Ma Lucy non era scomparsa negli abissi. Il suo corpo imponente splendeva nella luce del sole.
«Sorpassare, girare, tornare indietro!»
Il pilota annuì. «E per favore non vomitate», aggiunse.
Piegò l'idrovolante con tale rapidità che esso sembrò reggersi sulla punta dell'ala. Attraverso il portellone aperto, si vedeva luccicare una parete verticale d'acqua, spaventosamente vicina. Alicia gridò, mentre Danny, con la balestra in mano, urlava per il divertimento.
Al confronto, un ottovolante era una passeggiata.
Per un momento, Anawak percepì tutto come al rallentatore. Non avrebbe mai creduto che un idrovolante potesse ruotare come un compasso, come se la punta di un ala fosse l'ago. Ma il velivolo descrisse un semicerchio perfetto e subito dopo si rimise in. orizzontale.
Rombando, l'idrovolante puntò sulla balena e sul Whistler in avvicinamento.
Trattenendo il respiro, Ford osservava l'idrovolante che si raddrizzava dopo quella virata da far rizzare i capelli. I pattini sfioravano quasi l'acqua. Ricordava vagamente che la Tofino Air impiegava anche un ex pilota della Canadian Air Force. Adesso sapeva chi era.
Il corpo cilindrico dell'URA era appeso alla gru del rimorchiatore oltre il parapetto. Erano pronti a sganciare lo strumento non appena il tiratore avesse piazzato la trasmittente. Si vedeva chiaramente la schiena grigia della balena. Non si era immersa. Il velivolo e la balena si muovevano velocemente l'uno verso l'altra. Ford guardava Denny accovacciato sotto l'ala e intanto sperava che fosse sufficiente un unico colpo.
Il dorso di Lucy si sollevò sulle onde.
Danny alzò la balestra, chiuse un occhio e posò la mano sul metallo.
L'uomo rimase assolutamente immobile per qualche istante. Poi, senza mutare espressione, premette il grilletto. Solo lui sentì in quel momento il leggero sibilo prodotto dalla freccia attrezzata che, vicinissima al suo orecchio, lasciò l'arma a oltre duecento chilometri all'ora. Un secondo dopo, l'uncino metallico perforò il grasso della balena ed entrò in profondità, senza che Lucy se ne accorgesse. L'animale inarcò la schiena e s'immerse. La trasmittente sporgeva, obliqua, sul suo dorso.
«L'abbiamo presa!» urlò Anawak alla radio.
Ford diede il segnale.
La gru sciolse il robot dall'ancoraggio. L'URA affondò tra le onde.
Il contatto con l'acqua provocò l'emissione di un impulso che azionò i motori elettrici. Sprofondando, l'apparecchio si mosse in direzione della balena. Qualche secondo dopo l'URA non si vedeva più.
Ford strinse i pugni, trionfante. «Sì!»
Il DHC-2 passò scoppiettando vicino al Whistler. Sul puntello dell'ala, Danny sollevò la balestra, ululando.
«Ce l'abbiamo fatta!»
«Grande!»
«Un colpo e … accidenti, hai visto? Incredibile!»
«Uau!»
A bordo dell'idrovolante parlavano tutti contemporaneamente. Danny si voltò verso i compagni, sorrise e cominciò a riportarsi all'interno. Anawak stava allungando la mano per aiutarlo, quando vide qualcosa salire dall'acqua.
Rimase immobile, terrorizzato.
Una balena grigia stava salendo velocemente, come se volesse spiccare un balzo. Il corpo enorme si avvicinava, velocissimo.
Proprio sulla loro traiettoria di volo.
«Risalire!» urlò Anawak.
