Il giornalista di turno aveva già commentato gli ultimi sviluppi della situazione. Una scritta che correva di continuo in basso sullo schermo diceva: MORGAN IMMOBILIZZATO A 200 CHILOMETRI DALLA META.
Le dita di Rajasinghe chiesero ulteriori dettagli, e lui fu lieto di scoprire che le sue paure iniziali erano prive di fondamento. Morgan "non" era immobilizzato; semplicemente non era in grado di terminare il viaggio. Poteva tornare sulla Terra quando voleva; ma se tornava, il professor Sessui e i suoi colleghi erano condannati a una morte certa.
In quel momento, direttamente sopra la sua testa, si stava svolgendo il dramma. Rajasinghe passò dai titoli elettronici al video, ma non c'era niente di nuovo; anzi, adesso stavano trasmettendo la registrazione del viaggio di Maxine Duval, avvenuto anni prima, su un prototipo del Ragno.
— Io posso fare di meglio — mormorò Rajasinghe, e mise in funzione il suo adorato cannocchiale.
I primi mesi dopo essersi trovato confinato a letto, gli era stato impossibile usarlo. Poi Morgan aveva fatto una delle sue brevi visite di cortesia, aveva analizzato la situazione e prescritto la cura. Una settimana più tardi, tra la sorpresa e il piacere di Rajasinghe, un gruppetto di tecnici si era presentato a Villa Yakkagala, e aveva adattato lo strumento al controllo a distanza. Adesso, standosene comodamente coricato a letto, lui poteva esplorare i cieli lontani e la superficie immensa della Montagna. Era profondamente grato a Morgan per quel gesto, che gli aveva mostrato un lato della personalità dell'ingegnere di cui non sospettava l'esistenza.
Non era ben sicuro di cosa potesse vedere nel buio della notte; ma sapeva esattamente dove puntare l'obiettivo, perché da molto seguiva la lenta discesa della Torre. Quando il sole si trovava all'angolo giusto, riusciva persino a vedere i quattro nastri di guida che convergevano verso lo zenit, quattro linee di luce tracciate in cielo.
Inserì il comando del cannocchiale sull'angolo azimutale e lo puntò in alto, esattamente al di sopra di Sri Kanda. Mentre cominciava a seguire piano i nastri, cercando i segni che indicassero la presenza della capsula, si chiese cosa pensasse il Maha Thero di quegli ultimi avvenimenti. Rajasinghe non aveva più parlato al monaco, che ormai aveva passato i novant'anni, da che l'Ordine si era trasferito a Lhasa; ma immaginava che il Potala non avesse fornito tutto quello che i monaci si aspettavano. Il grande palazzo stava cadendo a pezzi poco per volta, mentre gli esecutori testamentari del Dalai Lama litigavano col Governo Federale Cinese per le spese di manutenzione. Secondo le ultime informazioni in possesso di Rajasinghe, il Maha Thero era in trattative col Vaticano, a sua volta sommerso da difficoltà finanziarie croniche, ma che perlomeno possedeva un proprio territorio.
Vero, nessuna cosa è eterna, ma non era facile scorgere uno schema ciclico. Forse ci sarebbe riuscito il genio matematico di Parakarma-Goldberg. L'ultima volta che Rajasinghe lo aveva visto, stava ricevendo un importante premio scientifico per il suo contributo alla meteorologia. Rajasinghe non lo avrebbe mai riconosciuto: aveva i capelli tagliati a spazzola, e indossava un vestito all'ultima moda neo-napoleonica. Però sembrava che adesso fosse stato ripreso da impulsi religiosi… Le stelle scivolavano lentamente sul grande monitor a capo del letto, e il cannocchiale si alzava verso la Terra. Ma non c'era segno della capsula, anche se Rajasinghe era sicuro che ormai dovesse trovarsi nel campo della sua visuale.
Stava per riaccendere il normale canale televisivo quando, come una nova in eruzione, una stella si accese nella parte inferiore del monitor. Per un attimo Rajasinghe si chiese se la capsula fosse esplosa; poi notò che la stella risplendeva di una luce perfettamente omogenea. Centrò l'immagine e mise l'ingrandimento al massimo.
