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Il Ragno era già a pieno carico, sollevato in alto da un argano in modo da poter sistemare al disotto la batteria in più. I meccanici stavano ancora procedendo agli ultimi ritocchi, disinserivano cavi isolanti. L'intreccio di fili stesi a terra poteva rappresentare un pericolo per chi non fosse abituato a camminare in tuta spaziale.

La flexituta di Morgan era arrivata da Gagarin solo trenta minuti prima, e per un po' lui aveva seriamente preso in considerazione l'idea di partire senza. Il Ragno II era un veicolo molto più sofisticato del semplice prototipo su cui aveva viaggiato Maxine Duval; praticamente era come una minuscola nave spaziale, dotata d'un suo sistema di sopravvivenza. Se tutto procedeva bene, Morgan sarebbe riuscito ad agganciarsi col portello alla base della Torre, progettato anni addietro proprio a quello scopo. Ma la tuta non era solo una garanzia di sicurezza in caso di problemi d'ancoraggio; gli permetteva anche una libertà d'azione enormemente maggiore. Quasi aderente, la flexituta assomigliava pochissimo alle goffe tute dei primi astronauti; e, anche pressurizzata, non avrebbe affatto limitato i suoi movimenti. Una volta aveva assistito a una dimostrazione di acrobazie in flexituta, organizzata dalla ditta che le produceva e culminata in un duello e in un balletto aerei. Il balletto era un po' ridicolo, ma dava pienamente ragione ai vanti di chi l'aveva progettata.

Morgan salì i pochi scalini, si fermò un attimo sulla sottile piattaforma metallica della capsula, poi entrò con cautela. Sedette, allacciò la cintura di sicurezza, e restò piacevolmente sorpreso del molto spazio disponibile. Il Ragno II era indubbiamente un veicolo per un solo uomo, ma non dava il senso di claustrofobia che lui temeva, nemmeno con tutto il carico extra che conteneva.

I due cilindri d'ossigeno erano stati riposti sotto il sedile, e le maschere anti-CO2 si trovavano in una scatola dietro la scaletta che conduceva al portello superiore. Era sorprendente che quelle poche cose potessero significare la vita per così tante persone.

Morgan s'era portato un oggetto personale, un ricordo di quel giorno a Yakkagala, tanto tempo prima, quando in un certo senso era cominciato tutto. La filiera occupava pochissimo spazio, e pesava solo un chilo. Col passare degli anni, per lui era diventata una specie di talismano: era ancora uno dei metodi migliori per illustrare le proprietà dell'iperfilamento, e ogni volta che se la dimenticava finiva con lo scoprire che gli sarebbe servita. E in quell'occasione, fra tutte le occasioni possibili, poteva dimostrarsi utile.

Allacciò il cordone ombelicale, a sganciamento rapido, della tuta e controllò il flusso dell'aria sia all'esterno che all'interno. Fuori, i cavi di alimentazione erano stati scollegati. Il Ragno era abbandonato a se stesso.

È raro che in momenti del genere si riesca a pronunciare discorsi brillanti; e, dopo tutto, quella era un'operazione semplicissima. Morgan sorrise piuttosto affettatamente a Kingsley e disse: — Tieni d'occhio i magazzini, Warren, finché non torno. — Poi notò la piccola, solitaria figura persa nella folla che circondava la capsula. "Mio Dio" pensò "mi ero quasi scordato del ragazzo…" — Dev — disse — scusa se non ho potuto occuparmi di te. Ti ripagherò di tutto quando torno indietro.

"E sarà proprio così" si disse. Appena finita la Torre, avrebbe trovato il tempo per tutto, anche per i rapporti umani che aveva tanto trascurato. Valeva la pena di tenere d'occhio Dev: un ragazzo che sapeva quando non essere d'impiccio era eccezionalmente promettente.

Il portello curvo della capsula, che nella metà superiore era di plastica trasparente, si chiuse piano. Morgan schiacciò il pulsante di CONTROLLO, e ad una ad una apparvero sullo schermo le cifre vitali relative al Ragno. Erano tutte verdi; non era necessario studiarle. Se un qualsiasi fattore fosse andato oltre il valore nominale, la cifra avrebbe lampeggiato in rosso due volte al secondo. Comunque, usando la cautela a lui consueta, Morgan osservò che l'ossigeno era al 102 per cento, la batteria principale al 101 per cento di carica, la batteria secondaria al 105 per cento…

La voce calma, tranquilla del controllore di volo (lo stesso esperto imbattibile che aveva presieduto a tutte le operazioni sin dal primo tentativo fallito di qualche anno prima) gli risuonò all'orecchio. — Tutti i sistemi nominali. Comando vostro.

