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Il BHC-2 volava in cerchio sopra di loro.

Dopo l'identificazione di diversi aggressori, grazie ai video e alle fotografie, era iniziata la ricerca degli animali. Il rimorchiatore incrociava da tre giorni davanti a Vancouver Island e quella mattina, finalmente, li avevano trovati. In un branco di balene grigie, avevano riconosciuto due pinne dorsali coi segni visti nelle foto e nei video degli attacchi.

Ford si chiese se erano davvero in grado di scoprire la verità. Rabbrividì al pensiero delle voci sempre più insistenti che si alzavano dalle associazioni dei pescatori e dalle imprese armatrici, sostenendo che la cautela del comitato scientifico non avrebbe portato nessun risultato e richiedendo quindi l'impiego della forza militare. A detta loro, sarebbe bastato uccidere qualche balena, e le altre avrebbero capito che non era conveniente aggredire gli uomini. La richiesta era tanto ingenua quanto pericolosa perché trovava un terreno fertile. In effetti, al momento, i mammiferi marini si erano giocati in un colpo solo il credito che aveva procurato loro l'impegno degli animalisti. L'unità di crisi aveva risposto affermando che non si sarebbe ottenuto nulla con la violenza. Era necessario prima comprendere i motivi che avevano portato al comportamento anomalo dei cetacei. Al massimo, la violenza avrebbe permesso di combattere i sintomi. Ford non sapeva quale sarebbe stata la decisione ultima del governo, ma si capiva chiaramente che i pescatori e i cacciatori illegali di balene erano pronti ad affrontare la situazione a modo loro. La perplessità generale che regnava sulle decisioni da prendere non sarebbe stata fugata dal disaccordo delle parti avverse. Un brodo di coltura ideale per l'iniziativa individuale.

Guerra sul mare.

Ford osservò il robot a poppa.

Era ansioso di vedere cosa sapeva fare l'URA che avevano ricevuto dal Giappone in breve tempo e senza intoppi burocratici. Il robot era stato realizzato solo pochi anni prima. I giapponesi sostenevano che serviva per la ricerca e non per la caccia, ma le associazioni ambientaliste occidentali erano scettiche. Quella struttura cilindrica lunga tre metri, strapiena di strumenti di misurazione e di telecamere ipersensibili, veniva considerata da loro una macchina infernale, progettata per localizzare tutti i luoghi di svezzamento delle balene in vista di una possibile fine alla moratoria del 1986 sulla caccia ai cetacei. Al largo dell'isola giapponese di Kerama, l'URA era riuscito a localizzare una megattera e l'aveva seguita per molto tempo. Grazie a quel successo, il robot aveva trovato la più completa approvazione anche durante la Conferenza internazionale sui mammiferi marini di Vancouver. Però la diffidenza restava. Non era un segreto che il Giappone comprasse sistematicamente l'appoggio dei Paesi più poveri per ottenere la revoca della moratoria. Il governo giapponese spacciava quella sorta di mercato delle vacche come «diplomazia»… e lo stesso governo finanziava abbondantemente l'Università di Tokyo, cui apparteneva anche l'Underwater Robotics Application Laboratory Team, che aveva realizzato il robot.

«Forse oggi farai qualcosa di sensato», disse Ford sottovoce all'URA. «Salva la tua reputazione.»

L'apparecchio scintillava al sole. Ford si avvicinò al parapetto e guardò fuori. Dall'alto, le balene si vedevano meglio e si potevano identificare. Dopo un po', in successione, emersero alcune baLene grigie, che solcarono le onde.

Nella radio risuonò la voce proveniente dal posto di osservazione sul ponte.

«A destra dietro di noi. Lucy.»

Ford si girò di scatto, prese il binocolo e fece in tempo a vedere una pinna caudale intaccata di colore grigio scuro che s'immergeva.

Lucy!

Una delle balene si chiamava così. Era una magnifica balena grigia, lunga quattordici metri. Lucy si era scagliata contro la Lady Wexham. Forse era stata lei a squarciare la sottile parete dello scafo.

«Confermo», disse Ford. «Leon?»

Erano tutti sintonizzati su quella frequenza a prova d'intercettazioni. Quelli sul DHC-2 sentivano ciò che veniva detto a bordo del Whistler.

«Confermo», disse Anawak alla radio.

