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— Adesso sei tu troppo rigida, Maxine. Personalmente preferisco il nome "elevatore spaziale". E per quanto riguarda l'iperfilamento ti sbagli. È il risultato di duecento anni di ricerche aerospaziali. Il fatto che il prodotto finale si sia concretizzato nella divisione "Terra" della mia… ah… organizzazione è irrilevante, anche se ovviamente sono fiero che lo abbiano inventato i miei scienziati.

— Ritenete che l'intero progetto debba essere trasmesso alla divisione "Spazio"?

— Quale progetto? Si tratta solo di uno studio tecnico, come alla TCC se ne fanno a centinaia. Io non sento mai parlare di questi studi, e non voglio sentirne parlare finché non arrivano al punto in cui è necessario prendere una decisione definitiva.

— E per la Torre non è il caso?

— Decisamente no. I miei esperti di traffico spaziale affermano di poter tenere sotto controllo tutti gli aumenti previsti di traffico, almeno per il prossimo futuro.

— Il che significa, esattamente?

— Altri vent'anni.

— E poi cosa succederà? Secondo il dottor Morgan ci vorranno proprio vent'anni per costruire la Torre. E se non fosse pronta in tempo?

— Avremo qualcosa d'altro. I miei uomini stanno studiando tutte le possibilità, e non è affatto certo che l'elevatore spaziale sia la risposta giusta.

— L'idea, comunque, è fondamentalmente esatta?

— Sembra di sì, ma saranno necessari altri studi.

— Quindi dovreste essere riconoscente al dottor Morgan per il suo lavoro iniziale.

— Ho il massimo rispetto per il dottor Morgan. È uno dei più brillanti ingegneri della mia organizzazione, se non del mondo intero.

— Non credo, senatore, che ciò risponda alla mia domanda.

— D'accordo. Sono grato al dottor Morgan per aver portato quest'argomento alla nostra attenzione. Ma non approvo il modo in cui l'ha fatto. Se così posso esprimermi, ha cercato di forzarmi la mano.

— Come?

— Rivolgendosi all'esterno della mia… della sua, organizzazione, dimostrando mancanza di lealtà. Come risultato delle sue manovre è giunta una decisione negativa della Corte Mondiale, che ha inevitabilmente provocato molti commenti sfavorevoli. Date le circostanze, non ho altra scelta che chiedergli, con tutto il rimpianto, di presentare le dimissioni.

— Grazie, senatore Collins. È stato un piacere parlare con voi, come sempre.

— Dolcissima bugiarda — disse Rajasinghe, spegnendo la registrazione e rispondendo alla chiamata che aspettava da un minuto.

— Hai visto tutto? — chiese il professor Sarath. — È la fine del dottor Vannevar Morgan.

Rajasinghe guardò intensamente il suo vecchio amico per qualche secondo.

— Ti è sempre piaciuto balzare alle conclusioni, Paul. Quanto vuoi scommettere?

PARTE TERZA

La campana

22

L'apostata

Condotto alla disperazione dagli sforzi vani per comprendere l'Universo, il saggio Devadas, esasperato, annunciò infine:

OGNI FRASE CHE CONTENGA LA PAROLA DIO È FALSA.

All'istante, il discepolo che meno amava, Somasiri, replicò: — La frase che sto pronunciando contiene la parola Dio. Non riesco a vedere, o Nobile Maestro, come questa semplice frase possa essere falsa.

Devadas considerò la questione per diversi Poya. Poi rispose, questa volta con apparente soddisfazione:

SOLO LE FRASI CHE "NON" CONTENGONO LA PAROLA DIO POSSONO ESSERE VERE.

Dopo una pausa appena sufficiente a una mangusta affamata per ingoiare un seme di miglio, Somasiri replicò: — Se questa frase si applica a se stessa, o Venerabile, non può essere vera, poiché contiene la parola Dio. Ma se "non" è vera…

A questo punto Devadas ruppe la sua ciotola per la carità sulla testa di Somasiri, e deve quindi essere onorato come vero fondatore dello Zen.

