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10 maggio

Château Whistler, Canada

La notizia lasciò Kiel a trecentomila chilometri al secondo.

Il testo, preparato sul laptop da Erwin Suess nel centro di ricerca Geomar, si spostò nella rete, configurato in una massa di dati digitali e fu trasformato in segnale luminoso da un diodo laser. Poi fu sparato con una lunghezza d'onda di 1,5 millesimi di millimetro infrarosso in un cavo a fibre ottiche, insieme con milioni di telefonate e pacchetti di dati. La fibra permetteva ai fasci di luce di scorrere in un diametro doppio di quello di un capello e li rifletteva verso l'interno per non farli uscire. A velocità folle, le onde sfrecciavano dall'interno del Paese fino alla costa, attraversando ogni cinquanta chilometri in un amplificatore ottico, finché la fibra non spariva in mare, avvolta in un mantello di rame, impacchettata in diversi strati di filo metallico e di morbido isolante.

Sott'acqua, il fascio di cavi aveva lo spessore di un robusto avambraccio umano. Correva sul fondo dello zoccolo continentale, sotterrato per essere protetto dalle ancore e dalle reti dei pescatori. Il TAT-14 — quello era il nome ufficiale — era un cavo transatlantico che collegava l'Europa al continente americano. Era uno dei cavi in grado di reggere il carico maggiore. Solo nel Nordatlantico c'erano dozzine di cavi simili. Centinaia di migliaia di chilometri di cavi a fibre ottiche formavano in tutto il mondo la spina dorsale dell'era dell'informazione. Tre quarti della loro capacità servivano al world wide web. Il Project Oxygen legava 157 Paesi in una sorta di super Internet. Un altro sistema collegava otto cavi a fibre ottiche per una capacità di carico di 3,2 terabit, che corrispondeva a quarantotto milioni di telefonate fatte contemporaneamente. Da tempo, fibre spesse quanto una filigrana avevano soppiantato la tecnica satellitare. La sfera terrestre era circondata da un intreccio di cavi capaci di condurre la luce, in cui correvano in tempo reale i bit e i byte della società della comunicazione, le telefonate, i video, la musica, le e-mail. Non erano i satelliti a formare il villaggio globale, ma i cavi.

La notìzia di Erwin Suess schizzò verso nord, tra la Scandinavia e la Gran Bretagna. Superata la Scozia, il TAT-14 svoltava a sinistra. Oltre lo zoccolo continentale delle Ebridi avrebbe dovuto snodarsi sul profondo fondale marino, non più interrato, ma appoggiato sulla superficie.

Ma non c'erano più né il margine continentale né il fondale marino.

Meno di un centoventesimo di secondo dopo essere partita da Kiel, la notizia passò sotto gigatonnellate di fango, arrivò nella zona al di sotto delle isole Fær Øer, e finì in una matassa strappata. Il robusto involucro, coi suoi cavi di rinforzo e con gli strati di materiale flessibile, era tranciato di netto, le fibre ottiche tagliate facevano uscire i loro messaggi nei sedimenti. La slavina aveva travolto il cavo con tale violenza che le due estremità tranciate giacevano a centinaia di chilometri l'una dall'altra. Il TAT-14 riprendeva solo nel bacino islandese, un inutile pezzo di alta tecnologia, che arrivava sullo zoccolo continentale a sud di Terranova e da lì correva fino a Boston, dove s'inseriva nel collegamento via terra. Infine, attraverso le Montagne Rocciose, l'autostrada dei dati raggiungeva la zona costiera montuosa del Canada occidentale a nord di Vancouver, direttamente nella stazione di scambio del famoso hotel di lusso Château Whistler, ai piedi della Blackcomb Mountain, dove il cavo a fibre ottiche si trasformava in un convenzionale cavo di rame. Un fotomoltiplicatore riconvertiva nuovamente il processo e trasformava gli impulsi luminosi in segnali digitali.

In altre circostanze, sarebbe stato digitalizzato in questo modo anche il messaggio proveniente da Kiel, e sarebbe apparso in forma di e-mail anche sul laptop di Gerhard Bohrmann. Ma, in quelle circostanze, il collegamento di Bohrmann era tagliato fuori esattamente come quello di milioni di altre persone. Una settimana dopo la catastrofe, nel Nordeuropa i collegamenti transatlantici Internet ed e-mail erano quasi completamente bloccati, e i contatti telefonici — quand'erano possibili — avvenivano solo via satellite.

