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Olsen rimase per un momento a guardarla.

Poi tese i muscoli. La sua mano libera si sollevò e afferrò il ramo. Strinse il legno e riprese a spostarsi finché i suoi piedi non arrivarono proprio sopra il ramo più grosso. Lentamente si lasciò scivolare verso il basso. Adesso aveva un appoggio solido. Reggeva. Un tremito gli percorse le spalle. Staccò le dita dal ramo e si aggrappò al tronco, sentì lo sforzo dell'albero per reggere al riflusso, schiacciò il volto contro la corteccia e continuò a guardare la moglie.

Sembrava non finire mai. L'albero resse e così fece anche la casa.

Quando l'acqua ebbe portato il proprio tributo al mare, finalmente cominciò a ritirarsi, lasciando un deserto di macerie e di fango. Olsen aiutò la moglie e i figli a lasciare la casa. Presero le cose indispensabili — carte di credito, soldi, documenti e alcuni ricordi personali raccolti in fretta — e le infilarono in due zaini. La macchina di Olsen era sparita. Sarebbero dovuti andare a piedi, ma era sempre meglio che restare là.

Lasciarono in silenzio la strada devastata e andarono dall'altra parte del fiume, lontano da Trondheim.

Distruzione

L'ondata continuava a espandersi.

Sommerse la costa orientale della Gran Bretagna e la Danimarca occidentale. All'altezza di Edimburgo e Copenhagen, lo zoccolo continentale diventava molto basso. Si alzavano i Dogger Bank, un ricordo dell'epoca in cui parti del mare del Nord erano ancora una terra asciutta. I Dogger Bank erano stati a lungo delle isole. Gli animali che le abitavano erano stati costretti a spostarsi sempre più in alto, a causa del crescere delle acque, e alla fine erano annegati. Ora i banchi si trovavano tredici metri sotto il livello del mare e frenavano l'onda in arrivo, facendola crescere in altezza.

A sud dei banchi sorgevano le piattaforme, vicinissime l'una all'altra, e numerose in particolare lungo la costa sudorientale inglese e a nord del Belgio e dell'Olanda. Là l'ondata imperversò con maggiore violenza rispetto alla parte settentrionale, tuttavia la struttura frastagliata dello zoccolo continentale, i banchi di sabbia, i crepacci e i crinali frenarono lo tsunami. Le isole Frisone furono completamente sommerse, tuttavia ridussero l'energia dell'ondata, che colpì l'Olanda, il Belgio e la Germania settentrionale con minore violenza. La massa d'acqua raggiunse L'Aia e Amsterdam a meno di cento chilometri all'ora e distrusse buona parte della zona vicino al mare. Ad Amburgo e a Brema si scatenò una furiosa alta marea. Le due città si trovavano nell'interno, ma in compenso le foci dell'Elba e del Weser non erano protette. Lo tsunami rotolò lungo il corso dei fiumi e inondò le zone circostanti prima di raggiungere le città anseatiche. Anche a Londra il livello del Tamigi crebbe e il fiume schiantò le barche contro i ponti.

Le propaggini dell'onda anomala arrivarono nelle strade di Dover e furono percepibili anche in Normandia e sulla costa bretone. Solo il Baltico, con Copenhagen e Kiel, sfuggì al disastro. Anche lì l'alta marea infuriò, ma dove s'incontravano lo stretto di Skagerrak e quello di Kategat, lo tsunami si avvitò su se stesso e crollò. In compenso, nell'estremo nord l'ondata colpì la costa dell'Islanda e raggiunse la Groenlandia e le isole Svalbard.

Immediatamente dopo la catastrofe, gli Olsen si erano diretti verso zone più elevate. Più tardi, lo stesso Knut Olsen non fu in grado di dire perché si erano comportati così, benché quella fosse stata una sua idea. Forse aveva il vago ricordo di un film sugli tsunami o di un articolo che aveva letto da qualche parte. Forse fu solo un'intuizione. Comunque la fuga salvò la vita alla famiglia.

