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Papa Giulio era già deceduto otto volte. Aveva il cuore in cattive condizioni, ma non permetteva ai medici di rimetterlo in sesto, né con la chirurgia né con la nanoplastica. Era convinto che un papa dovesse vivere la propria vita naturale e che, alla sua morte, bisognasse eleggere un nuovo papa. Lui stesso era stato rieletto otto volte, ma non per questo aveva cambiato opinione.

Ora, mentre gli addetti preparavano il corpo di papa Giulio per la formale esposizione solenne nella camera ardente, prima di portarlo nella cappella privata dietro la basilica di San Pietro e farlo rinascere, i cardinali e i loro sostituti si disponevano all’elezione del nuovo pontefice.

La Cappella Sistina fu chiusa ai turisti e preparata per la votazione che avrebbe avuto luogo dopo meno di tre settimane. Furono approntati antichi stalli a baldacchino per gli ottantatré cardinali che avrebbero presenziato di persona e furono sistemati proiettori olografici e collegamenti interattivi al piano dati per i cardinali che avrebbero votato per procura. Davanti all’altare della cappella fu posto il tavolo per gli scrutatori. Sul tavolo furono sistemate con cura piccole schede, aghi, filo, un contenitore, un piatto, pezzuole di lino e altri oggetti, il tutto coperto con un panno di lino. Il tavolo per gli invalidatori e per i revisori fu posto di fianco all’altare. La porta principale della Cappella Sistina fu chiusa a catenaccio e sigillata. Drappelli di guardie svizzere in uniforme da combattimento e con le armi più moderne presero posto davanti alla porta della cappella e ai battenti a prova d’esplosivo della dipendenza di San Pietro per la risurrezione del papa.

Seguendo l’antico protocollo, l’elezione si sarebbe tenuta entro non meno di quindici giorni e non più di venti. I cardinali che risiedevano su Pacem o nel raggio di tre settimane di debito temporale da quel pianeta, annullarono ogni impegno e si predisposero al conclave. Tutto il resto era in preparazione.

Alcuni uomini grassi considerano la propria mole una debolezza, un segno di indulgenza verso se stessi e di accidia. Altri l’accettano con regalità, come segno esteriore di crescente potere. Il cardinale Simon Augustino Lourdusamy apparteneva a quest’ultima categoria. Gigantesco, una vera montagna scarlatta nell’abito cardinalizio, pareva prossimo ai sessant’anni standard e manteneva quell’aspetto da più di due secoli di vita attiva e di riuscite risurrezioni. Guance cascanti, completa calvizie, propensione a parlare con un pacato brontolio di basso che poteva assurgere a un divino ruggito in grado di riempire la basilica di San Pietro senza bisogno di altoparlante, Lourdusamy rimaneva l’incarnazione della buona salute e della vitalità nel Vaticano. Molti, nella cerchia più ristretta della gerarchia ecclesiastica, attribuivano a Lourdusamy, a quel tempo giovane funzionario della macchina diplomatica vaticana, il merito di avere guidato l’angosciato e tormentato ex pellegrino di Hyperion, padre Lenar Hoyt, alla scoperta del segreto che aveva reso il crucimorfo lo strumento della risurrezione. Attribuivano a lui, tanto quanto al papa appena deceduto, il merito di avere salvato la Chiesa già sull’orlo dell’estinzione.

Vera o no quella leggenda, Lourdusamy era in buona forma, quel primo giorno dopo la nona morte del Santo Padre in carica, a cinque giorni dalla sua risurrezione. Come cardinale segretario di Stato, presidente del comitato supervisore delle dodici Sacre congregazioni e prefetto di quella più temuta ed equivocata, la Sacra congregazione per la dottrina della fede (ora ufficialmente conosciuta di nuovo, dopo un intervallo di più di mille anni, come il Sant’Uffizio dell’Inquisizione universale), era la persona di maggior potere nella Curia pontificia. In quel momento, mentre Sua Santità papa Giulio XIV era solennemente esposto nella basilica di San Pietro, in attesa di essere trasferito, al calar della sera, nella cappella per la risurrezione, il cardinale Simon Augustino Lourdusamy poteva essere ritenuto a ragione il più potente essere umano dell’intera galassia.

Cosa di cui il cardinale era ben consapevole, quel mattino.

