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26 aprile

Kiel, Germania

La porta di ferro si aprì scorrendo lateralmente e lo sguardo di Bohrmann spaziò sulla gigantesca costruzione del simulatore.

Il simulatore di abissi marini sembrava aver portato la natura a una dimensione comprensibile per l'uomo, senza doverla esiliare nel limbo della pura teoria. Anche se su scala ridotta, era possibile controllare il mare. Il macchinario rappresentava un mondo di seconda mano, una di quelle copie idealizzate di cui gli uomini si fidavano più che della realtà: chi voleva sapere qualcosa sulla vera vita del Medioevo dopo che Hollywood l'aveva già mostrata a modo suo? A chi interessava come moriva un pesce, come sanguinava, come veniva tagliato e come gli venivano strappate le interiora se si poteva comprarli belli puliti e adagiati su un letto di ghiaccio? I bambini americani disegnavano i polli con sei zampe, perché le cosce di pollo erano vendute in confezioni da sei. Si beveva il latte da scatole di cartone e si era disgustati da una mammella. La sensibilità del mondo si deformava e, in tal modo, l'arroganza cresceva. Bohrmann era entusiasta del suo simulatore e delle possibilità che gli forniva. Nel contempo, però, esso rivelava quanto fosse concreto il rischio di cecità della ricerca allorché si riproduceva un modello dell'oggetto invece di osservare l'originale. L'obiettivo che s'imponeva sempre più prepotentemente alla scienza non era comprendere il pianeta, bensì piegarlo alla propria volontà. Nella colorata Disneyland degli equivoci scientifici, l'azione umana riceveva nuove, spaventose giustificazioni.

Ogni volta che entrava nel padiglione, la mente di Bohrmann era percorsa dagli stessi pensieri: non saremo mai certi di ciò che è possibile, ma possiamo sapere da cos'è meglio stare alla larga. Eppure non ne vogliamo sentir parlare.

Due giorni dopo l'incidente sulla Sonne, lui era di nuovo a Kiel. I carotaggi nei contenitori frigoriferi erano arrivati separatamente, con un cargo veloce ed erano stati affidati a Erwin Suess, il quale, con un team di geochimici e biologi, si era messo immediatamente all'opera per analizzare il bottino. Quando Bohrmann era arrivato all'istituto, le analisi erano già iniziate. Da ventiquattr'ore gli scienziati stavano instancabilmente cercando di scoprire le cause dello scioglimento, e a quanto pare le avevano trovate. Il simulatore poteva idealizzare la realtà, ma forse, in quel caso, aveva portato alla luce la verità sui vermi.

Erwin Suess aspettava Bohrmann davanti al pannello di controllo. Era in compagnia di Heiko Sahling e della biologa molecolare Yvonne Mirbach, specializzata sui batteri degli abissi marini. «Abbiamo preparato una simulazione al computer», disse Suess. «Non tanto per noi, quanto perché tutti possano capire.»

«Quindi non è più solo un problema della Statoil», mormorò Bohrmann.

«No.»

Suess mosse il cursore sul monitor e cliccò su un'icona. Apparve una raffigurazione grafica. Mostrava la sezione di una copertura di idrati spessa cento metri, che faceva da coperchio a una bolla di gas.

Sahling indicò un sottile strato scuro sulla superficie. «Quelli sono i vermi», disse.

«Passiamo all'ingrandimento», spiegò Suess.

Apparve una sezione della superficie di ghiaccio. Ormai i vermi si riconoscevano a uno a uno. Suess ingrandì ancora l'immagine finché un singolo esemplare non occupò quasi tutto lo schermo. Il verme era stilizzato e solo alcune parti avevano colori vivaci.

«Il rosso rappresenta i solfobatteri», disse Yvonne Mirbach. «Il blu, gli archaea.»

«Endosimbionti ed ectosimbionti», mormorò Bohrmann. «Il verme è conficcato nei batteri, che a loro volta s'insediano su di lui.»

«Esatto. È un'associazione. Batteri di specie diversa che collaborano.»

«L'avevano già capito anche gli scienziati consultati da Johanson», proseguì Suess. «Hanno prodotto pagine e pagine di analisi sullo stile di vita simbiotico dei vermi, ma non hanno tratto la conclusione corretta. Nessuno si è mai chiesto che cosa facciano effettivamente queste associazioni. Noi siamo partiti dal presupposto che i vermi destabilizzano il ghiaccio, benché sapessimo bene che non era possibile. E infatti non sono i vermi.»

