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«C’è molta esagerazione nelle voci sulla nostra morte» ammise il consigliere Albedo. «E allora?»

«Allora, con la piena consapevolezza che questa alleanza fra personalità del Nucleo e il Vaticano è stata vantaggiosa a tutt’e due le parti, consigliere, la Lega avrebbe il piacere di suggerire modi in cui una simile alleanza diretta con la nostra organizzazione commerciale porterebbe benefici più immediati e più tangibili alla vostra… società.»

«Suggerisca pure, Isozaki-san» disse Albedo, allungandosi contro lo schienale del sediolo di pilotaggio.

«Primo» disse Isozaki, con voce ora più ferma «la Pax Mercatoria si espande in modi che nessuna organizzazione religiosa può auspicare per sé, per quanto possa essere gerarchica o universalmente accettata. Il capitalismo riacquista potere in tutta la Pax. È il vero collante che tiene insieme le centinaia di pianeti.»

Prese fiato. «Secondo, la Chiesa continua a portare avanti la sua infinita guerra con gli Ouster e con elementi ribelli all’interno della sfera di influenza della Pax. La Pax Mercatoria considera simili conflitti uno spreco di energia e di preziose risorse umane e materiali. Cosa ancora più importante, questo spreco coinvolge il TecnoNucleo in litigi umani che non possono assecondare gli interessi del Nucleo né far avanzare i suoi progetti.»

Esitò brevemente. «Terzo, mentre la Chiesa e la Pax utilizzano tecnologie chiaramente derivate dal TecnoNucleo come il motore Gideon e le culle di risurrezione, la Chiesa non dà al TecnoNucleo alcun credito per queste invenzioni. In realtà la Chiesa presenta ancora il Nucleo come un nemico dei suoi miliardi di fedeli, dipinge le entità del Nucleo come se fossero state distrutte perché erano in lega col demonio. La Pax Mercatoria può fare a meno di simili pregiudizi e artifici. Se dopo l’alleanza con noi, il Nucleo decidesse di continuare a tenersi nascosto, onoreremmo tale politica, sempre disponibili a presentare il Nucleo come visibile e apprezzato socio, quando e se prendeste questa decisione. Nel frattempo, tuttavia, la Lega si muoverebbe per porre fine, una volta per tutte, alla demonizzazione del TecnoNucleo nella storia, nelle consuetudini e nella mente degli esseri umani in qualsiasi punto dello spazio.»

Il consigliere Albedo parve riflettere. Per qualche istante guardò dall’oblò il movimento del piccolo asteroide. Poi disse: «Così ci renderete ricchi e per giunta rispettabili?».

Kenzo Isozaki non rispose. Intuiva che il suo futuro personale e l’equilibrio del potere nello spazio dell’uomo era appeso a un filo. Non riusciva a interpretare l’espressione di Albedo: il sarcasmo del cìbrido poteva anche essere il preludio a un negoziato.

«Cosa ce ne faremmo, della Chiesa?» domandò Albedo. «Dopo più di due secoli e mezzo di silenziosa associazione?»

Con uno sforzo di volontà, Isozaki calmò di nuovo i battiti del suo cuore. «Non desideriamo interrompere qualsiasi relazione che il Nucleo trovi utile o vantaggiosa» disse piano. «In quanto gente d’affari, noi della Lega riconosciamo i limiti di qualsiasi società interstellare basata sulla religione. Dogma e gerarchia sono tipici di simili strutture, sono anzi le strutture di ogni teocrazia. Come gente d’affari consacrata al comune profitto nostro e dei nostri associati, vediamo modi in cui un secondo livello di cooperazione tra il Nucleo e la specie umana, per quanto segreto o limitato, dovrebbe essere e sarebbe vantaggioso a tutt’e due le parti.»

Il consigliere Albedo annuì. «Isozaki-san, ricorda quando nel suo ufficio privato nel toroide lei chiese alla sua collega Anna Pelli Cognani di spogliarsi?»

Isozaki mantenne un’espressione neutra, ma solo col massimo sforzo di volontà. Scoprire che il Nucleo guardava nel suo ufficio privato e registrava ogni transazione, gli gelò letteralmente il sangue.

«Quel giorno la sua collega le domandò perché avevamo aiutato la Chiesa a perfezionare il crucimorfo» continuò Albedo. «"A quale scopo?" mi pare avesse detto. "Dov’è il guadagno del Nucleo?"»