«Sono già qui?» rombò Lourdusamy all’uomo che da più di duecento anni si impegnava come suo aiutante e factotum. Monsignor Luca Oddi era tanto magro, ossuto, anziano d’aspetto e scattante, quanto il cardinale Lourdusamy era grasso, opulento, senza età, placido. Il titolo esatto di Oddi in qualità di sottosegretario di Stato del Vaticano era sostituto e segretario della Cifra, ma in genere era noto come il sostituto. "Cifra" sarebbe stato un nomignolo altrettanto valido per l’alto e spigoloso amministratore benedettino, perché in ventidue decenni di abile servizio padre Luca Oddi non aveva lasciato capire a nessuno, neppure allo stesso Lourdusamy, le proprie opinioni ed emozioni. Era stato il braccio forte di Lourdusamy per tanto di quel tempo che il cardinale ormai pensava a lui come a una estensione della sua stessa volontà.

«Si sono appena accomodati nella sala d’attesa interna» rispose monsignor Oddi.

Il cardinale Lourdusamy annuì. Da più di mille anni — da molto tempo prima dell’Egira, quando la specie umana aveva abbandonato la Terra morente e si era disseminata fra le stelle — era usanza del Vaticano tenere importanti riunioni nella sala d’attesa di importanti funzionari anziché nell’ufficio privato dei medesimi. La sala d’attesa interna del segretario di Stato cardinale Lourdusamy era piccola, non più di cinque metri quadrati, e disadorna, a parte un tavolo di marmo, rotondo, senza apparecchiature di trasmissione, una sola finestra che se non avesse avuto vetri polarizzati avrebbe mostrato una loggia esterna con mirabili affreschi, e due quadri del genio del XXX secolo Karotan: l’Agonia di Cristo nell’orto di Getsemani e papa Giulio (nella sua identità prepontificia di padre Lenar Hoyt) che riceveva il primo crucimorfo da un arcangelo d’aspetto vigoroso ma androgino, mentre Satana (nella forma dello Shrike) assisteva, impotente.

Le quattro persone nella sala d’attesa, tre uomini e una donna, rappresentavano il consiglio esecutivo della Lega pancapitalista delle organizzazioni commerciali transtellari cattoliche indipendenti, più nota come Pax Mercatoria. Due degli uomini, Helvig Aron e Kennet Hay-Modhino, parevano padre e figlio: erano molto simili, perfino nell’elegante e costoso abito con cappa, nel taglio di capelli, costoso e tradizionale, nei lineamenti nordeuropei della Vecchia Terra abilmente bioscolpiti e nelle ancora più raffinate spille rosse indicanti l’appartenenza al Sovrano ordine militare dell’ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, l’antica società nota comunemente col nome Cavalieri di Malta. Il terzo uomo, di ascendenza asiatica, indossava una semplice veste di cotone, lunga e ampia. Si chiamava Kenzo Isozaki e quel giorno era, dopo il cardinale Simon Augustino Lourdusamy, il secondo uomo più potente della Pax. L’ultimo rappresentante della Pax Mercatoria era una donna sulla cinquantina, Anna Pelli Cognani — capelli neri dal taglio poco curato, viso molto magro, economico abito da lavoro di fibroplastica pettinata -, generalmente ritenuta l’erede designata di Isozaki e, a dar retta ai pettegolezzi, da anni l’amante di un’altra donna, l’arcivescovo di Vettore Rinascimento.

I quattro si alzarono e salutarono con un lieve inchino il cardinale Lourdusamy che prendeva posto al tavolo. Monsignor Luca Oddi era l’unico spettatore; si teneva a una certa distanza dal tavolo, mani congiunte sul grembo, mentre, dietro la sua spalla coperta dal nero abito talare, gli occhi sofferenti del Cristo a Getsemani di Karotan scrutavano il piccolo gruppo riunito.

Aron e Hay-Modhino si avvicinarono al cardinale e piegarono il ginocchio per baciare l’anello ornato da uno zaffiro tagliato a unghia, ma con un gesto Lourdusamy dispensò tutti da ogni formalità, prima che si avvicinassero anche Kenzo Isozaki e Anna Pelli Cognani. Quando i quattro rappresentanti della Pax Mercatoria si furono nuovamente accomodati, il cardinale disse: «Siamo tutti vecchi amici, anche se in questa riunione rappresento la Santa Sede per la temporanea assenza del Santo Padre. Ogni argomento discusso oggi, lo sapete, rimarrà fra queste mura». Sorrise. «E queste mura, amici miei, sono le più sicure della Pax, assolutamente a prova di intercettazione.»

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