La maggior parte delle persone sopravvissute all'arrivo e al riflusso dello tsunami morì subito dopo. Dopo la prima ondata, molti tornarono nei loro villaggi e alle loro case per vedere cosa ne era rimasto. Ma lo tsunami si diffondeva con una serie di onde, l'una di seguito all'altra, e la loro grande lunghezza faceva sì che la seconda ondata colpisse soltanto quando si credeva di essere ormai scampati alla catastrofe.

Accade così anche quella volta.

Dopo circa un quarto d'ora, arrivò la seconda ondata, non meno violenta della precedente, e concluse l'opera iniziata dalla prima. Venti minuti più tardi, ne arrivò una terza, alta la metà, poi una quarta e infine più nulla.

In Germania, Belgio e Olanda le procedure di evacuazione erano fallite, nonostante il maggior tempo a disposizione. Giacché praticamente tutti possedevano un'automobile, moltissimi avevano giudicato buona l'idea di usarla per scappare. Ma la scelta si era rivelata pessima. Neppure dieci minuti dopo l'allarme, le strade erano irrimediabilmente intasate. E l'onda aveva sciolto l'ingorgo a modo suo.

Un'ora dopo che la scarpata continentale era smottata, le industrie offshore del Nordeuropa non esistevano più. Quasi tutte le città costiere delle zone limitrofe erano distrutte, in parte o completamente. Centinaia di migliaia di persone avevano perso la vita. Solamente l'Islanda e le isole Svalbard, poco popolate, l'avevano scampata senza vittime.

La spedizione congiunta della Thorvaldson e della Sonne aveva scoperto che i vermi avevano distrutto gli idrati anche a nord, fino a Tromsø. La scarpata era scivolata a sud. In un primo momento, le conseguenze dello tsunami non lasciarono modo di riflettere sulla possibilità di mettere in conto anche un collasso della scarpata nord. Probabilmente Bohrmann avrebbe avuto una risposta a quel problema. Ma neppure Bohrmann sapeva esattamente dove fossero avvenuti i crolli. E anche Jean-Jacques Alban, che era riuscito a portare la Thorvaldson sufficientemente al largo e a metterla al sicuro, non aveva la minima idea di che cosa fosse successo negli abissi.

Le esplosioni continuavano a rimbombare in mare e tra le rovine delle città costiere. Alle urla e ai pianti dei sopravvissuti si mischiavano il rumore degli elicotteri, l'ululato delle sirene e i comunicati degli altoparlanti. Era una cacofonia dell'orrore, ma sopra il rumore aleggiava un silenzio plumbeo. Il silenzio della morte.

Passarono tre ore prima che l'ultima ondata rifluisse in mare.

Poi smottò la scarpata continentale settentrionale.

PARTE SECONDA

Château Disaster

Dal rapporto annuale delle associazioni ambientaliste

«Nonostante il divieto del 1994, lo scarico di scorie nucleari in mare continua come prima. Nelle acque prospicienti l'impianto francese di rigenerazione e smaltimento delle scorie, i sommozzatori di Greenpeace hanno registrato una radioattività superiore di diciassette milioni di volte rispetto alle zone non interessate dagli scarichi. Davanti alla Norvegia, fuchi e gamberi sono contaminati col tecnezio, una sostanza radioattiva. Il centro per la radioprotezione norvegese ne ha identificato la fonte nell'impianto inglese di rigenerazione e smaltimento di Sellafield. E i geologi americani vogliono calare scorie altamente radioattive sul fondale marino, facendo scivolare i contenitori antiradiazioni attraverso tubi lunghi chilometri dentro fosse che verranno coperte dai sedimenti.

