«Come va?» disse Judith Li.
Si era fatta portare dalla palestra un tapis roulant. Peak sapeva che Judith Li passava più tempo su quel nastro che a letto. Da lì guardava la televisione, sbrigava la corrispondenza, dettava memorandum, ordini e discorsi grazie al sistema di riconoscimento vocale del suo laptop, faceva telefonate, riceveva informazioni su ogni cosa, oppure pensava. Stava correndo anche in quel momento. I capelli neri tenuti da una fascia erano lisci e splendenti. Indossava una tuta leggera, con pantaloncini corti e stretti. Nonostante il ritmo sostenuto, il suo respiro era regolare. Ogni volta, Peak doveva richiamare alla memoria che quella donna sul tapis roulant aveva quarantotto anni. Judith Li sembrava averne meno di quaranta ed era in forma perfetta.
«Non male», disse Peak. «Grazie.»
Si guardò intorno. La suite aveva le dimensioni di un appartamento di lusso ed era adeguatamente arredata. Classici elementi canadesi — molto legno e atmosfera rustica, un caminetto — si mescolavano con l'eleganza francese. Accanto alla finestra c'era un pianoforte a coda. Anche quello proveniva da un altro ambiente, cioè dalla grande hall. Judith Li l'aveva fatto portare nel suo appartamento, come il tapis roulant. Sulla sinistra, un corridoio a volta conduceva in una grande camera da letto. Peak non aveva visto il bagno, ma aveva sentito dire che disponeva di una vasca per idromassaggio e di una sauna.
Dal punto di vista di Peak, l'unico oggetto sensato era il massiccio tapis roulant nero, benché apparisse del tutto incongruo a quell'appartamento arredato con cura. Lui pensava che il lusso e il design non si confacessero alla vita militare. Peak proveniva da una famiglia semplice e non si era arruolato perché fornito di uno spiccato senso estetico, bensì per sfuggire alla vita in strada che troppo spesso conduceva alla galera. La costanza e un instancabile impegno gli avevano permesso di finire il college e gli avevano aperto una carriera come ufficiale. Il suo successo era di esempio per molti, ma ciò non cambiava le sue origini. Continuava a sentirsi molto più a suo agio in una tenda o in un motel economico.
«Abbiamo ricevuto le ultime analisi dei satelliti della NOAA», disse, passando davanti a Judith Li per guardare la valle dalla grande finestra panoramica. Il sole era alto sui boschi di cedri e abeti. Lo scenario delle montagne era stupendo, ma Peak non ci fece caso. Al momento era molto più interessato agli sviluppi previsti per le ore seguenti.
«E allora?»
«Avevamo ragione.»
«C'è una somiglianza?»
«Sì, tra i rumori intercettati dall'URA e lo spettrogramma non identificato del 1997.»
«Bene», disse Judith Li con aria soddisfatta. «Molto bene.»
«Non so se sia un bene. È una traccia, ma non spiega nulla.»
«E cosa si aspettava? Che l'oceano ci spiegasse qualcosa?» Judith Li schiacciò il tasto stop sul tapis roulant e saltò giù. «Abbiamo messo in piedi tutto questo circo proprio per scoprirlo. Il gruppo è al completo?»
«Ci siamo tutti. Tranne uno.»
«Chi?»
«Quel biologo norvegese, quello che ha scoperto i vermi. Dovrei guardare, si chiama…»
«Sigur Johanson.» Judith Li andò in bagno e ritornò con un asciugamano intorno alle spalle. «Veda di ricordarsi i nomi, Sal. Nell'hotel ci sono trecento persone, di cui settantacinque scienziati… Dovrebbe riuscire a ripetere i nomi.»
«Mi vuole dire che lei ha in testa trecento nomi?»
«Ne ho in testa anche tremila, se serve. S'impegni.»
«Sta bluffando», disse Peak.
«Vuole mettermi alla prova?»
«Perché no? In compagnia di Johanson c'è una giornalista inglese, da cui speriamo di avere informazioni su quello che sta succedendo al Circolo Polare. Sa come si chiama?»
«Karen Weaver», rispose Judith Li, frizionandosi i capelli. «Vive a Londra. È una specialista del mare, nonché una patita di computer. Si trovava a bordo di una nave sul mar di Groenlandia che poi è affondata con uomini e topi.» Sorrise a Peak coi suoi denti bianchi come la neve. «Se solo avessimo per ogni cosa un quadro completo come per questo affondamento…»
«Magari.» Peak si concesse un sorriso. «Ogni volta che discutiamo della mancanza d'informazioni, Vanderbilt s'irrigidisce.»
«È comprensibile. La CIA odia non riuscire a ottenere informazioni. È già arrivato?»
