Fa' qualcosa di straordinario.
Senza dubbio chiedere consiglio agli indiani era una cosa straordinaria. Se la cosa straordinaria avesse portato risultati, si sarebbe visto soltanto in seguito.
Anawak fece un sorriso amaro. Proprio lui…
Viveva da vent'anni a Vancouver, eppure sapeva poco degli indiani locali, perché in fondo non ne voleva sapere nulla. Solo di tanto in tanto sentiva una nostalgia indefinita per il suo mondo. Quella sensazione gli era penosa, così la combatteva strenuamente, per impedirle di crescere. Alicia lo aveva preso per un makah, ma lui, tutto sommato, si sentiva assolutamente inadatto a immergersi nei miti indigeni.
E Greywolf lo era ancora meno.
Greywolf è meschino, pensò con rancore. Oggi nessun indiano si sognerebbe di darsi un cognome così — «Lupo Grigio» — che sembra uscito dal Far West. I capi delle tribù si chiamano «Norman George» o «Walter Michael» o «George Frank». Nessuno si chiama «John-Due-Piume» o «Lawrence-Balena-Che-Nuota». Solo uno sbruffone senza cervello come Jack O'Bannon poteva far ricorso a un nome da libro per bambini. Proprio Jack, che si atteggia da indiano, è troppo stupido per essere definito indiano.
Greywolf era un ignorante!
E lui?
Così non arriverò a niente, pensò, contrariato. Io ho l'aria di un indiano e cerco di allontanare da me tutto ciò che è indiano. Lui non lo è e cerca con tutte le forze di esserlo. Siamo due ignoranti.
Siamo entrambi ridicoli, ognuno a proprio modo. Due falliti.
Quel maledetto ginocchio! Lo rendeva pensieroso. E lui non voleva pensare! Non aveva bisogno che un'Alicia Delaware, con quei suoi modi da prima della classe, lo spingesse indietro, verso il mondo da cui era arrivato.
A chi poteva chiedere?
A George Frank!
Era uno dei capi che conosceva. Non viveva fuori dal mondo. A eccezione dei rapporti di lavoro e occasionalmente di una birra bevuta in compagnia, i bianchi e gli indiani non legavano particolarmente, ma non avevano neppure nulla gli uni contro gli altri. Era una coesistenza pacifica. Tuttavia, di tanto in tanto, nascevano delle amicizie. George Frank era meno di un amico, ma era pur sempre una conoscenza. Inoltre era un tipo simpatico, nonché taayii hawil dei tla-o-qui-aht, una tribù dei nootka della zona intorno a Wickaninnish. Se un hawil era un capo — un capo tribù -, il taayii hawil era addirittura qualcosa di più, un capo superiore, per così dire. Tra i taayii hawiih era un po' come nella famiglia reale inglese, giacché il loro rango si trasmetteva per linea ereditaria. La vita quotidiana della maggior parte delle tribù era retta da capi eletti, però i capi ereditari godevano comunque della massima considerazione.
Anawak rifletté. Nel nord dell'isola i capi superiori erano chiamati taayii hawiih; nel sud, invece, taayii chaachaabat. Non voleva rendersi ridicolo. Probabilmente Gorge Frank era un taayii chaachaabat, ma come diavolo faceva a esserne certo?
Era meglio evitare le espressioni indiane.
Poteva far visita a George Frank. Non viveva lontano: era poco distante dall'Wickaninnish Inn. Più ci pensava, più l'idea gli piaceva. Invece di aspettare la telefonata di Ford, poteva rompere il cerchio e vedere dove sarebbe arrivato. Sfogliò la guida alla ricerca del numero di Frank e lo chiamò.
Il taayii hawil era a casa. Anawak gli propose di fare una passeggiata lungo il fiume.
«Allora sei venuto per sapere qualcosa delle balene», disse Frank quando, una mezz'ora dopo, lui e Anawak si avviarono sotto i giganteschi alberi frondosi.
Anawak annuì. Il capo si grattò la fronte. Era un uomo piccolo, col volto pieno di rughe, gli occhi neri e un'espressione gentile. I capelli erano scuri come quelli di Anawak. Sotto la giacca a vento portava una T-shirt con la scritta SALMON COMING HOME.
«Voglio sperare che non ti aspetti da me qualche perla di saggezza indiana.»
«No.» Anawak era felice di quella risposta. «L'idea è stata di John Ford.»
«Quale?» sorrise Frank. «Il regista o il direttore dell'acquario di Vancouver?»