«Dal 1959, l'Unione Sovietica ha depositato enormi quantità di scorie radioattive, compresi i reattori smantellati, nel mare Artico. Oltre un milione di armi chimiche si arrugginisce sul fondale marino, a una profondità tra i cinquecento e i quattromilacinquecento metri. Particolarmente pericolosi sono i contenitori arrugginiti dei gas velenosi, sprofondati da Mosca nel 1947. Al largo della Spagna, sono depositati centinaia di migliaia di fusti con materiale debolmente radioattivo proveniente dalla medicina, dalla ricerca e dall'industria. Gli scienziati marini hanno trovato nell'Atlantico, a oltre quattromila metri di profondità, il plutonio disperso nei mari del Sud durante i test atomici.

«Il servizio idrografico inglese ha elencato 57.435 relitti sui fondali marini, tra cui anche i resti di sommergibili nucleari americani e russi.

«Il velenosissimo DDT danneggia più gli organismi marini che tutti gli altri esseri viventi. Attraverso le correnti si propaga ovunque e s'inserisce in diverse catene alimentari. Nel grasso dei capodogli sono stati trovati composti di polibromo, utilizzati come sostanze ignifughe per computer e rivestimenti dei televisori. Il novanta per cento di tutti i pesci spada pescati è avvelenato dal mercurio e il venticinque per cento anche dai PCB. Nel mare del Nord agli esemplari di Buccinum undatum femmina cresce il pene. La causa potrebbe essere la vernice delle navi, contenente tributilstagno.

«Ogni trivellazione petrolifera danneggia il fondale marino per una superficie di venti chilometri quadrati, un terzo della quale è praticamente priva di vita.

«I campi elettrici dei cavi sottomarini disturbano l'orientamento di salmoni e anguille. Inoltre l'elettrosmog pregiudica lo sviluppo delle larve.

«La diffusione delle alghe e la moria di pesci crescono drammaticamente in tutto il mondo. Israele non ha firmato il trattato per fermare lo scarico di rifiuti in mare e, fino al 1999, un'unica ditta ha scaricato in mare sessantamila tonnellate di rifiuti velenosi all'anno: piombo, mercurio, cadmio, arsenico e cromo trasportati dalle correnti arrivano fino in Siria e a Cipro. Nel golfo di Tunisi vengono pompati in mare ogni giorno 12.800 tonnellate di fosfati provenienti dalle industrie di fertilizzanti.

«Settanta delle duecento più importanti specie marine sono state dichiarate dalla FAO a rischio di estinzione. E intanto il numero dei pescatori aumenta. Nel 1970 erano tredici milioni, nel 1997 erano già trenta milioni. La pesca con le reti a strascico, utilizzate per la cattura di merluzzi, cicerelli e salmoni dell'Alaska, ha effetti devastanti sul fondale. Vengono letteralmente raschiati via interi ecosistemi. Mammiferi marini, pesci predatori e uccelli acquatici non trovano più niente da mangiare.

«Il bunker C, un olio combustibile denso, il propellente più usato dalle navi, prima della combustione viene purificato da cenere, metalli pesanti e sedimenti. Rimangono rifiuti compatti che molti comandanti non smaltiscono correttamente, ma scaricano di nascosto in mare.

«Al largo del Perú, a quattromila metri di profondità, ricercatori di Amburgo hanno condotto una sperimentazione per l'elaborazione di un progetto per la più grande raccolta a fini commerciali di noduli di manganese. La loro nave trascinava avanti e indietro un aratro su un pezzo di fondale marino ampio undici chilometri quadrati. Sono morte innumerevoli forme di vita. Anni dopo, la regione non si era ancora ripresa.

«Durante i lavori di costruzione nelle Florida Keys fu gettata in mare della terra che si depositò sulle barriere coralline: gran parte delle forme di vita lì presenti è morta soffocata.

«I ricercatori marini credono che anche le grandi concentrazioni di biossido di carbonio nell'atmosfera, causate dal crescente uso di combustibili fossili, blocchino la formazione delle scogliere. Quando il CO2 si scioglie rende l'acqua acida. Senza curarsi di ciò, i grandi gruppi energetici progettano di pompare direttamente in mare enormi quantità di CO2 per ridurre l'inquinamento atmosferico.»

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