L'idrovolante si sollevò verticalmente, facendo urlare e gemere il motore. Danny ricadde all'indietro. Anawak riuscì a gettare uno sguardo su una testa gigantesca piena di cicatrici, su un occhio, sulle mandibole chiuse. Poi il velivolo prese un colpo terribile. Là dove c'erano l'ala destra e Danny, ormai c'era soltanto una stanga piegata. Anawak cercò un appiglio da qualche parte, ma tutto girava. Alicia gridava, il pilota gridava, lui stesso gridava e il mare veniva verso di loro.
Qualcosa di duro — era ferro? — lo colpì in faccia.
Nelle orecchie sentiva ululare. Lo stridio infernale del metallo che si rompeva.
Spuma.
Verde scuro.
Più niente.
A cinquanta metri di profondità, il computer di bordo stabilizzò il corpo cilindrico dell'URA. Il robot si tarò e seguì la balena più vicina. A una certa distanza, appena riconoscibili nella penombra, si vedevano gli altri animali. L'occhio elettronico dell'URA registrava tutto, senza che il computer attribuisse immediatamente un significato alle impressioni ottiche.
Si misero in moto anche le altre funzioni.
Nonostante gli eccezionali sensori ottici, la vera forza dell'URA dipendeva dalle percezioni acustiche. In quel caso il suo creatore aveva dimostrato di essere un genio. I sistemi acustici permettevano al robot di ritrovare i mammiferi marini anche dieci o dodici ore dopo che si erano allontanati, e di seguirli in qualunque direzione si spostassero.
Il robot seguiva il loro canto.
I quattro idrofoni dell'URA, sensibilissimi microfoni subacquei sistemati intorno al corpo del robot, percepivano in ogni momento non soltanto i suoni che gli animali emettevano, ma anche le coordinate della fonte. Se una balena emetteva un suono alto e sottile, i microfoni non ricevevano il rumore contemporaneamente, bensì prima l'uno e poi l'altro. Nessun orecchio umano sarebbe stato in grado di registrare quel minimo ritardo e le conseguenti differenze d'intensità. Solo un computer poteva farlo. In tal modo, l'onda sonora colpiva prima e più forte l'idrofono più vicino alla fonte e poi, di seguito, gli altri tre.
Sulla base di quei dati, il computer creava uno spazio virtuale e forniva le coordinate dell'autore del suono. Lo spazio si riempiva progressivamente coi segnali di posizione, che si muovevano seguendo gli spostamenti delle balene. In un certo senso, il branco veniva «ricostruito» all'interno del computer.
Sparendo negli abissi, anche Lucy aveva emesso una serie di suoni. Nel computer era immagazzinata una voluminosa massa di dati sugli specifici suoni delle balene e di altri pesci, e anche le voci di ogni singolo animale. L'URA setacciò il proprio catalogo elettronico, ma non trovò Lucy come individuo. Allora creò automaticamente un gruppo di coordinate che corrispondevano a Lucy, lo confrontò con altri gruppi di coordinate, classificò tutti gli altri animali davanti a lui come balene grigie e aumentò la velocità di due nodi per avvicinarsi.
Non appena ebbe individuato acusticamente e rilevato la posizione delle balene, il robot procedette con le registrazioni ottiche. Nella sua banca dati erano memorizzate la forma delle pinne caudali e la sagoma delle balene, unite alle pinne dorsali, alle pinne pettorali e agli aspetti significativi del corpo di singoli individui. Stavolta la macchina ebbe più fortuna. L'occhio elettronico scansionò le pinne caudali che si alzavano e abbassavano davanti a lui e ne identificò velocemente una come quella di Lucy. Erano infatti stati inseriti tutti i dati delle balene che avevano partecipato agli attacchi, in modo che il robot sapesse quali erano gli animali cui doveva dedicare tutta la propria attenzione.
L'URA corresse la rotta di qualche grado.
Il canto delle balene permetteva contatti vocali a oltre cento miglia marine di distanza. Le onde sonore in acqua si diffondevano cinque volte più velocemente che nell'aria. A Lucy piaceva nuotare, veloce e libera.
Ma lui non l'avrebbe più persa.