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All’arrivo su T’ien Shan, le Montagne del cielo, ero confuso e un po’ depresso, lo ammetto.

Dormii in crio-fuga per tre mesi e due settimane. Avevo sempre pensato che in animazione sospesa non si sognasse, ma mi sbagliavo. Per gran parte del viaggio ebbi incubi e mi svegliai disorientato e apprensivo.

Il punto di traslazione del nostro sistema solare di partenza si trovava a una distanza di appena diciassette ore dal pianeta; ma nel sistema di T’ien Shan emergemmo dalla velocità C-più in un punto al di là dell’ultimo pianeta ghiacciato del sistema e fummo obbligati a decelerare per tre giorni interi. Camminai nei diversi ponti della nave, su e giù per la scala a chiocciola, perfino nella piccola loggia che avevo ordinato alla nave di estrudere. Dissi a me stesso che si trattava di allenamento per il pieno ricupero della gamba (mi faceva ancora male, anche se la nave aveva dichiarato che il medibox l’aveva guarita e che non mi avrebbe dato fastidio) ma in realtà cercavo solo di dissipare energia nervosa. Non ero mai stato così ansioso in vita mia, ne sono sicuro.

La nave voleva parlarmi di quel sistema stellare nei minimi (e penosi) particolari: stella gialla tipo G, bla, bla, bla (be’, lo vedevo da me!), undici pianeti, tre giganti gassosi, due fasce di asteroidi, alta percentuale di comete nella parte interna del sistema, bla, bla, bla. A me interessava solo T’ien Shan. Mi sedetti nel pozzetto olografico e guardai crescere il pianeta. T’ien Shan era sorprendentemente luminoso. Abbagliante. Una vivida perla contro il nero dello spazio.

"Ciò che vede è lo strato di nubi inferiore e permanente" continuò in tono monotono la nave. "L’albedo è notevole. Ma ci sono nuvole più alte. Vede quei turbini tempestosi nella parte inferiore destra dell’emisfero illuminato? Quegli alti cirri che provocano ombre nelle vicinanze della calotta polare artica? Sono le nuvole che portano maltempo agli abitanti umani."

«Dove sono le montagne?» domandai.

"Qui" rispose la nave e cerchiò un’ombra grigia nell’emisfero nord. "Secondo le mie vecchie mappe, quello è un grande picco nella parte settentrionale dell’emisfero orientale, Chomo Lori, "Regina di neve". Vede quelle striature che corrono verso sud? Vede come rimangono ravvicinate finché non passano l’equatore e come poi si distanziano sempre più l’una dall’altra fino a scomparire nelle masse di nubi del polo antartico? Quelle sono le due creste dorsali, la cresta Phari e la cresta K’un Lun. Furono le prime linee rocciose abitate del pianeta e sono un ottimo esempio del primo, violento sollevamento cretaceo dakotano che formò il…"

Bla, bla, bla. E io riuscivo a pensare solo a Aenea, Aenea, Aenea.

Era strano entrare in un sistema solare e non trovare navi della Flotta della Pax che ci dessero l’altolà, né difese orbitali, né basi lunari — nemmeno una base su quel gigantesco occhio di bue della luna più grande, una liscia sfera arancione con un solo, enorme cratere d’impatto, come se l’avessero colpita con un unico proiettile — né traccia di scie di propulsione Hawking né di emissioni di neutrini né di campi lenticolari gravitazionali né di aree pulite di navette automatiche Bussard: nessun segno di tecnologia superiore. La nave disse che da certe zone del pianeta proveniva un rivolo di trasmissioni a microonde; una volta intercettate, risultarono in cinese pre-Egira. Per me fu una vera sorpresa. Non ero mai stato in un pianeta dove la maggioranza degli esseri umani non parlasse una versione dell’inglese della Rete.

La nave entrò in orbita geosincrona sopra l’emisfero orientale. "Le sue istruzioni erano di cercare il picco Heng Shan, che dovrebbe trovarsi a circa seicentocinquanta chilometri a sudest del Chomo Lori… Eccolo là!" La veduta telescopica nel pozzetto olografico zumò in avanti su un magnifico dente di neve e di ghiaccio che attraversava almeno tre strati di nuvole e la cui cima luccicava, chiara e brillante, sopra gran parte dell’atmosfera.