(Da un frammento del "Culavamsa", non ancora scoperto).

Nel tardo pomeriggio, quando sulla scalinata non si abbatteva più tutta la furia del sole, il Venerabile Parakarma iniziò la discesa. Al cadere della notte avrebbe raggiunto la casa di ristoro per i pellegrini più elevata; e per il giorno seguente sarebbe tornato nel mondo degli uomini.

Il Maha Thero non l'aveva esortato né scoraggiato, e se la partenza del suo collega lo angustiò non lo diede a vedere. Aveva solo intonato: — Ogni cosa è transitoria. — Aveva giunto le mani e lo aveva benedetto.

Il Venerabile Parakarma, che un tempo era stato il dottor Goldberg e che forse lo sarebbe diventato di nuovo, avrebbe trovato estremamente difficile spiegare tutti i suoi motivi. "L'azione giusta" è facile da intuire, ma non da spiegare.

Al Maha Vihara di Sri Kanda aveva trovato la pace, ma non era sufficiente. Data la sua educazione scientifica, non gli andava più d'accettare l'atteggiamento ambiguo dell'Oriente nei confronti di Dio. La loro indifferenza gli sembrava ormai peggiore di un ateismo deciso.

Se esistesse una cosa come il genere rabbinico, il dottor Goldberg l'avrebbe posseduto. Seguendo le impronte di molti uomini, Goldberg-Parakarma aveva cercato Dio con l'aiuto della matematica, incoraggiato anche dalla granata che Kurt Godei, con la scoperta delle proposizioni indecidibili, aveva fatto esplodere all'inizio del ventesimo secolo. Non riusciva a capire come qualcuno potesse contemplare l'asimmetria dinamica della formula di Eulero, profonda eppure meravigliosamente semplice:

eπi+1=0

senza chiedersi se l'universo non fosse la creazione di un'intelligenza enorme.

La prima fama gli era giunta con una nuova teoria cosmologica che era sopravvissuta quasi dieci anni prima di essere respinta. Goldberg era stato acclamato come un nuovo Einstein o N'goya. In un'epoca di ultraspecializzazione, era persino riuscito a fare considerevoli progressi nell'aerodinamica e idrodinamica, da tempo considerate incapaci di produrre altre sorprese.

Poi, nel pieno della forza intellettuale, aveva conosciuto una conversione religiosa non troppo diversa da quella di Pascal, anche se meno compiaciuta. Per i dieci anni successivi si era accontentato di perdersi nell'anonimato d'una tunica color zafferano, puntando il suo cervello brillante su questioni di dottrina e filosofia. Non rimpiangeva quell'intermezzo, e non era nemmeno sicuro di aver abbandonato l'Ordine: un giorno, forse, quella grande scalinata lo avrebbe rivisto. Ma i suoi talenti, regalati da Dio, reclamavano le proprie ragioni. C'era un lavoro enorme da fare, e gli servivano strumenti che non poteva trovare a Sri Kanda, e nemmeno, a dire il vero, su tutta la Terra.

Provava pochissima ostilità, ormai, per Vannevar Morgan. Senza saperlo, l'ingegnere aveva acceso la scintilla; con tutta la sua stupidità, era anche lui un messo di Dio. Però il tempio doveva essere protetto a ogni costo. Che la Ruota del Fato lo facesse o non lo facesse tornare a quella tranquillità, Parakarma era implacabilmente deciso a difenderlo.

E così, come un nuovo Mosè che riportasse dalla montagna leggi che avrebbero mutato i destini dell'umanità, il Venerabile Parakarma discese a quel mondo cui un tempo aveva rinunciato. Era cieco alle bellezze della terra e del cielo che gli stava attorno; poiché esse erano assolutamente banali a paragone di quelle che lui solo poteva vedere, nell'esercito di equazioni che gli marciava in mente.

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