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E poi mi trovai sotto l’arcata del teleporter: ci fu il lampo e l’istante di vertigine che avevo già provato, una vivida luce mi circondò malgrado la cecità da lampo di flash e il kayak e io precipitammo.

Una vera caduta. Un ruzzolone nello spazio. L’acqua che era stata teleportata con me svanì in una breve cascata e il kayak precipitò liberamente, senza il sostegno dell’acqua, girando su se stesso; preso dal panico, lasciai cadere nell’abitacolo la pistola e mi afferrai allo scafo, facendolo girare ancora più rapidamente.

Battei le palpebre per cancellare gli echi del flash e cercai di vedere quanto avrei dovuto precipitare, mentre il kayak puntava la prua verso il basso e aumentava di velocità.

Cielo azzurro sopra di me. Nuvole tutt’intorno, nuvole enormi, stratocumuli che si alzavano per migliaia di metri e ricadevano per altre migliaia, cirri molti chilometri più in alto, nera nuvolaglia di tempesta molti altri chilometri più in basso.

C’era solo cielo e nel cielo cadevo. Sotto di me, la breve cascata si era separata in gigantesche gocce, come se qualcuno avesse preso un centinaio di secchi d’acqua e li avesse versati in un abisso senza fondo.

Il kayak girò e rischiò di capovolgersi, poppa su prua. Mi spostai in avanti e rischiai di cadere dal kayak, trattenuto solo dalle gambe incrociate e dall’aggancio della falda impermeabile.

Afferrai il bordo dell’abitacolo, in una stretta disperata che mi sbiancò le nocche. Aria fredda mi frustava e rombava intorno a me, mentre il kayak e io aumentavamo velocità, correvamo a precipizio verso la fine. Migliaia e migliaia di metri di aria libera si estendevano fra me e le nuvole striate di fulmini molto più in basso. La pagaia si staccò dalla staffa e precipitò in caduta libera.

Mi comportai nell’unico modo possibile, date le circostanze. Spalancai la bocca e urlai.

11

Kenzo Isozaki poteva dire in tutta onestà di non avere mai avuto paura in vita sua. Allevato come samurai d’affari nelle isole felci di Fuji, fin dall’infanzia era stato educato e addestrato a sdegnare la paura e a disprezzare chiunque la provasse. Si consentiva la prudenza — era divenuta per lui uno strumento indispensabile negli affari — ma non la paura, del tutto estranea al suo carattere e alla sua personalità accuratamente costruita.

Fino a quel momento.

Isozaki arretrò, mentre il portello interno della camera stagna si apriva. La creatura dentro la camera stagna, chiunque fosse, solo un attimo prima si trovava sulla superficie di un asteroide privo di atmosfera, e non indossava una tuta spaziale.

Isozaki aveva deciso di non portare armi sul piccolo grillo degli asteroidi e quindi era disarmato al pari del veicolo spaziale. In quel momento, mentre cristalli di ghiaccio si gonfiavano come nebbia per l’apertura della camera stagna e una figura umanoide varcava il portello, Isozaki si domandò se la sua fosse stata una saggia decisione.

La figura era umana, o almeno umana in apparenza. Pelle abbronzata, capelli grigi ben curati, abito grigio dal taglio perfetto, occhi grigi sotto ciglia ancora incrostate di brina, denti candidi messi in mostra dal sorriso.

«Signor Isozaki» salutò il consigliere Albedo.

Isozaki rispose con un inchino. Aveva ripreso controllo del battito cardiaco e della respirazione; ora si concentrò nel mantenere piatta la voce, neutra e priva d’emozioni. «Sono lieto che abbia avuto la gentilezza di accettare il mio invito.»

Albedo incrociò le braccia. Il sorriso rimase sul suo viso abbronzato e bello, ma Isozaki non ne restò ingannato. I mari intorno alle isole felci di Fuji brulicavano di squali che discendevano dalle chiavi DNA e dagli embrioni congelati delle prime navi seminatrici Brussard.

«Invito?» disse il consigliere Albedo, con la sua voce pastosa. «O convocazione?»

Isozaki rimase con la testa leggermente china, mani lungo i fianchi. «Convocazione, mai, signor…»

«Conosce il mio nome, ritengo» disse Albedo.