Ford socchiuse le palpebre nel sole e vide l'aereo abbassarsi proprio nel punto in cui era scomparsa la pinna caudale.

«Si comincia», disse, più a se stesso che agli altri. «Buona caccia.»

Da cento metri d'altezza, il rimorchiatore sembrava un modellino costruito con cura. Invece i mammiferi marini sembravano ancora più grandi. Anawak vide diverse balene grigie nuotare tranquillamente appena sotto la superficie dell'acqua. I raggi del sole danzavano su quei corpi colossali. E benché fossero lunghi un quarto del Whistler, apparivano assurdamente molto più imponenti.

«Giù», disse.

Il DHC-2 si abbassò. Si diresse verso il banco e si avvicinò alla posizione in cui Lucy si era immersa. Anawak sperava che la balena grigia non stesse facendo il giro per mangiare, altrimenti avrebbero dovuto attendere a lungo. Ma probabilmente lì era troppo profondo. Le balene grigie si alimentavano in un unico modo, come le megattere. S'immergevano sul fondo e aravano tra i sedimenti, ingurgitando gli organismi del fondale marino: piccoli granchi, plancton e il loro piatto preferito, i nematodi. Gli enormi solchi di quelle orge di cibo percorrevano il fondale al largo di Vancouver Island, ma raramente quei giganti grigi andavano nelle acque più profonde.

«Tra poco ci siamo», disse il pilota. «Danny?»

Il tiratore scelto sorrise. Poi aprì il portellone laterale e lo ribaltò. Una folata d'aria fredda entrò nell'abitacolo e vorticò tra i capelli dei passeggeri. Il rumore divenne fortissimo. Alicia prese la balestra e la passò a Danny.

«Non avrà molto tempo», disse Anawak. Doveva parlare a voce molto alta per superare il crepitio del vento e il rumore del motore. «Quando Lucy emerge, ha solo pochi secondi per sparare la sonda.»

«A dire la verità, è più un problema vostro che mio», replicò Danny. Con l'arma nella mano destra, scivolò dal sedile finché non si trovò seduto per metà sulla sbarra sotto l'ala. «Pensate solo a portarmi più vicino.»

Sgranando gli occhi, Alicia scosse la testa. «Non posso guardare.»

«Che cosa?» chiese Anawak.

«Non può andare lì. Lo vedo già in acqua.»

«Non aver paura», rise il pilota. «I giovani possono fare questo e altro.»

L'idrovolante sfrecciò proprio sopra le onde, quasi alla stessa altezza del ponte del Whistler. Sorvolarono il punto in cui Lucy si era immersa. Non si vedeva nulla.

«Volare in cerchio», gridò Anawak al pilota. «Molto stretto. Lucy riemergerà proprio dov'è sparita.»

Il DHC-2 virò di colpo e il mare sembrò rovesciarsi su di loro. Danny penzolava dalla sbarra come una scimmia, con una mano aggrappata al bordo del portellone e stringendo nell'altra la balestra carica. Sotto di loro si delineò la sagoma di una balena in emersione. Poi un dorso gigantesco, grigio e splendente, ruppe la superficie dell'acqua.

«Iuhu!» strillò Danny.

«Leon!» Era Ford alla radio. «Non è quella giusta. Lucy nuota più avanti, sulla nostra destra.»

«Maledizione!» sbottò Anawak.

Si era sbagliato. Evidentemente Lucy era fermamente decisa a non attenersi alle regole. «Danny! No.»

Il pilota smise di volare in cerchio e si abbassò ancora di più. Sotto di loro, le onde s'incalzavano. Si avvicinarono alla poppa del rimorchiatore. Per un momento sembrò che stessero volando dritti contro la svettante struttura del Whistler, poi il pilota corresse la rotta e passarono appena sopra la massiccia nave. Un po' più avanti, Lucy riemerse, mostrando le pinne caudali. Anche Anawak riconobbe l'animale dalle caratteristiche tacche nella coda.

«Rallentare», disse.

Il pilota obbedì, ma naturalmente erano ancora troppo veloci. Dovevamo prendere un elicottero, pensò Anawak. Così, invece, sarebbero passati a tutta velocità sopra il bersaglio e poi sarebbero dovuti tornare indietro, nella speranza che la balena non sparisse.

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