Isozaki osservò l’uomo in grigio e più che mai provò l’impressione di essere chiuso nel piccolo grillo in compagnia di un cobra che si fosse rizzato e avesse dilatato il collo.

«Ha mai avuto un cane, Isozaki-san?» domandò Albedo.

Pensando ancora ai cobra, il PFE della Pax Mercatoria rimase perplesso e fissò il suo interlocutore. «Un cane?» ripeté dopo qualche istante. «No, non ne ho mai avuti. I cani non erano molto diffusi sul mio pianeta natale.»

«Ah, già» disse Albedo, mostrando di nuovo la candida, perfetta dentatura. «Nella sua isola, gli animali da compagnia erano gli squali. Mi pare che lei, a sei anni standard, avesse un giovane squalo e cercasse di addomesticarlo. L’aveva chiamato Keigo, se non sbaglio.»

Isozaki non sarebbe riuscito a spiccicare una parola nemmeno se da quella fosse dipesa la sua stessa vita in quell’istante.

«E come impediva al giovane squalo di mangiarsi il padroncino, quando nuotavate insieme nella laguna di Shioko, Isozaki-san?»

Dopo alcuni tentativi, Isozaki riuscì a dire: «Collare».

«Prego?» Il consigliere Albedo si sporse verso di lui.

«Collare» ripeté il PFE della Pax Mercatoria. Ai margini del campo visivo vedeva danzare perfetti puntini neri. «Collare a scossa. Dovevamo portare i trasmettitori palmari. Gli stessi apparecchi che usavano i nostri pescatori.»

«Ah, sì» disse Albedo, senza smettere di sorridere. «Se il suo cucciolo faceva il cattivo, lei lo rimetteva in riga. Con un semplice tocco del dito.» Protese la mano e la piegò a coppa, come se vi tenesse un trasmettitore palmare. Col dito premette un invisibile pulsante.

Il risultato non fu tanto simile a una scarica elettrica nel corpo di Kenzo Isozaki, quanto piuttosto a onde radianti di pura sofferenza non adulterata, che iniziavano nel petto, nel crucimorfo incastonato nella carne e nell’osso, e si trasmettevano come segnali telegrafici di dolore lungo le centinaia di metri di fibre e di nematodi e di gruppi di noduli di tessuto del crucimorfo diffusi nel corpo come metastasi di tumori ben radicati.

Isozaki lanciò un urlo e si piegò in due per il dolore. Crollò sul pavimento della cabina.

«Credo che i suoi trasmettitori palmari potessero dare al vecchio Keigo scosse sempre più forti, se lo squalo diventava aggressivo» disse il consigliere Albedo, in tono pensieroso. «Non era così, Isozaki-san?» Mosse le dita nell’aria, come per dare l’imbeccata a un trasmettitore palmare.

Il dolore peggiorò. Isozaki si orinò addosso nella tuta spaziale e avrebbe anche evacuato l’intestino, se non l’avesse avuto già vuoto. Cercò di urlare di nuovo, ma non riuscì ad aprire le mascelle, bloccate come per il violento effetto del tetano. Strinse i denti con tale forza che lo smalto si crepò e si scheggiò. Sentì il sapore del sangue, perché si era morsicato la punta della lingua.

«In una scala da uno a dieci, per il vecchio Keigo una scossa del genere sarebbe stata di livello due, penso» disse il consigliere Albedo. Si alzò, andò alla camera stagna e batté la combinazione del ciclo di apertura.

Contorcendosi sul pavimento, con il corpo e il cervello ridotti a inutili appendici di un crucimorfo di orribile sofferenza irradiata per tutto il corpo, Isozaki cercò di urlare malgrado le mascelle serrate. Gli occhi gli sporgevano dalle orbite. Rivoli di sangue gli colavano dal naso e dalle orecchie.

Il consigliere Albedo terminò di comporre la combinazione per il ciclo della camera stagna e toccò di nuovo l’invisibile trasmettitore palmare.

Il dolore svanì. Isozaki vomitò sul pavimento. Ogni muscolo del suo corpo si torceva a caso, i nervi parevano fare cilecca.

«Porterò la sua proposta ai Tre Elementi del TecnoNucleo» disse in tono formale il consigliere Albedo. «Sarà discussa e meditata con grande attenzione. Nel frattempo, amico mio, contiamo sulla sua discrezione.»

Isozaki cercò di emettere un suono intelligibile, ma riuscì solo a rannicchiarsi su se stesso e a vomitare sul pavimento metallico. Con orrore si accorse che gli spasmi degli intestini gli causavano una serie di flatulenze.

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