«Cristo!» mormorai. «E dov’è il Hsuan-k’ung Ssu? Il Tempio a mezz’aria?»

"Dovrebbe essere… là!" rispose, trionfante, la nave.

Guardavamo direttamente in giù lungo una cresta verticale di ghiaccio, neve e roccia grigia. Banchi di nuvole si arrostivano al sole, alla base dell’incredibile lastrone. Anche solo a guardarlo in ologramma, mi sentii girare la testa per le vertigini e mi aggrappai ai cuscini della cuccetta.

«Là, dove?» Non vedevo alcun edificio.

"Quel triangolo scuro" disse la nave e cerchiò una zona che pensavo fosse un’ombra sul lastrone di roccia grigia. "E questa linea… qui."

«Qual è l’ingrandimento?»

"Il triangolo misura all’incirca uno virgola due metri lungo il lato maggiore" disse la voce che avevo imparato dal comlog a conoscere così bene.

«Un edificio molto piccolo perché ci vivano delle persone.»

"No, no. Quello è solo un pezzetto di edificio costruito dall’uomo, che sporge da quello che di sicuro è uno strapiombo roccioso. Oserei presumere che l’intero cosiddetto Tempio a mezz’aria si trovi sotto lo strapiombo. In quel punto la roccia non è verticale, si inclina di sessanta o ottanta metri verso l’esterno."

«Puoi fornire una veduta laterale? Così posso vedere il tempio?» "Potrei" disse la nave. "Dovrei cambiare posizione in un’orbita più settentrionale, così potrei usare il telescopio per guardare a sud oltre il picco Heng Shan e passare all’infrarosso per guardare attraverso la massa di nubi a ottomila metri che al momento si muove fra il picco e lo sperone della cresta dove è costruito il tempio. Dovrei anche…"

«Lascia perdere. Tieni sotto controllo radio la zona del tempio, no, diavolo, l’intera cresta, e vedi se Aenea ci aspetta.»

"Quale frequenza?" domandò la nave.

Aenea non aveva parlato di frequenze. Aveva solo accennato al fatto che un atterraggio vero e proprio era impossibile, ma che dovevamo scendere comunque al Hsuan-k’ung Ssu. Guardando quella parete verticale, anzi peggio che verticale, di neve e di ghiaccio, cominciai a capire che cosa avesse voluto dire.

«Trasmetti su qualsiasi frequenza comune avresti usato per chiamare una estensione comlog» dissi. «Se non c’è risposta, cambia tutte le frequenze di cui disponi. Potresti usare le frequenze che hai già intercettato poco fa.»

"Provenivano dal quadrante inferiore dell’emisfero occidentale" disse la nave, in tono paziente. "Non ho intercettato emanazioni di microonde in questo emisfero."

«Per favore, fai come ti ho detto.»

Restammo librati lì per un’ora a spazzare la cresta con trasmissioni a raggio compatto e poi a lanciare generici segnali radio verso tutti i picchi della zona, poi a inondare con brevi chiamate tutto l’emisfero. Non ci fu risposta.

«Possibile che esista davvero un pianeta abitato dove nessuno usa la radio?»

"Naturalmente" disse la nave. "Su Ixion è contro la legge locale e contro le consuetudini usare trasmissioni a microonde di qualsiasi genere. Su Nuova Terra c’era un gruppo che…"

«Va bene, va bene» la interruppi. Per la millesima volta mi domandai se ci fosse un modo di riprogrammare l’intelligenza autonoma della nave in modo che non fosse una simile rottura di palle. «Scendiamo.»

"In quale località? Ci sono estese zone abitate su quell’alto picco a est — la mia mappa lo indica come monte T’ai Shan — e un’altra città a sud, sulla cresta K’un Lun, che si chiama Hsi wang-mu mi pare, e altre abitazioni lungo la cresta Phari e a ovest di lì in una zona segnata come Koko Nor. Inoltre…"

«Scendiamo sul Tempio a mezz’aria» tagliai corto.

Per fortuna il campo magnetico del pianeta era più che sufficiente per i repulsori EM della nave, perciò attraversammo lentamente l’atmosfera, anziché scendere su una coda di fiamme di fusione. Uscii sulla loggia per ammirare lo spettacolo, anche se il pozzetto olografico o gli schermi nella camera da letto in cima alla nave sarebbero stati più pratici.

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