nuova carriera.

— Lo trovo sorprendente. Dopo tutto avete solo cinquantadue anni. Come pensate di occupare il tempo?

— Facilissimo. Potrei trascorrere tutto il resto della mia vita tra una dozzina di progetti. Gli antichi costruttori, i romani, i greci, gli incas, mi hanno sempre affascinato, e non ho mai avuto il tempo di studiarli. Mi hanno chiesto di scrivere e tenere un corso sulla scienza della progettazione per l'Università Mondiale. Ho firmato un contratto per un volume sulle strutture complesse. Voglio sviluppare alcune idee circa l'uso degli elementi naturali per correggere i carichi dinamici: i venti, i terremoti, eccetera. Sono ancora consulente del Comitato Generale Tettonico. E sto preparando un rapporto sull'amministrazione della TCC.

— Su richiesta di chi? Non del senatore Collins, immagino.

— No — rispose Morgan, con un sorriso torvo. — Pensavo che potesse essere… utile. E mi aiuta a sentirmi meglio.

— Ne sono certo. Ma nessuna di queste attività è davvero creativa. Prima o poi impallidiranno, come questo magnifico paesaggio norvegese. Vi stancherete di guardare laghi e abeti, come vi stancherete di scrivere e parlare. Voi siete il tipo d'uomo che non sarà mai soddisfatto, dottor Morgan, se non può modellare il proprio universo.

Morgan non rispose. La prognosi era troppo esatta per non turbarlo.

— Sospetto che siate d'accordo con me. Cosa direste se vi raccontassi che la mia Banca è seriamente interessata al progetto dell'elevatore spaziale?

— Sarei scettico. Quando li ho contattati mi hanno risposto che era un'ottima idea, ma che a questo stadio non potevano investire niente. Tutti i fondi disponibili erano necessari per lo sviluppo di Marte. È la solita storia: saremo lieti di aiutarvi quando non vi servirà più aiuto.

— Questo è successo un anno fa. Ora ci abbiamo ripensato. Vorremo che voi costruiste l'elevatore spaziale, ma non sulla Terra. Su Marte. Vi interessa?

— Può darsi. Continuate.

— Considerate i vantaggi. Solo un terzo della gravità, per cui le forze in gioco sono proporzionalmente inferiori. Anche l'orbita sincrona è più vicina, si trova a meno della metà dell'altezza di qui. Quindi i problemi tecnici sono enormemente ridotti sin dall'inizio. Secondo la nostra stima, l'elevatore su Marte verrebbe a costare meno di un decimo che sulla Terra.

— È possibile. Comunque dovrò controllare.

— E questo è appena l'inizio. Su Marte, nonostante l'atmosfera rarefatta, abbiamo tempeste terribili… però anche montagne che si alzano molto al di sopra delle tempeste. La vostra Sri Kanda è alta solo cinque chilometri. Noi abbiamo il Mons Pavonis: ventun chilometri, ed esattamente sull'equatore! Ancora meglio, sulla sua cima non esistono monaci marziani con diritti di proprietà a lungo termine. E c'è un'altra ragione per cui forse Marte è l'ideale per un elevatore spaziale. Deimos si trova appena a tremila chilometri sopra l'orbita stazionaria. Per cui possediamo già un paio di milioni di megatonnellate sistemati nel posto esatto per l'ancoraggio.

— Si creerebbe qualche interessante problema per la sincronizzazione, ma capisco il vostro punto. Mi piacerebbe incontrare le persone che hanno elaborato questi dati.

— Qui è impossibile. Stanno tutte su Marte. Dovreste venire da noi.

— Sono tentato, ma ho ancora qualche domanda.

— Avanti.

— La Terra "deve" avere l'elevatore, per tutti i motivi che voi indubbiamente conoscete. Ma mi sembra che Marte potrebbe farne a meno. Voi avete solo una minima parte del nostro traffico spaziale, e un tasso di crescita previsto molto minore. Francamente non mi pare che la cosa abbia molto senso.

— Mi chiedevo quando l'avreste chiesto.

— Appunto, l'ho chiesto.

— Avete sentito parlare del Progetto Eos?

— Non credo.

— Eos, alba, in greco. Il progetto per ringiovanire Marte.

— Oh, certo che lo conosco. Vorreste sciogliere le calotte polari, no?

— Esattamente. Se riuscissimo a sgelare tutta quell'acqua e quel ghiaccio di anidride carbonica succederebbero parecchie cose. La densità atmosferica crescerebbe fino al punto da permettere agli uomini di lavorare all'aperto senza le tute spaziali; in tempi più lunghi, potremmo addirittura rendere respirabile l'aria. Ci sarebbero corsi d'acqua, piccoli mari, e soprattutto vegetazione: sarebbe l'inizio di un ambiente biologico accuratamente pianificato. In un paio di secoli Marte potrebbe diventare un secondo Giardino dell'Eden. È l'unico pianeta del sistema solare che siamo in grado di trasformare con la tecnologia attuale. Venere, probabilmente, è già troppo caldo.

— E l'elevatore spaziale cosa c'entra?

— Dovremo mettere in orbita diversi milioni di tonnellate d'equipaggiamenti. L'unico modo pratico per riscaldare Marte è usare specchi solari con un diametro di centinaia di chilometri. E ne avremo bisogno per sempre: all'inizio per sciogliere le calotte, poi per mantenere una temperatura confortevole.

— Non potete ottenere tutto il materiale dalle miniere degli asteroidi?

— Una parte sì, certo. Ma i migliori specchi per questo uso si fabbricano col sodio, che nello spazio è raro. Dovremo estrarlo dai depositi salini di Tharsis, che per fortuna si trovano proprio ai piedi del Pavonis.

— E quanto tempo ci vorrebbe per tutto questo?

— Se non si creano problemi, il primo stadio potrebbe essere terminato entro cinquant'anni. Forse per il vostro centesimo compleanno, che secondo gli attuari potete raggiungere con trentanove probabilità su cento.

Morgan rise.

— Ammiro chi fa lavori di ricerca tanto accurati.

— Su Marte non sopravvivremo, se non prestassimo attenzione ai particolari.

— Molto bene. Sono favorevolmente impressionato, per quanto abbia ancora molte riserve. I finanziamenti, ad esempio…

— Questo è lavoro mio, dottor Morgan. Io sono il banchiere. Voi l'ingegnere.

— Perfetto. Però mi sembra che voi d'ingegneria ne sappiate parecchio, e io ho dovuto imparare diverse cose dell'economia, spesso a mie spese. Prima anche solo di prendere in considerazione l'idea d'imbarcarmi in un progetto del genere, voglio vedere un preventivo dettagliato.

— Che possiamo fornirvi…

— … E questo è solo l'inizio. Forse non sapete che bisogna ancora eseguire un'infinità di ricerche in una mezza dozzina di campi: produzione su scala industriale dell'iperfilamento, problemi di stabilità e di controllo… Potrei continuare per tutta la notte.

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