«I vermi sono solo il veicolo», ipotizzò Bohrmann.

«È così.» Suess cliccò un'icona. «Qui c'è la risposta al vostro blowout.»

Il verme stilizzato cominciò a muoversi.

A causa del poco tempo disponibile, la rappresentazione era stata realizzata in maniera molto grossolana. Era più una sequenza di singole immagini che un film. La proboscide a tenaglia saettò fuori e il verme cominciò a trivellare il ghiaccio.

«Attenzione, ora», lo ammonì Suess.

Bohrmann fissava le immagini. Suess aveva ridotto l'ingrandimento. Si vedevano diversi animali che trascinavano i loro corpi sul ghiaccio. Poi, improvvisamente…

«Mio Dio!» esclamò Bohrmann.

Poi cadde un silenzio totale.

«Se succede così su tutta la scarpata continentale…» mormorò Sahling dopo qualche istante.

«Succederà», disse Bohrmann in tono inespressivo. «Ed è assai probabile che accada simultaneamente. Avremmo potuto arrivarci già a bordo della Sonne. I frammenti di idrati erano coperti di batteri.»

Ciò che aveva visto era più o meno quello che si aspettava. Aveva temuto e contemporaneamente sperato di sbagliarsi. Ma la realtà era ancora peggiore. Ammesso che quella fosse la realtà.

«Ogni singola cosa successa qui è già nota», riprese Suess. «Singolarmente, ognuno dei fenomeni è già stato osservato, nulla di nuovo. La novità sta nell'effetto combinato. Non appena si uniscono tutti i componenti, la decomposizione degli idrati diventa evidente.» Sbadigliò. Sembrava davvero una cosa fuori luogo di fronte al quadro spaventoso che avevano tracciato, ma nelle ultime ventiquattr'ore nessuno di loro aveva chiuso occhio. «Tuttavia non riesco a spiegarmi perché i vermi siano lì.»

«Neanch'io», disse Bohrmann. «E ci penso da molto più tempo di te.»

«E ora chi informiamo?» chiese Sahling.

«Hmm…» Suess portò un dito sul labbro superiore. «E chi se no? La questione è chiara, giusto? Quindi anzitutto dovremmo informare Johanson.»

«Perché non subito la Statoil?» propose Sahling.

«No.» Bohrmann scosse la testa. «In nessun caso.»

«Credi che facciano il doppio gioco?»

«Johanson è la scelta migliore. Credo che sia neutrale come la Svizzera. Dobbiamo lasciare a lui la scelta se…»

«Non c'è tempo «, lo interruppe Sahling. «Se la simulazione si avvicina anche solo in maniera approssimativa a quello che sta succedendo sulla scarpata continentale, allora dobbiamo avvertire immediatamente il governo.»

«E tutti gli Stati sul mare del Nord.»

«Buona idea. L'Islanda, per esempio.»

«Ehi, fermi!» Suess sollevò le mani. «Non stiamo guidando una crociata.»

«Non si tratta di questo.»

«E invece si tratta proprio di questo. Per ora abbiamo solo una simulazione.»

«Certo, ma…»

«No, ha ragione», lo interruppe Bohrmann. «Non possiamo seminare il panico rendendo pubblico questo fatto. Neppure noi sappiamo esattamente come stanno le cose. Voglio dire, sappiamo quello che succede, ma i risultati sono delle proiezioni. Al momento possiamo solo affermare che finiranno nell'atmosfera grandi quantità di metano.»

«Ma sei pazzo?» urlò Sahling. «Sappiamo dannatamente bene quello che succederà.»

Bohrmann si accarezzava distrattamente la zona in cui gli stavano ricrescendo i baffi. «Va bene, rendiamolo pubblico. Otterremo una dozzina di prime pagine. Ma quali sarebbero le conseguenze?»

«Quali sarebbero le conseguenze se si pubblicasse su un giornale che un meteorite colpirà la Terra?» rifletté Suess.

«Il paragone ti sembra azzeccato?»

«In un certo senso, sì.»

«Sono dell'idea che non dobbiamo decidere da soli», intervenne Yvonne Mirbach. «Procediamo per gradi. Per prima cosa parliamo con Johanson. In fondo, è lui che si occupa dei contatti. Inoltre, se osserviamo la cosa da un punto di vista strettamente scientifico, l'onore spetta a lui.»

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