— Comando mio. Aspetto il prossimo minuto.

Era difficile immaginare qualcosa di più diverso dal lancio di un missile primitivo: allora c'era un elaborato conto alla rovescia, un calcolo preciso dei secondi, rumori e agitazione. Morgan si limitò ad aspettare che gli ultimi due digitali del cronometro si azzerassero, poi diede il minimo di spinta.

Dolcemente, silenziosamente, la cima della montagna illuminata dai riflettori scivolò sotto di lui. Nemmeno un decollo in pallone poteva essere più calmo. Se ascoltava attentamente riusciva a sentire il ronzio dei due motori che muovevano le grandi ruote a frizione lungo il nastro, sia al di sopra che al di sotto della capsula.

Il tachimetro diceva che la velocità di salita era di cinque metri al secondo. Gradualmente, senza sbalzi improvvisi, Morgan aumentò la spinta fino ad arrivare a cinquanta metri al secondo, poco meno di duecento chilometri l'ora. Quella velocità consentiva il massimo d'efficienza al Ragno a pieno carico. Una volta scaricata la batteria ausiliaria, poteva aumentarla del venticinque per cento, arrivando fino a duecentocinquanta chilometri orari.

— Di' qualcosa, Van! — esclamò la voce divertita di Warren Kingsley dal mondo sotto di lui.

— Lasciami in pace — rispose Morgan. — Nelle prossime due ore voglio rilassarmi e godermi il panorama. Se volevate un bel commento parlato dovevate far partire Maxine Duval.

— È un'ora che ti sta chiamando.

— Porgile il mio affetto e dille che ho da fare. Magari, quando arrivo alla Torre… Quali sono le ultime novità da lassù?

— La temperatura si è stabilizzata a venti gradi. Il Controllo Monsoni invia una modesta quantità di megawatt ogni dieci minuti. Però il professor Sessui è furioso. Dice che il laser sconvolge i suoi strumenti.

— E l'aria?

— Lì non andiamo troppo bene. La pressione si è abbassata, e il CO2 si sta accumulando. Però non dovrebbe succedere niente se tu arrivi nel tempo previsto. Stanno attenti a non compiere movimenti inutili, per risparmiare ossigeno.

"Tranne il professor Sessui, ci scommetto" pensò Morgan. Sarebbe stato interessante conoscere l'uomo al quale stava tentando di salvare la vita. Aveva letto parecchi dei suoi trattati di divulgazione scientifica, celeberrimi, e li considerava fioriti e ridondanti. Aveva il sospetto che il professore presentasse le stesse caratteristiche.

— E la situazione alla Dieci C?

— Mancano ancora due ore alla partenza della capsula. Stanno installando dei circuiti speciali per assicurarsi che niente prenda fuoco in questo viaggio.

— Un'ottima idea. È di Bartok, immagino.

— Probabilmente. E scenderanno sul binario nord, nel caso che quello sud sia rimasto danneggiato dall'esplosione. Se va tutto bene, arriveranno alle fondamenta entro… oh… ventun ore. Tempo perfetto. Non credo che avremo bisogno di rimandare su il Ragno con un altro carico.

Nonostante la frase semischerzosa indirizzata prima a Kingsley, Morgan sapeva che era troppo presto per cominciare a rilassarsi. Eppure sembrava che tutto andasse al meglio possibile; e, di certo, nelle tre ore successive non poteva fare altro che ammirare il paesaggio in continua espansione.

Era già a un'altezza di trenta chilometri, saliva veloce e silenzioso nella notte tropicale. Non c'era luna, ma il paesaggio sotto di lui era svelato dalle costellazioni chiare di città e villaggi. Se guardava le stelle in alto e le stelle in basso, Morgan riusciva facilmente a immaginare di trovarsi lontano da qualsiasi mondo, perso nelle profondità dello spazio. Presto riuscì a scorgere l'intera isola di Taprobane, debolmente delimitata dalle luci degli insediamenti costieri. Molto a nord, una macchia di luminosità debole avanzava lungo l'orizzonte come ad annunciare un'alba prematura. Lo lasciò perplesso per un attimo, poi capì che stava vedendo una delle grandi città dell'Indostan del sud.

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