«Il regista credo sia morto. Vagliamo tutte le possibilità, magari nella storia sono già accaduti episodi simili.»
Frank indicò il fiume sulla cui riva stavano passeggiando. L'acqua scorreva, gorgogliando e trascinando rami e foglie. Il fiume nasceva dalle alte montagne che facevano da sfondo al paesaggio ed era in parte insabbiato.
«La tua risposta è là», disse Frank.
«Nel fiume?»
L'altro sorrise. «Hishuk ish ts'awalk.»
«Okay. Allora passiamo alle perle di saggezza indiana»
«Una sola. Pensavo la conoscessi.»
«Non conosco la vostra lingua. Solo qualche parola.»
Frank lo osservò per qualche secondo. «Va bene, è il pensiero centrale di quasi tutte le culture indiane. I nootka lo reclamano per sé, ma credo che, in altri luoghi, si dica la stessa cosa con parole diverse: 'Tutto è uno'. Quello che succede al fiume succede agli uomini, agli animali, al mare. Quello che succede a uno succede a tutti.»
«Vero. Alcuni la chiamano 'ecologia'.»
Frank si chinò, tirando a riva un ramo che si era impigliato nel groviglio di radici lungo il fiume. «Che ti devo dire, Leon? Non sappiamo nulla che non sappia anche tu. Posso tendere le orecchie, chiamare alcune persone… Ci sono molti canti e leggende. Ma non conosco nessuno che ci possa aiutare. Voglio dire, in tutte le nostre tradizioni troverai esattamente quello che cerchi, ma il problema è proprio quello.»
«Non capisco.»
«Certo, noi vediamo gli animali in maniera un po' diversa. I nootka non hanno mai preso la vita di una balena. È la balena che ha regalato la propria vita, con un atto consapevole, capisci? Nella fede dei nootka, tutta la natura è consapevole di se stessa, una grande coscienza condivisa.» Stava avanzando lungo un sentiero fangoso. «Guarda qui, che vergogna. La foresta è diboscata. Pioggia, sole e vento erodono il terreno e i fiumi si trasformano in fogne. Guarda qui, se vuoi sapere che cosa succede alle balene. Hishuk ish ts'awalk.»
«Hmm. Ti ho raccontato in che cosa consiste il mio lavoro?»
«Tu cerchi la coscienza, credo.»
«L'autocoscienza.»
«Sì, mi ricordo. Me l'hai raccontato nel corso di una bella serata. È stato l'anno scorso. Io ho bevuto birra e tu acqua. Tu bevi solo acqua, vero?»
«Non mi piace l'alcol.»
«Hai mai bevuto?»
«Praticamente no.»
Frank si fermò. «Già, l'alcol. Tu sei un buon indiano, Leon. Bevi acqua e vieni da me perché pensi che noi siamo in possesso di qualche conoscenza segreta.» Sospirò. «Quando, quando, le persone la smetteranno di valutarsi in base a cliché? Gli indiani avevano un problema con l'alcol, e alcuni ce l'hanno ancora, ma ci sono anche quelli che di tanto in tanto bevono volentieri un goccio. Oggi, se un bianco vede un indiano con una birra, dice subito: 'Che tragedia terribile, abbiamo portato quella gente ad attaccarsi alla bottiglia…' Noi siamo o i poveri ingannati o i custodi di una saggezza altissima. E tu, Leon, che cosa sei? Un cristiano?»
Anawak non era particolarmente sorpreso. Le poche volte che si era intrattenuto con George Frank, la conversazione era andata sempre nello stesso modo. Il taayii hawil conversava apparentemente senza un filo logico, saltava come uno scoiattolo da un argomento all'altro.
«Non appartengo a nessuna Chiesa», disse Anawak.
«La sai una cosa? Ho provato a leggere la Bibbia. Una saggezza altissima. Se chiedi a un cristiano perché c'è un fuoco nella foresta e lui ti risponde che Dio si manifesta nelle fiamme, allora farà riferimento alle antiche tradizioni, dove effettivamente Dio si manifesta in un roveto ardente. Secondo te, è possibile che un cristiano spieghi in questo modo l'incendio di una foresta?»
«Certo che no.»
«Tuttavia per lui la storia del roveto ardente è molto importante, se è un vero credente. Anche gli indiani credono alle loro tradizioni, ma sanno esattamente quale rapporto esse hanno con la realtà. Non è importante se una cosa è effettivamente come viene raccontata, quello che conta è l'idea. Nelle nostre leggende, troverai tutto e non troverai niente. Non puoi prenderle alla lettera, devi coglierne il senso.»