«È stato avvisato.»
«Avvisato? Che vuol dire?»
«È già in elicottero.»
«La capacità di trasporto dei nostri velivoli mi sorprende, Sal. Mi suderebbero le mani se dovessi volare con quel grasso maiale. Ma non fa niente. Mi faccia sapere se allo Château Whistler arrivano altre notizie sconvolgenti prima che caliamo le carte.»
Peak esitò. «Come possiamo chiedere a tutti l'impegno di tenere la bocca chiusa?»
«Ne abbiamo parlato mille volte.»
«Lo so che se n'è parlato mille volte. Ma mille volte meno del necessario. Laggiù c'è gente di ogni tipo, gente che non è abituata a mantenere un segreto. Hanno famiglia e amici. Arriveranno schiere di giornalisti e faranno domande…»
«Non è un problema nostro.»
«Potrebbe diventarlo.»
«Facciamoli entrare nell'esercito.» Judith Li allargò le braccia. «Poi li sottoponiamo alle leggi di guerra. Chi apre bocca sarà fucilato.»
Peak s'irrigidì.
Judith gli fece un cenno. «Era una battuta, Sal.»
«Non sono dell'umore adatto per le battute», ribatté Peak. «So bene che Vanderbilt vorrebbe applicare il diritto militare a tutti, ma è impossibile. Almeno la metà di questa gente è straniera e la maggior parte di questa metà è europea. Se rompono gli accordi non possiamo fare nulla.»
«Allora comportiamoci come se potessimo farlo.»
«Vuole fare pressioni? Non funzionerebbe. Nessuno coopera sotto pressione.»
«Chi ha parlato di pressione? Mio Dio, Sal, perché vuole sempre crearsi dei problemi? Quella gente vuole essere d'aiuto. Inoltre, se si convince che la violazione del rapporto di fiducia porta all'espulsione dal gruppo, starà zitta. Credere rende forti.»
Peak la guardò, scettico. «C'è altro?»
«No. Possiamo cominciare.»
«Bene, ci vediamo più tardi.»
Peak se ne andò.
Judith Li lo seguì con lo sguardo, pensando con divertimento alla scarsa conoscenza del genere umano che caratterizzava quell'uomo. Era un eccellente soldato e uno straordinario stratega, ma faticava a distinguere gli uomini dalle macchine. Sembrava quasi convinto che, nel corpo umano, ci fosse da qualche parte un settore da programmare in modo da essere sicuri che le istruzioni fossero eseguite. In un certo senso, quasi tutti i laureati a West Point cadevano in quell'errore. L'accademia militare americana più elitaria in assoluto era ben nota per i suoi spietati metodi di addestramento, alla fine del quale, però, non c'era altro che l'obbedienza, un'obbedienza inculcata a forza. Le preoccupazioni di Peak erano infondate, non capiva proprio niente di psicologia di gruppo.
Judith Li pensò a Jack Vanderbilt, il vice direttore della CIA. Non le piaceva: puzzava, sudava e aveva un alito spaventoso, però sapeva fare il suo lavoro. Durante le ultime settimane, e soprattutto dopo il terribile tsunami che aveva devastato l'Europa settentrionale, il settore di Vanderbilt si era messo in funzione a pieno regime. I suoi uomini avevano tracciato una sbalorditiva visione d'insieme. In altre parole: le risposte continuavano a scarseggiare, ma il catalogo delle domande era completo.
Rifletté se fosse necessario mandare alla Casa Bianca un rapporto intermedio. In fondo c'erano ben poche novità, ma il presidente stravedeva per lei e l'ammirava per la sua intelligenza. Era perfettamente consapevole della considerazione di cui godeva, ma si guardava bene dallo sbandierarla in pubblico, perché sarebbe stato controproducente. Era una delle poche donne tra i generali americani e ciò rendeva la sua posizione drammaticamente instabile. Molti militari di alto rango e vari politici la guardavano con sospetto. E il suo rapporto confidenziale con l'uomo più potente del mondo non contribuiva a rendere il quadro più limpido. Quindi Judith Li perseguiva i suoi obiettivi con prudenza. Non si metteva mai in primo piano. Non faceva mai allusioni alla solidità del rapporto tra lei e il presidente. Lui, per esempio, non gradiva che un problema fosse definito «complesso», perché la complessità era lontanissima dal suo modo di pensare. Il più delle volte, quindi, era lei a spiegargli la complessità del mondo con parole semplici; lo stesso presidente, poi, chiedeva spiegazioni a Judith Li se il punto di vista del segretario alla Difesa o dei membri del consiglio di sicurezza nazionale gli apparivano incomprensibili. E lei gli spiegava anche le posizioni del segretario di Stato.