Mio padre ci dice di alzare le mani. «Dio è grande» dice e noi rispondiamo: «Dio è grande». Perfino io so che "Islam" significa sottomissione alla misericordia di Allah.
All’ultimo istante vedo le braci nel cielo, le navi della Pax che vanno da est a ovest tagliando lo zenit, altissime.
«Dio è grande!» grida mio padre.
Sento gli spari.
«Aenea, non so cosa significano queste cose.»
«Raul, non significano, esistono.»
«Sono reali?»
«Reali come può esserlo qualsiasi ricordo, mio caro.»
«Ma come posso sentire le voci… tante voci… appena… con la mente tocco una… questi sono ricordi più forti dei miei, più chiari.»
«Nondimeno sono ricordi, amore.»
«Dei morti…»
«Sì, dei morti.»
«Apprendere il linguaggio dei…»
«In molti modi dobbiamo apprendere il loro linguaggio, Raul. La loro lingua — inglese, yiddish, polacco, parsi, tamal, greco, cinese mandarino — ma anche il loro cuore. L’anima della loro memoria.»
«Sono voci di spettri, Aenea?»
«Non ci sono spettri, amore. La morte è definitiva. L’anima è quell’ineffabile combinazione di memoria e di personalità che portiamo con noi durante la vita; quando la vita se ne va, anche l’anima muore. A parte ciò che lasciamo nel ricordo di coloro che ci hanno amato.»
«E questi ricordi…»
«Risuonano nel Vuoto che lega.»
«Come? Tutti quei miliardi di vite…»
«E migliaia di specie e miliardi di anni, amore mio. Alcuni ricordi di tua madre… e di mia madre… sono qui, ma ci sono anche le impressioni di vita di esseri lontanissimi da noi nello spazio e nel tempo.»
«Posso toccare anche loro, Aenea?»
«Forse. Col tempo e con la pratica. Io ho impiegato anni a capirli. Perfino le impressioni sensoriali di forme di vita dall’evoluzione così diversa sono difficili da capire, figuriamoci i pensieri, i ricordi, le emozioni.»
«Ma tu ci sei riuscita?»
«Ho tentato.»
«Forme di vita aliene come i Seneschai Aluit o gli Akerataeli?»
«Molto più aliene, Raul. I Seneschai vissero per generazioni nascosti su Hebron in prossimità dei coloni umani. E sono empatici, le emozioni sono il loro linguaggio primario. Gli Akerataeli sono del tutto diversi da noi, ma non così diversi dalle entità del Nucleo che mio padre andò a trovare.»
«La testa mi duole, ragazzina. Puoi aiutarmi a fermare queste voci e queste immagini?»
«Posso aiutarti a quietarle, amore. Non si fermeranno mai realmente, finché vivremo. È la benedizione e il fardello della comunione col mio sangue. Ma prima di mostrarti come quietarle, ascolta ancora qualche minuto. È quasi il momento del volgersi delle foglie e del sorgere del sole.»
Mi chiamavo Lenar Hoyt, prete, ma ora sono papa Urbano XVI e celebro la messa di risurrezione per il cardinale John Domenico Mustafa, nella basilica di San Pietro, alla presenza di oltre cinquecento fra i più importanti fedeli del Vaticano.
In piedi davanti all’altare, a mani protese, leggo dalla Preghiera dei fedeli:
Invochiamo con fede Dio nostro padre onnipotente
che richiamò dai morti Cristo suo figlio
per la salvezza di tutti.
Il cardinale Lourdusamy, che per questa messa mi fa da diacono, intona:
Possa Egli riportare nella perpetua compagnia dei fedeli,
questo cardinale deceduto, John Domenico Mustafa
che un tempo ricevette col battesimo il seme della vita eterna.
Preghiamo il Signore.
Possa egli, che esercitò in vita l’ufficio episcopale
nella Chiesa e nel Sant’Uffizio,
servire di nuovo Dio, nella sua vita rinnovata.
Preghiamo il Signore.
Possa Egli dare all’anima dei nostri fratelli, sorelle, parenti
e benefattori
la ricompensa per le loro fatiche.
Preghiamo il Signore.
Possa Egli accogliere nella luce del suo sostegno
tutti coloro che dormono in attesa della risurrezione
e garantire loro la risurrezione
affinché possano meglio servirlo.
Preghiamo il Signore.
Possa Egli assistere e benevolmente consolare
i nostri fratelli e sorelle che patiscono dolore
per gli attacchi dei senza Dio
e la derisione di chi è caduto.
Preghiamo il Signore.
Possa Egli un giorno chiamare nel suo glorioso regno
tutti gli uomini qui riuniti in fede e preghiera
e dare a noi come ricompensa lo stesso dono benedetto
della risurrezione temporale nel nome di Cristo.
Preghiamo il Signore.
Ora, mentre il coro canta l’antifona dell’Offertorio e i fedeli si inginocchiano nel silenzio pieno d’echi in attesa della sacra eucaristia, giro le spalle all’altare e dico:
«Ricevi, Signore, questi doni che ti offriamo in nome del tuo servo, cardinale John Domenico Mustafa; Tu hai dato la ricompensa dell’alta carica sacerdotale in questo mondo; possa egli essere brevemente unito alla compagnia dei tuoi santi nel regno dei cieli e tornare a noi tramite il tuo sacramento di risurrezione. Per Cristo Nostro Signore.»
I fedeli rispondono all’unisono:
«Amen.»
Mi avvicino alla bara e culla di risurrezione del cardinale Mustafa accanto all’altare dell’eucaristia, la aspergo con acqua santa e recito:
Padre, onnipotente e sempiterno Dio,
facciamo bene sempre e ovunque a renderti grazie
per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
In lui, che risorse dai morti,
albeggiò la nostra speranza di risurrezione.
La tristezza della morte lascia posto
alla luminosa promessa d’immortalità.
Signore, per il tuo popolo fedele la vita è cambiata e rinnovata, non finita.
Quando il corpo della nostra dimora terrena giace nella morte
confidiamo che la tua misericordia e il tuo miracolo lo rinnovino a noi.
E così, con tutti i cori di angeli in Cielo
proclamiamo la tua gloria
e ci uniamo al loro eterno inno di lode.
Il grande organo della basilica tuona, mentre il coro comincia subito a cantare il Sanctus:
Santo, santo, santo è il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell’alto dei cieli,
Benedetto è colui che viene nel nome del Signore.
Osanna nell’alto dei cieli.
Dopo la comunione, terminata la messa e usciti i fedeli, vado lentamente nella sacrestia. Sono triste, il cuore mi duole, alla lettera. La cardiopatia è peggiorata ancora, mi intasa le arterie, mi rende doloroso ogni passo, ogni parola. Penso: "Non devo parlarne a Lourdusamy".
Proprio quel cardinale compare, mentre accoliti e chierichetti mi aiutano a svestire i paramenti.