Bohrmann era seduto nella grande hall dell'hotel e fissava lo schermo. Sapeva che Suess voleva mandargli un documento con la curva di crescita della popolazione dei vermi e le proiezioni di quello che sarebbe potuto succedere in altre parti del mondo colpite da infestazioni simili. Una volta superato lo shock, a Kiel lavoravano come ossessi.

Imprecò. Il presunto mondo così piccolo era tornato di nuovo grande, pieno di spazi invalicabili. Al mattino, gli avevano detto che, nel corso della giornata, le e-mail sarebbero state ricevute via satellite, ma fino a quel momento non si era ancora visto nulla. A quanto pareva, erano ancora vincolati al cavo distrutto. Bohrmann sapeva che l'unità di crisi stava lavorando febbrilmente, tuttavia Internet collassava in continuazione. E lui presumeva che non dipendesse tanto dalle carenze tecniche quanto dalla volontà. Era vero che i satelliti lavoravano alla perfezione, ma l'esercito americano non aveva ancora dato la completa disponibilità a trasferire sui satelliti il traffico dei cavi ottici transatlantici.

Prese il telefono satellitare che l'unità di crisi gli aveva messo a disposizione, si mise in contatto con Kiel e attese. Dopo diversi squilli, finalmente all'istituto risposero e gli passarono Suess. «Non è arrivato niente», disse Bohrmann.

«Valeva la pena tentare.» La voce di Suess si sentiva bene, ma Bohrmann era irritato per il ritardo con cui rispondeva. Non riusciva ad abituarsi alle telefonate satellitari. Il segnale partito dal trasmettitore doveva risalire per circa trentaseimila chilometri e discendere di altrettanti per raggiungere il ricevente. Ci si telefonava facendo lunghe pause e sovrapponendosi parzialmente. «Anche da noi non funziona nulla. Peggiora di ora in ora. Non si riesce più a raggiungere la Norvegia, in Scozia tutto tace, la Danimarca ormai esiste solo sulla carta geografica. E non credere che ci sia qualche piano d'emergenza.»

«Eppure noi ci stiamo telefonando», disse Bohrmann.

«Stiamo telefonando perché gli americani sono attrezzati. Stai sfruttando la superiorità militare di una grande potenza. In Europa… Scordatelo! Tutti vogliono telefonare, tutti sono in ansia perché non sanno nulla di parenti e amici. C'è un intasamento di dati. Le poche reti libere sono occupate dalle unità di crisi e dai governi.»

«Allora, che facciamo?» disse Bohrmann dopo una pausa d'indecisione.

«Non lo so. Forse riparte la Queen Elizabeth. I dati ti arriveranno fra sei settimane, se mandi un messaggero a cavallo sulla costa a prenderli.»

Bohrmann fece una risata amara. «Parliamo seriamente», disse.

«Allora ti devi procurare qualcosa per scrivere. Non posso fare diversamente.»

«Ho da scrivere», sospirò Bohrmann.

Mentre annotava quello che Suess gli diceva, un gruppo di uomini in uniforme attraversò la hall alle sue spalle e si avviò verso gli ascensori. Il loro comandante era un nero alto, dai tratti etiopi. Aveva i gradi di maggiore delle forze armate americane e una targhetta col nome PEAK.

Il gruppo entrò in uno degli ascensori. La maggior parte scese al secondo o al terzo piano. Gli altri lasciarono l'ascensore al quarto.

Il maggiore Salomon Peak rimase sull'ascensore e proseguì fino al nono piano. Là c'erano le gold executive suite, il meglio delle cinquecentocinquanta camere dello Château. Lo stesso Peak abitava in una junior suite al piano inferiore. Una normalissima camera singola gli sarebbe bastata. Non dava importanza al lusso, ma la direzione dell'hotel si era preoccupata di fornire all'unità di crisi le stanze migliori. Mentre camminava lungo il corridoio, il rumore dei passi attutito dal tappeto, non riusciva a levarsi dalla mente quello che era successo durante la riunione pomeridiana. Incrociava uomini e donne, con abiti civili e in uniforme. Le porte erano aperte e permettevano di vedere all'interno delle suite, trasformate in uffici. Dopo qualche secondo raggiunse una grande porta. Due soldati lo salutarono e Peak rispose con un cenno. Uno dei due bussò e attese la risposta dall'interno, poi aprì di scatto e fece entrare il maggiore.

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