Molto tempo prima aveva visto un documentario, vecchio di due secoli, che mostrava le prime guerre aeree: ricordò improvvisamente uno spezzone incentrato su un attacco notturno a Londra. Un bombardiere nemico era stato individuato dal cono di luce dei proiettori, ed era rimasto immobile, come una pagliuzza incandescente, in cielo. Adesso stava osservando lo stesso fenomeno, su una scala centinaia di volte più grande; però questa volta tutte le risorse di chi si trovava al suolo erano tese ad aiutare, non a distruggere, quell'invasore notturno.
49
Un viaggio scomodo
La voce di Warren Kingsley si era ricomposta. Adesso sembrava semplicemente monocorde e disperata.
— Stiamo cercando di impedire a quel tecnico di spararsi — disse. — Però non bisogna prendersela con lui. Lo hanno interrotto per un altro lavoro d'urgenza sulla capsula, e si è semplicemente dimenticato di togliere le cinghie di sicurezza.
Per cui, come al solito, si trattava di un errore umano. Mentre gli esplosivi venivano collegati, la batteria era tenuta ferma da due cinghie di metallo. E soltanto una era stata tolta… Cose del genere succedevano con monotona regolarità; a volte creavano un semplice impiccio, a volte un vero disastro, e l'uomo che ne era responsabile doveva sopportare il senso di colpa per il resto dei suoi giorni. In ogni caso, era inutile recriminare. Adesso importava solo capire cosa fare.
Morgan regolò lo specchio esterno alla massima inclinazione possibile, ma non riuscì a vedere la causa del disastro. Adesso che l'aurora boreale era svanita la parte inferiore della capsula era immersa nell'oscurità totale, e lui non aveva modo d'illuminarla. Però quel problema, almeno, era di facile soluzione. Se il Controllo Monsoni riusciva a inviare qualche kilowatt di infrarossi alle fondamenta della Torre, non gli sarebbe stato difficile proiettare lì una minima quantità di fotoni per la visibilità.
— Possiamo usare i nostri riflettori — disse Kingsley, quando Morgan gli trasmise la richiesta.
— No. Mi arriverebbero direttamente negli occhi e non riuscirei a vedere niente. Voglio un'illuminazione sopra e sotto. Ci sarà pure qualcuno nella posizione esatta.
— Controllerò — rispose Kingsley, lieto di fare qualcosa di utile. A Morgan sembrò che passasse un tempo infinito prima della sua chiamata; però, controllando il cronometro, fu sorpreso di vedere che erano trascorsi solo tre minuti.
— Il Controllo Monsoni potrebbe farcela, però dovrebbero regolare di nuovo e defocalizzare gli strumenti. Credo che abbiano paura di arrostirti. Però Kinte può fornirti subito l'illuminazione: hanno un laser allo pseudobianco, e si trovano nella posizione giusta. Devo farli partire?
Morgan controllò la propria posizione: Kinte era a ovest, molto più in alto… Andava benissimo.
— Sono pronto — rispose, e chiuse gli occhi.
La capsula fu inondata di luce quasi all'istante. Con cautela estrema Morgan riaprì gli occhi. Il raggio giungeva da una posizione più alta della sua, a ovest, ed era ancora accecante nonostante avesse percorso quarantamila chilometri. Sembrava d'un bianco immacolato, ma, come lui sapeva, in realtà si trattava del risultato comune di tre linee perfettamente nella zona rossa, verde e blu dello spettro.
Manovrò per qualche secondo lo specchio e riuscì a vedere chiaramente la cinghia colpevole di tutto, a mezzo metro sotto i suoi piedi. L'estremità della cinghia che poteva vedere era fissata alla base del Ragno da un grande dado ad alette; non doveva fare altro che svitarlo, e la batteria si sarebbe staccata…
Morgan restò ad analizzare in silenzio la situazione per così tanti minuti che Kingsley lo richiamò. Per la prima volta, nella sua voce disperata comparve un filo di speranza.
— Abbiamo fatto qualche calcolo, Van… Che ne pensi di questa idea?
Morgan lo ascoltò, poi emise un fischio. — Siete certi del margine di sicurezza? — chiese.
— Naturalmente — rispose Kingsley, un po' offeso: era raro che Morgan lo riprendesse, ma non era "lui" che avrebbe rischiato l'osso del collo.