«Corre voce che lei sia lo stesso Albedo che fu consigliere di Meina Gladstone quasi tre secoli fa» disse il primo funzionario esecutivo della Pax Mercatoria.

«A quel tempo ero più ologramma che sostanza» replicò Albedo, disincrociando le braccia. «Ma la… personalità… è la medesima. E non occorre che mi chiami signore.»

Isozaki gli rivolse un lieve inchino.

Il consigliere Albedo avanzò nella cabina del grillo. Sfiorò con le dita i quadri comando, l’unica cuccetta di pilotaggio, il bordo della vasca anti-g ormai vuota. «Una nave modesta, per una persona così potente, signor Isozaki.»

«Ho ritenuto fosse meglio usare discrezione, consigliere. Posso chiamarla così?»

Anziché rispondere, con piglio aggressivo Albedo si avvicinò di un passo a Isozaki. Il PFE della Pax Mercatoria non batté ciglio.

«Considera discrezione lanciare nella rozza sfera dati di Pacem un virus telotattista IA per cercare nodi del TecnoNucleo?» La sua voce riempì la cabina del grillo.

Kenzo Isozaki alzò gli occhi e incrociò lo sguardo severo dell’altro. «Sì, consigliere» replicò. «Se il Nucleo esisteva ancora, era di estrema importanza che io, che la Pax Mercatoria, prendesse contatto personale. Il virus telotattista era programmato per autodistruggersi se individuato dai programmi antivirus della Pax e per inocularsi solo se avesse ricevuto una inconfondibile risposta del Nucleo.»

Il consigliere Albedo si mise a ridere. «Il vostro virus telotattista IA era discreto come il metaforico stronzo nella proverbiale coppa da ponce, Isozaki-san.»

Il PFE della Pax Mercatoria batté le palpebre, sorpreso da tanta grossolanità.

Albedo si lasciò cadere nella cuccetta d’accelerazione, si stiracchiò e disse: «Si sieda, amico mio. Si è dato un gran daffare per trovarci. Ha rischiato la tortura, la scomunica, la condanna alla vera morte e la perdita del posto riservato nel parcheggio degli skimmer del Vaticano. Voleva parlare? Parli».

Preso per un attimo in contropiede, Isozaki cercò un’altra superficie su cui sedersi. Si accomodò su una zona sgombra del quadro per i grafici di rotta. Detestava l’assenza di gravità e quindi aveva modificato il rozzo campo di contenimento interno in modo che mantenesse nel grillo un differenziale di 1 g simulato, ma l’effetto era piuttosto discontinuo e lui si sentiva sempre sull’orlo della vertigine. Ora trasse un profondo respiro e raccolse le idee.

«Voi servite il Vaticano…» cominciò.

Albedo lo interruppe subito. «Il Nucleo non serve nessuno, uomo della Pax Mercatoria.»

Isozaki trasse un altro respiro e ricominciò: «I vostri interessi e quelli del Vaticano si sono sovrapposti al punto che il TecnoNucleo fornisce consulenza e tecnologia vitali alla sopravvivenza della Pax…».

Il consigliere Albedo sorrise e aspettò che l’altro proseguisse.

Pensando: "Per ciò che dirò adesso, Sua Santità mi darà in pasto al Grande Inquisitore e sarò sulla ruota della tortura per cento vite", Isozaki disse: «Alcuni di noi nel consiglio esecutivo della Lega pancapitalista delle organizzazioni commerciali transtellari cattoliche indipendenti hanno la sensazione che gli interessi della Lega e quelli del TecnoNucleo abbiamo maggiori punti in comune degli interessi del Nucleo e del Vaticano. Riteniamo che una… indagine di queste mete comuni e di questi interessi vada a beneficio di tutt’e due le parti».

Il consigliere Albedo sorrise, mettendo in mostra la perfetta dentatura, senza fare commenti.

Con l’impressione di sentire intorno al collo la scabrosità del cappio di canapa in cui si infilava da solo, Isozaki disse: «Per quasi tre secoli le autorità civili della Chiesa e della Pax hanno sostenuto ufficialmente che il TecnoNucleo era stato distrutto nella Caduta dei teleporter. Nei pianeti dello spazio della Pax, milioni di persone vicine al potere sono al corrente delle voci riguardanti la sopravvivenza del Nucleo…».

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