Литмир - Электронная Библиотека
A
A

19

Il Dalai Lama ha solo otto anni standard. Già lo sapevo — più di una volta Aenea e A. Bettik e Theo e Rachel hanno accennato alla sua età — ma quando vedo il bambino seduto sull’alto trono imbottito, rimango ugualmente sorpreso.

Nell’immensa sala di ricevimento ci saranno tre o quattromila persone. Varie scale mobili scaricano simultaneamente ospiti in un’anticamera delle dimensioni di un hangar per veicoli spaziali: colonne dorate si alzano fino al soffitto affrescato venti metri sopra di noi, il pavimento è di piastrelle blu e bianche, intarsiato con scene tratte dal Bardo Thodrol, il Libro dei morti tibetano, e ispirate alla grande migrazione di navi seminatrici con i buddhisti della Vecchia Terra, enormi archi dorati danno accesso alla sala di ricevimento; e la sala è ancora più ampia, con un soffitto che è un unico gigantesco lucernario dal quale si vedono chiaramente la massa tumultuosa di nuvole e il bagliore dei lampi e il fianco della montagna illuminato dalle lanterne. I tre o quattromila ospiti risplendono negli abiti sgargianti: seta fluente, lino scolpito, lana drappeggiata e tinta, profusione di piume rosse nere e bianche, acconciature elaborate, raffinati braccialetti, collane, orecchini, diademi e cinture d’argento, ametista, oro, giada, lapislazzuli e decine di altri materiali preziosi. Sparse fra tutta questa splendida eleganza ci sono decine di monaci e di abati in semplice tonaca arancione, oro, giallo, zafferano e rosso, la testa rasata che luccica nella luce proveniente da centinaia di bracieri su tripodi. Eppure la sala è così vasta che quelle poche migliaia di persone ne riempiono a stento una parte: il pavimento a parquet brilla alla luce dei bracieri e ci sono venti metri di spazio tra le prime frange di folla e il trono d’oro.

Mentre le file di ospiti scendono dalle scale mobili nell’anticamera piastrellata, piccoli corni risuonano. I corni sono di ottone e di osso e la fila di monaci che li suonano va dalla scala agli archi d’ingresso: più di cento metri di frastuono costante. Le centinaia di corni tengono una nota per minuti senza fine e poi passano a una nota più bassa, senza segnale da suonatore a suonatore; mentre entriamo nella prima sala di ricevimento (l’anticamera agisce come una gigantesca cassa armonica alle nostre spalle) quelle note basse sono riprese e amplificate da venti corni lunghi quattro metri ai lati del nostro corteo. I monaci che suonano quei mostruosi strumenti stanno in piedi in piccoli recessi delle pareti; i giganteschi corni poggiano su sostegni posti sul pavimento e le estremità svasate si arricciano come fiori di loto di un metro di diametro. In aggiunta a questa continua, bassa serie di note, come una sirena antinebbia di una nave oceanica avvolta nel brontolio di un ghiacciaio, rintocca un enorme gong di almeno cinque metri di diametro, percosso a precisi intervalli. Nell’aria aleggia il profumo dell’incenso che brucia nei bracieri e un lievissimo filo di fumo aromatico si muove sopra le teste ingioiellate e le acconciature degli ospiti e pare vibrare e mutare con il salire e lo scendere delle note dei corni e del gong.

Tutti rivolgono il viso verso il Dalai Lama, il suo seguito e i suoi ospiti. Prendo per mano Aenea e ci spostiamo verso destra, restando molto indietro rispetto alla piattaforma del trono. Costellazioni di ospiti importanti si muovono timidamente tra noi e il trono lontano.

All’improvviso le basse note di corno tacciono. L’ultima vibrazione del gong echeggia e svanisce pian piano. Tutti gli ospiti sono presenti. I servitori chiudono faticosamente alle nostre spalle le grandi porte. Nell’ambiente grandioso e risonante si ode lo scoppiettio delle fiamme negli innumerevoli bracieri. La pioggia ora tamburella l’alto lucernario di cristallo.

Il Dalai Lama, seduto a gambe incrociate su vari cuscini di seta in cima a una piattaforma che lo porta a livello d’occhio degli ospiti in piedi, ha sulle labbra un lieve sorriso. È a testa scoperta, ha il cranio rasato, indossa una semplice tonaca rossa. Alla sua destra, più in basso, in un trono a parte, siede il reggente che governerà, consultandosi con altri sacerdoti d’alto grado, fin quando Sua Santità il Dalai Lama non avrà compiuto il diciottesimo anno. Aenea mi ha parlato del reggente, un certo Reting Tokra, che si dice sia l’incarnazione stessa dell’astuzia, ma dal mio posto, molto lontano, riesco solo a scorgere la solita tonaca rossa e un viso stretto, emaciato, con occhi a mandorla e sottili baffi pendenti.

Alla sinistra di Sua Santità il Dalai Lama c’è il lord camerlengo, abate degli abati. Costui, molto anziano, rivolge un ampio sorriso alle falangi di ospiti. Alla sua sinistra c’è l’Oracolo di Stato, una donna giovane e snella, con un’acconciatura severa e una camicetta di lino giallo sotto la tonaca rossa. Aenea mi ha spiegato che l’Oracolo ha il compito, in stato di trance profonda, di predire il futuro. Alla sinistra della donna, in gran parte nascosti alla mia vista dalle colonne dorate del trono del Dalai Lama, ci sono cinque emissari della Pax: riesco a distinguere un uomo di bassa statura in rosso cardinalizio, tre sagome in tonaca nera e una uniforme militare.

Alla destra del trono del reggente c’è il primo araldo e capo della sicurezza di Sua Santità, il leggendario Carl Linga William Eiheji, arciere zen, acquarellista, maestro di karate, filosofo, ex aviatore ed esperto nell’arte di disporre i fiori. Eiheji pare fatto di molle d’acciaio compresse e avvolte di muscoli. Avanza di un passo e con la sua voce riempie l’immensa sala:

«Onorevoli ospiti, visitatori giunti da altri pianeti, Dugpa, Drukpa, Dungpa, abitanti delle creste più alte, delle nobili fenditure e dei pendii boscosi, Dzasa, onorati ufficiali, Cappelli Rossi e Cappelli Gialli, monaci, abati, novizi getsel, Ko-sa del quarto ordine e oltre, benedetti portatori di su gi, mogli e mariti di persone così onorate, cercatori dell’Illuminazione, ho il piacere di darvi il benvenuto qui stanotte a nome di Sua Santità Getswang Ngwang Lobsang Tengin Gyapso Sisunwangyur Tshungpa Mapai Dhepal Sangpo, il Santo, il Delicato Splendore, Potente nella parola, Puro nella mente, di Divina Saggezza, Ricettacolo della fede, Immenso come l’oceano!»

I piccoli corni d’ottone e d’osso emettono note alte e chiare. I grandi corni muggiscono come dinosauri. Il gong risuona con vibrazioni che ci fanno tremare le ossa e battere i denti.

Il primo araldo Eiheji arretra. Sua Santità prende la parola, con voce da fanciullo, bassa, ma chiara e ferma nell’immensa sala:

«Grazie a tutti per la vostra presenza stanotte. Saluteremo in privato i nostri amici della Pax. Molti di voi hanno chiesto di vedermi: riceveranno la mia benedizione in udienza privata stanotte. Ho chiesto di parlare ad alcuni di voi. Mi incontreranno in udienza privata stanotte. I nostri amici della Pax parleranno con molti di voi stanotte e nei giorni a venire. Parlando con loro, vi prego di ricordare che sono nostri fratelli e sorelle nel Dharma, nella ricerca dell’Illuminazione. Vi prego di ricordare che il nostro alito è il loro alito e che tutti i nostri aliti sono l’alito di Buddha. Grazie. Gradite la nostra festa stanotte.»

A questo punto la piattaforma, con il trono e tutto, scivola senza rumore nella parete, viene nascosta da un tendaggio mobile e poi da un’altra tenda e poi dalla parete; le migliaia di persone nella prima sala di ricevimento lasciano uscire il fiato all’unisono.

La notte fu, come la ricordo io, una combinazione quasi surreale fra un ballo di gala e un ricevimento ufficiale del papa. Non avevo mai visto un ricevimento del papa, naturalmente (il misterioso cardinale sulla piattaforma ora avvolta dai tendaggi era il più alto funzionario della Chiesa da me mai incontrato) ma l’entusiasmo di chi sarebbe stato ricevuto dal Dalai Lama era di sicuro simile a quello di un cristiano che incontrasse il Santo Padre e il grande sfarzo della presentazione era impressionante. Monaci soldati in veste rossa e copricapo rosso o giallo scortarono i pochi fortunati, varcando i tendaggi e poi altri tendaggi e infine la porta nella parete, alla presenza del Dalai Lama, mentre il resto di noi girava e si mescolava nella sala illuminata di torce e spilluzzicava gli eccellenti cibi disposti su lunghi tavoli o perfino danzava alla musica di una piccola banda; niente corni d’osso e d’ottone né mostri di quattro metri, qui. Domandai a Aenea, lo confesso, se aveva voglia di ballare, ma lei sorrise, scosse la testa e guidò il nostro gruppo alla più vicina tavola imbandita. In breve fummo impegnati in conversazione con la Dorje Phamo e alcune sue sacerdotesse.

108
{"b":"121439","o":1}